Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

Diritto di asilo, competenza dell’Unione, responsabilità degli Stati membri: i fallimenti del c.d. sistema “Dublino”

di - 10 Luglio 2015
      Stampa Stampa      

E’ vero che la categoria del provvedimento transnazionale, e dunque la crisi del postulato della autorità esclusiva dello stato all’interno dei suoi confini territoriali[49], si manifestano ampiamente nei settori in cui “la disciplina europea è finalizzata a tutelare le libertà che consentono la piena realizzazione del mercato unico”[50] .
Questa constatazione non equivale ad escludere che la figura sia utilizzabile laddove si tratti di conseguire finalità diverse o quando sono in gioco altre libertà.
A riprova, lo stesso provvedimento di concessione della protezione internazionale attribuisce la libertà di circolazione sull’intero territorio dell’Unione. Il “visto Schengen” è anch’esso un esempio tipico di atto amministrativo transnazionale, che produce effetti sulla libertà di circolazione delle persone[51].
Dunque nessun ostacolo teorico si frappone all’estensione all’intero “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” degli ulteriori effetti del provvedimento che riconosce la protezione e che la normativa vigente circoscrive all’interno dei confini statali. Gli interessi pubblici alla sicurezza interna e all’ordine pubblico, i quali peraltro sono incisi anche dalla già riconosciuta libertà di circolazione[52], potrebbero essere salvaguardati in altro modo.
Le conseguenze negative della disciplina attuale si ripercuotono sui beneficiari della protezione, i quali non sono liberi di stabilirsi in un Paese dell’Unione diverso rispetto a quello che ha trattato la domanda di riconoscimento ed ha concesso la protezione.
Si ripercuotono inoltre sugli Stati membri, che per ragioni geografiche sono investiti da un gran numero di domande di riconoscimento e, di conseguenza, dalla pressione degli oneri finanziari, organizzativi e sociali che l’accoglienza comporta e che eccedono sicuramente le proprie capacità di accoglienza, demografiche ed economiche.

L’Europa in mezzo al guado tra sgretolamento e completamento del sistema comune europeo di asilo.  Gli insuccessi del sistema attuale ed i problemi, anche di carattere sociale, cui si è fatto cenno nel primo paragrafo, hanno stimolato molte proposte di riforma.
Un primo tentativo è stato promosso con la direttiva 2001/55/CE del 20 luglio 2001, che prevede l’obbligo degli Stati membri di indicare la propria capacità di accoglienza e di cooperare tra loro per ripartirsi i relativi oneri, in caso di afflusso massiccio di richiedenti asilo. La direttiva si muove dunque nel solco tracciato dai principi di solidarietà e di equa ripartizione degli oneri tra gli Stati membri, che sono del resto enunciati nell’art. 80 del TFUE.
Il presupposto, per l’applicabilità della direttiva, è che si avveri una situazione di “afflusso massiccio”. La ricorrenza di tale situazione non è però ancorata a presupposti oggettivi, bensì ad una valutazione che presenta connotati politici, più che tecnici, essendo rimessa ad una decisione del Consiglio, a maggioranza qualificata. E’ forse questa la ragione per la quale il meccanismo della condivisione tra gli Stati non è stato mai attivato[53].
Ancora nell’ottica dei principi di solidarietà e di equa ripartizione degli sforzi tra gli Stati membri si pongono le proposte di attivare strumenti di “riallocazione” dei richiedenti o dei beneficiari della protezione[54]. La “riallocazione” consiste nel trasferimento, consensuale, dei richiedenti la protezione o dei beneficiari negli Stati membri, che si dichiarino disponibili ad accoglierli e quindi ad assumere gli oneri connessi con l’esame della domanda e con l’accoglienza.
Le risposte dell’Unione europea ai gravi problemi, che si trovano ad affrontare gli Stati di primo ingresso, si condensano dunque nei meccanismi della distribuzione e della riallocazione.
Il sistema presenta gravi limiti. Il suo avvio è subordinato ad una decisione politica, che deve essere presa a maggioranza. Inoltre, anche se avviato, non può essere considerato risolutivo.
Finché il compito di determinare il numero di individui da accogliere o da “riallocare” sul proprio territorio è affidato ai singoli Paesi membri, gli Stati di primo ingresso si trovano ad operare come una sorta di stanza di compensazione, stretti, da un lato, dal principio di non respingimento, dall’altro, dai limiti numerici al trasferimento indicati dagli altri Stati.
In attesa che gli strumenti di “riallocazione” siano effettivamente attivati e che vengano progettati per funzionare secondo criteri oggettivi[55], la solidarietà europea opera solo sul piano degli aiuti finanziari agli Stati di primo ingresso. Questi sono in effetti ingenti. Qui entra in gioco la responsabilità degli Stati che spesso non sono in grado di assicurarne l’uso corretto.
Anche nel settore della protezione internazionale, l’Europa sembra trovarsi in mezzo al guado.
Le opzioni sono due.
Da un lato, quella di ripensare il sistema “Dublino” e quindi la stessa idea di una competenza unica, a livello europeo, a decidere sulla domanda di protezione, ripartita tra i vari Stati membri secondo criteri di opportunità.
Dall’altro, quella di portare a pieno e coerente compimento il processo di realizzazione del “sistema europeo comune di asilo”. Il riconoscimento della dimensione europea dello status di rifugiato, attribuito da un atto del singolo Stato membro, individuerebbe nell’Unione, e quindi in tutti gli Stati, il termine di riferimento degli obblighi di accoglienza e dei diritti riconosciuti ai beneficiari della protezione.
In conclusione, il problema è ancora una volta quello di definire il “luogo” della sovranità, in bilico tra stati nazionali ed Unione, che è poi il problema cruciale nell’attuale contesto europeo[56].

