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Il diritto costituzionale alla salute ed il sistema sanitario

di - 5 Novembre 2019
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Le due più grandi sventure nella vita sono una cattiva salute e una cattiva coscienza (Lev Tolstoj).

Diritto alla salute e problemi del sistema sanitario
E’ stato detto con efficacia che “il diritto alla salute nel nostro ordinamento, sin dalla sua sanzione costituzionale, si è posto quale luogo di intersezione fra tensioni diverse, che coinvolgono la persona e il suo rapporto con il professionista medico, con l’amministrazione, con la società; che toccano la relazione fra impresa e diritti dei lavoratori; che riguardano le scelte di allocazione delle risorse pubbliche, le decisioni di organizzazione dell’amministrazione, la libertà individuale e la responsabilità.
Per questo si tratta di un diritto che risente più di altri delle trasformazioni sociali, culturali e giuridiche e che stimola un continuo confronto sulla sua natura e sul suo contenuto, che evolve non solo insieme alla scienza che se ne occupa, ma anche e soprattutto insieme alla società in cui si ambienta[1].
Comprendere questi cambiamenti è arduo, spesso si tratta di evoluzioni che avvengono lungo percorsi non sempre lineari, che attraversano fasi diverse e la cui effettività si misura soltanto con il tempo.
Un elemento che, tuttavia, non va trascurato quando ci si interroga sul diritto alla salute e sulle sue trasformazioni è che la formulazione impiegata, quella appunto di “diritto alla salute”, utilizza il termine “salute” come sintesi di una pluralità di elementi il cui risultato finale tuttavia è un oggetto del diritto che non si lascia mai cogliere completamente e che sfugge alla intellezione ed alla realizzazione pratico-effettuale della dinamica del diritto.
In altre parole, se sicuramente si ha diritto a che la propria salute non venga direttamente compromessa da azioni altrui e si ha diritto a servizi che mettano nelle condizioni di proteggere e recuperare la propria salute nel momento in cui questa è compromessa o è in pericolo, non si ha alcun diritto ad ottenere la salute.
Chiovenda sarebbe spiazzato dalla dinamica del diritto alla salute. Per il noto studioso del nostro diritto processuale civile il processo deve dare all’attore “tutto quello e proprio quello che il nostro diritto sostanziale assicura” ma il nostro diritto sostanziale non può assicurare in termini assoluti il superamento dei limiti fisici, corporei, della persona umana.
Il diritto alla salute è una posizione giuridica paradossale alla luce della semplice constatazione che il bios decade.
Questo occorre non dimenticarlo mai, i medici questo lo sanno assai bene, i giudici un po’ meno e non tenere presente questo aspetto problematico del rapporto fra diritto e salute porta all’invadenza delle corti ed alla medicina difensiva.
Viviamo invece in un tempo che tende ad obliare i limiti tradizionali della persona umana, la sua fragilità e caducità, la sua destinalità, la morte come destino dell’uomo, quel destino per cui Heidegger ha definito – certamente in modo un po’ tetro e non del tutto condivisibile – l’ essere come essere per la morte (preferibile è pensare che l’uomo sia per la vita come voleva la Harendt anche se con il limite della caducità dell’esitenza legata al mistero del tempo).
Diritto e salute sono infatti due termini che descrivono cose diverse: l’uno una situazione soggettiva a contenuto giuridico; l’altro uno stato, una condizione della persona, la cui pienezza è tutelata e promossa, ma che non può essere del tutto assicurata dal diritto che ad essa si riferisce. Lo stato in cui consiste è oggetto del diritto, ma non è e non può essere prodotto del diritto.
Al tempo stesso, tuttavia, il concetto di salute e il suo significato incidono sul diritto e contribuiscono a definirne i tratti in forma di limiti e pretese.
La salute tuttavia – pur nella coscienza del destino del bios – non può più essere intesa unicamente come integrità corporea dell’individuo, ma va ripensata come dimensione che include il benessere psichico, e quindi anche sociale della persona, è acquisizione che da un punto di vista socio-culturale data dalla metà del secolo scorso.
A questo proposito è inevitabile ricordare la nota nozione di salute indicata dall’Organizzazione mondiale della sanità fin dal momento della sua istituzione nel 1948 come «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non soltanto assenza di malattia».
Di tale idea di salute troviamo però la prima effettiva concretizzazione nel nostro ordinamento solo a partire dalla fine degli anni ’70. In questo senso vanno le previsioni della legge che istituisce il Servizio sanitario nazionale e che sancisce la necessaria tutela della salute psichica oltre che fisica dell’individuo, nel rispetto della sua libertà e dignità; nella medesima direzione si dirige la coeva legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, prevedendo la possibilità di ricorrere a questa pratica medica qualora si profili un serio pericolo per la salute non solo fisica, ma anche psichica della donna, in relazione al suo stato di salute o alle sue condizioni economiche, sociali e familiari.
L’allargamento del quadro dei profili del benessere in cui si sostanzia l’idea di salute apre la strada anche all’inclusione in essa della dimensione identitaria e individuale del soggetto, aspetto che ha rappresentato un altro tassello importantissimo dell’evoluzione del concetto.
L’avvio di tale processo può rintracciarsi nella legge in materia di transessualismo, che ha consentito una “lesione” dell’integrità corporea attraverso interventi chirurgici irreversibili volti all’adeguamento dei caratteri sessuali alla percezione di sé che ha la persona. In questa occasione, forse per la prima volta, il nostro ordinamento è stato posto direttamente di fronte alla questione della indefinibilità della salute in modo oggettivo e della necessità di un confronto diretto con l’individuo, per costruire assieme a chi ne è portatore il contenuto del “suo” diritto alla salute.
La Corte costituzionale, nel respingere la questione di legittimità sollevata, fra l’altro, con riferimento al fatto che la legge consentiva un atto di disposizione del proprio corpo non giustificato dall’esigenza di rimuovere una malattia, osservava in un passaggio argomentativo come il transessuale, attraverso l’intervento chirurgico, vedesse riconosciuta la propria identità, conquistando «uno stato di benessere in cui consiste la salute». La saldatura fra identità e salute apre la strada al superamento dell’idea di un benessere coincidente con l’integrità psico-corporea, nella direzione di una possibile ricostruzione della salute, e del conseguente diritto, tale da includere profili diversi, legati alla individualità del paziente e alla sua personale visione di sé e soprattutto intacca per la prima volta il dominio del corpo sulla persona.
Come è stato detto[2], “Si tratta di un primo piccolo passo di un percorso che richiede molto tempo per essere portato a termine. Il corpo resta comunque a lungo sovrano nell’idea di salute, continua a parlare con una voce che sovrasta quella della persona, una voce fatta di segni, sintomi ed esigenze biologiche, con la quale dialoga direttamente con il medico, che lo interroga e lo sonda in cerca di risposte. Il paziente osserva questa relazione, quasi dall’esterno, come qualcosa che si svolge in un luogo a lui inaccessibile, in cui si parla una lingua diversa, incomprensibile”.

Note

1.  Alessandra Pioggia Di cosa parliamo quando parliamo di diritto alla salute ? Istituzioni del federalismo n. 2 del 2017.

2.  Sempre A. Pioggia, cit.

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