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La finanza UE al tempo del coronavirus

di - 31 Marzo 2020
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L’idea potrebbe essere quella di emettere titoli di debito (Investi Italia), anche di piccolo taglio, destinati all’emissione solo a soggetti residenti (piccoli risparmiatori italiani); tali titoli dovrebbero essere a lunga scadenza (20/30 anni), muniti di particolari premi (i.e. previsione di crediti di imposta o di cedole speciali) correlati al loro mantenimento in portafoglio, premi eventualmente cadenzati nel tempo (clausola di lock-in flessibile); da ultimo, la loro raccolta dovrebbe avere una speciale e ineludibile destinazione (ad es. investimenti infrastrutturali, settore sanitario, ecc.). Inoltre, essi dovrebbero essere liberamente trasferibili (anche immediatamente) a terzi, anche stranieri, salva la previsione che, in tal caso, verrebbero meno i vantaggi testé rappresentati. Va anche presa in considerazione, in base ad analisi specifiche, la possibilità di utilizzare la apposizione di cacs (clausole di azione collettiva), con un loro alleggerimento o limitazione (per rafforzare l’appetibilità dei titoli); stabilendo altresì (per ovviare qualsivoglia riferibilità all’art. 12 del Trattato MES) che i titoli in parola siano emessi da CDP.
Non v’è dubbio che la situazione presente è percepita dalla collettività nei suoi profili drammatici, che incidono sulla continuità del processo di aggregazione europea, da decenni auspicato da tanta parte della cittadinanza UE. I continui «crolli» del mercato, registrati nel marzo del 2020, scontano i timori di un ‘male’ che, a livello mondiale, segna un arresto della produzione, facendo rivedere al ribasso le previsioni di crescita. È indispensabile che l’Europa dia un forte segnale in senso contrario: è possibile, necessita farlo. Oggi si decide il futuro dell’Unione; ed è questa una decisione senza appello!
Di certo, il futuro dell’UE e  della tenuta economico sociale del nostro Paese dipenderà dalla velocità di reazione delle rispettive istituzioni, velocità che dovrà riguardare non solo l’adozione di regole adatte ai nuovi tempi ma anche, e soprattutto, una loro immediata applicabilità attraverso una deburocratizzazione delle procedure.

7.Sulla base di quanto precede si può dire che forse è giunto il momento per veder attuata la previsione formulata da Romano Prodi all’indomani della creazione dell’euro. Il presagio di un necessario raccordo ad un evento straordinario (per superare le paure degli Stati membri a cedere la loro sovranità) presenta, nell’attuale contesto storico, una valenza ancor più grande di quella ravvisabile all’epoca della crisi finanziaria degli anni 2007 e seguenti. Quest’ultima ha, infatti, causato in ampia parte del globo incertezze e pericoli per un agere finanziario incurante dei parametri della correttezza operativa e, dunque, del rispetto delle regole sulle quali è fondato l’equilibrio e la stabilità dei sistemi. L’Unione è stata costretta a lottare contro un nemico, le cui armi tuttavia erano ben conosciute: speculazione, incontrollabile anelito al profitto e tendenza a trarre vantaggi dalle asimmetrie del mercato. Al presente va combattuto un «nemico invisibile», che colpisce d’improvviso, portando morte e disorientamento, donde il riscontro di un generalizzato senso d’impotenza a contrastarne l’impeto e la virulenza.

Si individua un futuro che – come si è già avuto modo di precisare – si caratterizza per una serie di incognite e di interrogativi tra i quali primeggia quello concernente l’an sulla continuità del progetto europeo. L’UE sta affrontando il ‘momento della verità’; mai nel passato si è trovata di fronte ad una situazione drammatica ed economicamente devastante come quella attuale. La capacità di offrire agli Stati membri, colpiti dal nominato shock da coronavirus, rimedi congrui alle loro necessità (peraltro non accompagnati all’imposizione di un regime di austerity, tristemente sperimentato durante la crisi del 2007) costituirà il metro di riferimento a base delle determinazioni da assumere con riguardo alla opportunità di tener fermo il disegno comune.
Purtroppo, nonostante le positive indicazioni fornite dall’UE a fine marzo 2020, permangono significativi dubbi in proposito. Un appello di 67 economisti all’Europa e alle sue istituzioni denuncia la fragilità delle misure adottate e  la difficoltà dei vertici dell’Unione di prendere atto dei propri sbagli, indicando il significato da ascrivere alle reazioni dei mercati (riconducibile ad una perdita di credibilità della BCE); ciò nel riferimento al carattere eccezionale riconosciuto dalle autorità europee agli interventi da esse disposti (dal quale è dato desumere il tacito intento di recuperare il previgente regime regolatorio dopo la fine della tempesta)[72]. Se ne deduce che solo un deciso «cambio di passo» può preservare il processo d’integrazione europea da una triste fine! Pertanto, se l’Europa vuole ancora proseguire verso la meta indicata dai padri fondatori, il superamento della crisi economica causata dal coronavirus dovrà inevitabilmente essere accompagnato da una revisione dei Trattati, sì da consentire agli Stati membri la possibilità di perseguire linee di sviluppo comune, fondate su una logica solidaristica e, dunque, sull’abbandono degli individualismi fino ad oggi imperanti.
Si delinea, quindi, un obiettivo difficile; l’Europa dovrà affrontare un’intrapresa estremamente ardua perché non potrà essere disgiunta dalla rinuncia, da parte dei paesi egemoni dell’eurozona, alla gestione di un ruolo di primazia, nonché dalla accettazione dei limiti e delle criticità da tempo riconosciuti ad alcuni Stati dell’area mediterranea. Per converso, dovrà essere compito di questi ultimi assumere un impegno responsabile nell’assecondare la fiducia in essi riposta, superando innate avversità per la rigidità teutonica ovvero per i sentimenti di grandeur francesi.
Accadrà tutto questo? Non so dirlo. Mi rendo conto, peraltro, di aver fatto parte della ‘generazione’ fortunata che ha visto l’entusiastico avvio del processo di integrazione europeo, confidando nell’affermazione di uno spirito di unitarietà dopo secoli di guerre che, purtroppo, hanno contribuito a rafforzare gli individualismi e le diversità. Devo constatare con amarezza che, forse, un percorso di avvicinamento di soli sessanta anni è insufficiente a realizzare un ‘sogno’, che presuppone una maturazione delle coscienze di più lunga durata!
Mi piace ricordare, tuttavia, che in passato, chiudendo alcuni saggi sulla difficoltà del percorso europeo, ho sempre fatto riferimento alla speranza che anima coloro che, come me, hanno sempre creduto nel sogno europeo… una speranza che, a ben considerare, si traduce in un interesse comune a «stare insieme» in una realtà geopolitica globale nella quale il ‘vecchio continente’ potrà ancora giocare un proprio ruolo solo se sarà unito da un legame politico.

Note

72.  Cfr. l’editoriale pubblicato col titolo Ue e Bce, non è così che si supera la crisi”. L’appello di 67 economisti visionabile su http://temi.repubblica.it/micromega-online/ue-e-bce-non-e-cosi-che-si-supera-la-crisi-appello-di-67-economisti.  

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