Note

49.  Un riferimento alla crisi del postulato della signoria esclusiva dello stato sul proprio territorio per effetto del diritto europeo, in  g. della cananea, Diritto amministrativo europeo. Principi e istituti, Milano, 2006, p. 8.

50.  Il legame è ben evidenziato nel recente lavoro di s. torricelli, Libertà economiche europee e regime del provvedimento amministrativo nazionale, Rimini, Maggioli, 2013, p. 103 ss.

51.  L’esempio è riportato da a. s. gerontas, Deterritorialisation in administrative law: exploring transnational administrative decision, cit., p. 41.

52.  Gli attentati terroristici di Parigi, del gennaio 2015, hanno riportato in primo piano la richiesta di maggiori informazioni sui movimenti alle frontiere interne.

53.  Una richiesta era stata presentata dal Governo italiano, che aveva fatto appello alla procedura per cercare di fronteggiare gli arrivi via mare dalla Tunisia nei primi mesi del 2011. Anche in questi giorni, l’avvio della procedura prevista dalla direttiva 55/2001 è bloccato dall’opposizione di molti Stati.

54.  Su questi aspetti, vedi g. morgese, Solidarietà e ripartizione degli oneri in materia di asilo nell’Unione europea, in Percorsi giuridici per l’integrazione, cit. p. 388 ss. Una proposta originale è avanzata da h. repoport e f. h. moraga, Tradable refugee-admission quotas: a policy proposal to reform the Eu asylum policy, EUI working paper, RSCAS, 2014 e, degli stessi autori, Tradable immigration quotas, in Journal of public economics, 2014, p. 94 ss. La proposta consiste nel fissare preliminarmente il numero massimo di rifugiati che possono essere ospitati in Europa e quindi assegnare ai vari Paesi quote commerciabili.

55.  I criteri oggettivi di “riallocazione” sono quelli per i quali non sono gli Stati a decidere la quota di individui da accogliere sul proprio territorio. La quota è invece fissata dalle istituzioni centrali sulla base di parametri oggettivi e dati quantitativi, quali il Pil, l’estensione territoriale degli Stati, la densità della popolazione. L’introduzione di parametri di questo tipo è suggerita nella risoluzione del Parlamento dell’11 settembre 2012, (2012)0310.

56.  Con particolare riferimento alla questione della sovranità monetaria nei paesi della c.d. area euro, g. guarino, Verso una fase costituente dell’Unione europea, in Riv.it. dir. pub. com. 2009, 1287, sottolinea l’incompiutezza del processo di integrazione per il fatto che la sovranità resta in sospeso tra Stati-non Stati, che hanno rinunciato a buona parte della loro sovranità, e l’Unione, che non ha – e non svolge – le funzioni di ente politico.

Pagine: 1 2 3 4 5 6 7


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy