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La finanza UE al tempo del coronavirus

di - 31 Marzo 2020
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4. Gli sforzi delle autorità finanziarie e dei singoli governi, tuttavia, resteranno inefficaci in assenza di misure comuni adottate dai vertici politici dell’UE, ai quali fanno capo le importanti decisioni che consentano di superare i vincoli interventistici rivenienti dal ‘patto di stabilità’ e dalla Convenzione del 2013 sugli «aiuti di Stato» al settore finanziario. Occorre evitare, infatti, che si addivenga, nel presente frangente, ad interpretazioni delle regole dei Trattati poco propense a consentire spazi di flessibilità ai paesi membri, in tal modo incidendo negativamente sulla prospettiva di un consolidamento dell’Unione, improntato a condivisione e solidarietà. Come si dirà qui di seguito, sono configurabili giustificati timori al riguardo, per cui viene sottoposto a dura prova l’euroentusiamo di chi – come me – ha da sempre creduto nella possibilità di realizzare un federalismo europeo.
Dopo alcune esitazioni iniziali dei ministri delle Finanze dell’Eurozona sembrava che questi, di fronte all’aggravarsi del contagio nei loro paesi, mostrassero  disponibilità ad acconsentire, per contrastare la pandemia, una maggiore flessibilità economica  nella gestione dei conti pubblici degli Stati membri: ne danno conferma talune affermazioni della presidentessa della Commissione europea. D’altronde, un orientamento d’apertura è conforme alle previsioni dei Trattati; è il caso di far presente che, a seguito dell’attivazione della «clausola di crisi generale» presente nel Patto di stabilità, gli Stati membri possono discostarsi dall’osservanza degli obiettivi di bilancio assunti prima dell’esplosione del contagio da coronavirus. Pertanto, le spese affrontate per l’emergenza sanitaria e per il sostegno economico di coloro che hanno perso il lavoro (o, comunque, lo hanno visto improvvisamente ridimensionato) dovranno essere considerate interventi one off, vale a dire di carattere straordinario e, dunque, da non conteggiare ai fini del calcolo del deficit strutturale. In questo senso si orienta la proposta formulata dalla Commissione nella comunicazione del 20 marzo 2020[26].
Va da sé che l’occasione è propizia non solo per poter disporre di mezzi finanziari idonei ad eliminare le carenze della nostra sanità pubblica, ma anche per indurre l’Europa a ridefinire le regole fiscali e delle procedure di bilancio nel quadro della risposta europea alla luce del mutato contesto determinato dalla crisi; disegno interventistico che sembrava trovare conferma nelle inequivoche parole del Cancelliere tedesco Angela Merkel: «faremo quel che occorrerà per uscire da questa situazione […] Mettere fine alla propagazione della epidemia è la priorità, al di sopra del rispetto delle regole di bilancio»[27]. Tale affermazione sembrava non lasciar dubbi in ordine alla prospettiva di un necessario cambiamento della regolazione UE che, al presente, vincola in modalità molto  stringenti i piani di spesa degli Stati membri.
Diviene, pertanto, ipotizzabile l’abbandono, da parte della Corte Costituzionale tedesca della nota tesi che ritiene ‘indisponibili’ i principi di stabilità dell’euro e dell’autonoma responsabilità di ciascuno Stato per i propri debiti. Tale indirizzo interpretativo, fino ad oggi, ha impedito alla Germania di accettare «strumenti permanenti» che individuano un elevato livello partecipativo dei paesi membri al bisogno di altri componenti dell’Unione[28]; se ne deduce che detto Stato membro potrebbe, auspicabilmente, recedere dalla posizione negativa assunta con riguardo alla problematica dell’emissione di eurobonds (che, com’è noto, realizzano una sostanziale messa in comune del debito nazionale o di una parte di questo)[29]. In tal senso orientano, del resto, le considerazioni di Angela Merkel «dalla seconda guerra mondiale non c’è stata più nessuna sfida che richiedesse al nostro Paese un agire comune e solidale di questa portata»[30]; parole che sintetizzano la gravità del momento ed indicano la via da seguire per vincere la guerra contro il nemico oscuro che sta colpendo l’Europa: unione e solidarietà.
È questa un’indicazione che se, di certo, potrà trovare adeguato riscontro in Germania, appare di dubbia attuazione ove venga riferita all’intera compagine dell’UE. Per vero, gli accadimenti degli ultimi mesi, verificatisi all’interno della eurozona  dimostrano quanto poco sentito sia lo spirito di unione e solidarietà tra i paesi che ne fanno parte. Conseguentemente può dirsi che il coronavirus ha agito da catalizzatore nell’evidenziare i limiti e le carenze che, da tempo, sono oggetto di denuncia, non solo da parte degli studiosi, ma anche di talune correnti politiche le quali, aderendo ad una crescente tendenza sovranista, hanno sottoposto a dura critica vuoi le intransigenti misure di austerity praticate durante la menzionata crisi finanziaria del 2007, vuoi la difficoltà di applicare talune prescrizioni dei Trattati, donde la necessità di ricorrere a richieste di deroghe (più volte avanzate dal nostro Paese).
Per vero, non può trascurarsi di considerare che, nell’ultimo decennio, nonostante i sensibili sforzi compiuti dall’Unione nel tentativo di adeguare la propria struttura finanziaria ai cambiamenti resi necessari dalla crisi economica, non si è realizzata quella comunione di intenti (rectius: l’idem sentire) che deve caratterizzare la unitarietà di un popolo. L’Europa continua ad essere un insieme di nazioni, ora non più in guerra tra loro, ma di certo prive di quel collante che si fonda sulla coesione e sulla solidarietà. Tale realtà risulta particolarmente evidente in campo economico finanziario, nel quale la diversità non ha trovato compendio in un «processo di convergenza economica», laddove l’armonizzazione normativa si è rivelata insufficiente a tal fine (in quanto non è riuscita a creare il tessuto connettivo indispensabile per il superamento degli individualismi nazionali).
Nel passato ho cercato, in molteplici occasioni, di individuare le ragioni tecniche di tale stato di cose. Mi è sembrato di ravvisarle nelle difficoltà di mettere in comune le politiche nazionali secondo la visione federalistacostituente, delineata da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, nonché nel metodo seguito per la realizzazione della Comunità europea, ispirato al funzionalismo di Mitrany e al neo-funzionalismo di Haas e Lindberg[31]. L’indagine mi ha chiarito, tuttavia, che col decorso degli anni sono emersi i limiti dell’orientamento teorico secondo cui l’avvio di processi di integrazione funzionale (nei quali alcuni Stati mettono in comune determinate attività e risorse economiche) tende a incoraggiare e favorire integrazioni ulteriori (in linea con un meccanismo di tracimazione, il cd. spillover) a valenza anche politica.
Più in particolare, il fatto che il potere deliberativo nell’UE faccia capo ad un sostanziale processo di co-decisione – in base al quale la proposizione dei progetti disciplinari compete essenzialmente alla Commissione, laddove spetta al Consiglio dell’Unione e al Parlamento approvarne il testo – rende chiara la ragione per cui la formazione delle regole viene ricondotta ad un accordo tra i diversi paesi. A ciò si aggiunga che gli impulsi necessari allo sviluppo dell’UE e la definizione degli orientamenti e delle priorità politiche generali (art. 15 del TUE) sono affidati ad un meccanismo comitologico, retaggio di un equilibrio anacronisticamente sbilanciato in senso intergovernativo[32]. Appaiono evidenti, quindi, i limiti del quadro istituzionale europeo, causa della mancata convergenza politica ed economica all’interno dell’UE[33].
La realizzazione dell’euro all’inizio di questo millennio non ha recato l’auspicato cambiamento verso un sistema comunitario fortemente coeso. La permanenza di politiche fiscali differenziate e il mancato raggiungimento degli obiettivi avuti di mira hanno messo in evidenza i limiti di un’unione incentrata sulla sola «moneta unica»; a poco è valsa la peculiare caratteristica di quest’ultima che, comportando una cessione di sovranità da parte dei paesi aderenti, ha innovato significativamente la tradizionale figura dello Stato-Nazione. Per converso, si è registrato una sorta di sfaldamento della pregressa consistenza relazionale in ambito UE, in quanto i paesi che non hanno aderito all’UME (in primis la Gran Bretagna) inevitabilmente hanno perseguito interessi spesso divergenti rispetto a quelli della eurozona.

