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Il diritto costituzionale alla salute ed il sistema sanitario

di - 5 Novembre 2019
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Il diritto alla salute quando rivolto all’amministrazione si traduce nel diritto alle cure a carico della collettività o comunque a costi limitati per l’utenza.
Ciò impone al legislatore di intervenire per creare un apparato amministrativo che possa rendere effettiva questa situazione giuridica. L’analisi di tale apparato è di solito rinvenibile nella trattatistica specialistica di diritto sanitario[15].
Ciò comporta che la tutela della salute non può essere lasciata al solo mercato privato che non può da solo eliminare le disparità economiche nel godimento delle cure sanitarie.
L’assistenza pubblica tuttavia può essere diretta, ossia può consistere nella creazione di un apparato pubblico in grado di fornire assistenza agli utenti, ovvero indiretta, con l’intervento dei privati , a fianco della struttura pubblica, a carico, totale o parziale della collettività.
A ciò si affianca poi il mercato della libera professione a sua volta costituzionalmente tutelato dall’art. 4 e 35 e dall’art. 41 Cost. come libertà professionale ed economica.
A tenore dell’art. 32 deve intendersi che il sistema sanitario nazionale sia un compito essenziale ed irrinunciabile della pubblica amministrazione, che il sistema sanitario debba essere dominato da finalità pubblicistiche orientate alla tutela della persona umana, che tuttavia la struttura pluralista del nostro Stato ordinamento non possa non affiancare il privato al pubblico, talvolta anche assumendosene gli oneri, come accade nel c.d. privato convenzionato o accreditato.
Ciò si accompagna alla centralità di una consolidata struttura pubblica a partire dalla citata legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale.
Prima di allora l’igiene era distinta dalla salute e la salute dall’ambiente e le prestazioni sanitarie erano erogate da una congerie di enti che applicavano disposizioni particolari.
Servizio sanitario nazionale universalistico significa rispetto del diritto di uguaglianza sancito dalla Carta un diritto impensabile senza la corrispondente tutela del diritto alla salute.
Il diritto alla salute in questo quadro è il frutto di un’opera complessa di dialogo fra tutti i formanti dell’ordinamento: legislativo, esecutivo e giudiziario.
Talvolta il legislatore segue il giudice talaltra il bilanciamento continuo degli interessi operato dalla giurisprudenza riceve una spinta innovativa dal legislatore.
La difficoltà di garantire un corretto equilibrio tra i diversi interessi coinvolti nell’erogazione delle prestazioni sanitarie – il diritto dei pazienti ad avere prestazioni qualitativamente e quantitativamente sempre migliori , esercitando il diritto di scegliere il miglior operatore , l’esigenza della pubblica amministrazione di garantire tale diritto, nel rispetto delle disposizioni e dei vincoli di finanza pubblica ed assicurando il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione ed, infine, l’interesse degli operatori sanitari privati di operare in mercato efficiente e contendibile – ha indotto il legislatore a proporre nel tempo modelli diversi di organizzazione dei servizi sanitari tutti caratterizzati d profili critici sia di ordine giuridico che di ordine economico.
Il modello originariamente previsto dalla legge n. 833 del 1978 era integralmente pubblicistico, riservando allo Stato, in via prioritaria e pressoché monopolistica, l’erogazione delle prestazioni sanitarie.
Il modello era il frutto della storia, era la prima volta che si creava un Servizio sanitario Nazionale, ciò non poteva non vedere al centro, le neonate istituzioni sanitarie locali.
Tale modello era rispondente ad una certa concezione dello Stato del benessere, concezione storica ed ideologica, incentrata sul servizio pubblico, gestito in via diretta dalla pubblica amministrazione.
La legge prevedeva un regime convenzionale per la diagnostica strumentale ed i laboratori di analisi, sempre nel caso in cui la struttura pubblica non fosse in grado in un termine certo (tre giorni poi elevati a quattro) di soddisfare la richiesta di prestazione.
Un analogo regime – convenzionale – era previsto per le prestazioni riabilitative.
Il rapporto fra USL e centri privati era basato su una concessione di pubblico servizio[16], l’accesso ai centri privati richiedeva un’autorizzazione della USL.
Il regime concessorio era legato a pianificazioni e programmazioni regionali che miravano ad includere nella rete pubblicistica del SSN tutte le istituzioni sanitarie private in modo progressivo, in una sorta di visione panpubblicistica.
In questo quadro la posizione giuridica soggettiva dell’operatore sanitario privato rispetto alla pubblica amministrazione era un interesse legittimo e lo stesso diritto di scelta del cittadino era depotenziato e reso dipendente dalla volontà della struttura pubblica.
Con il decreto legislativo n. 502 del 1992 si introduce il principio di libera scelta dell’assistito e si passa dal sistema delle convenzioni al sistema dell’accreditamento che è solo un previo accertamento dell’esistenza di requisiti tecnologici, strutturali ed organizzativi minimi per l’esercizio dell’attività sanitaria, per evitare abusi di mercato si definiscono anche i sistemi di remunerazione.
La nuova disciplina configura un sistema concorrenziale, nel quale pubblico e privato erogano le stesse prestazioni, hanno da rispettare i medesimi requisiti minimi e soggiacciono a tariffe eque.
L’accreditamento è stato definito dalla giurisprudenza costituzionale[17] come ‘operazione da parte della p.a. di riconoscimento del possesso da parte di un soggetto privato di determinati specifici requisiti (c.d. standard di qualificazione) che si risolve nell’iscrizione in un elenco dal quale gli assistiti, utenti delle prestazioni sanitarie, possono attingere per ottenerne l’erogazione”.
Vi è un diritto all’accreditamento[18], senza margini discrezionalità per la p.a., al limite presente nell’atto di indirizzo e coordinamento emanato previa intesa in Conferenza Stato Regioni.
L’accreditamento è il presupposto della libera scelta dell’assistito. La struttura accredita è sottoposta al controllo ed alla vigilanza della p.a.
Sono possibili atti di autotutela, che saranno doverosi trattandosi di requisiti minimi.
Il tutto è ricompreso nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Va ricordato altresì che[19] altro è l’autorizzazione al funzionamento e all’esercizio, con la quale si riconosce al servizio o alla struttura la possibilità di operare, fornendo liberamente ( senza oneri per la finanza pubblica ) al cittadino i servizi e le prestazioni dichiarate, altro è l’accreditamento istituzionale con il quale si riconosce ai soggetti autorizzati la possibilità di fornire prestazioni o servizi che possono essere compensati con l’impiego di risorse pubbliche: (pertanto è legittima la nota dell’azienda sanitaria che si è limitata a dare atto che ad una casa di riposo è stata riconosciuta la possibilità di fornire prestazioni o servizi che possono essere compensati con l’impiego di risorse pubbliche in relazione a sessantatré posti letto e che, risultando tutti occupati i detti posti, non era possibile consentire l’utilizzazione di un’ulteriore impegnativa di residenzialità presso la medesima struttura).

Note

15.  Cfr. L. Lamberti Diritto Sanitario, Milano 2019.

16.  CdS V n. 813 del 2010.

17.  Corte Cost. n. 416 del 1995.

18.  CdS V n. 4077 del 2008.

19.  Secondo T.a.r. Veneto, sez. III, 06-03-2009, n. 376.

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