Note

26.  Commissione europea, COMMUNICATION FROM THE COMMISSION TO THE COUNCIL on the activation of the general escape clause of the Stability and Growth Pact, COM(2020) 123

27.   Cfr. l’editoriale intitolato Pronti a rivedere la regola del pareggio di bilancio, ha detto Angela Merkel visionabile su https://www.agi.it/estero/news/2020-03-11/coronavirus-germania-merkel-7435183/

28.  Cfr. Bundesverfassungsgericht – Pressestelle -Pressemitteilung Nr. 37/2011 vom 9. Juni 2011, visionabile su www.bundesverfassungsgericht.de/pressemitteilungen/bvg11-055en.html. Per un commento di tale orientamento giurisprudenziale cfr. Tosato, La Corte costituzionale tedesca e il futuro dell’euro, in Affarinternazionali, 2011, www.iai.it.

29.   Ampliamente sul punto cfr. Capriglione – Sacco Ginevri, Politica e finanza nell’Unione europea, Padova, 2015, p. 150 ss.

30.  Cfr. l’editoriale intitolato Coronavirus, Merkel: «È la sfida più grande dalla Seconda guerra mondiale», visionabile su https://video.corriere.it/esteri/coronavirus-merkel-sfida-piu-grande-seconda-guerra-mondiale/bab0f6da-6968-11ea-913c-55c2df06d574.

31.  Cfr. Capriglione – Sacco Ginevri, Politica e finanza nell’Unione europea, cit., p. 59 ss.

32.  Cfr. Savino, La comitologia dopo Lisbona: alla ricerca dell’equilibrio perduto, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, p. 1041.

33.  Come opportunamente è stato osservato, si è dato vita ad un processo d’ integrazione il cui svolgimento, per quanto orientato in termini continuativi e progressivi, risulta limitato dal contesto geopolitico di riferimento caratterizzato da significative diversità non solo economiche, ma anche culturali e sociali; cfr. De Caro, Integrazione europea e diritto costituzionale, in aa.vv, Elementi di diritto pubblico dell’economia, Padova, 2012, p. 53.

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