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Diritto di asilo, competenza dell’Unione, responsabilità degli Stati membri: i fallimenti del c.d. sistema “Dublino”

di - 10 Luglio 2015
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I principi, enunciati dunque dai giudici europei in una serie oramai nutrita di pronunce, mettono a nudo la fallacia del presupposto della “indifferenza” nell’esercizio della competenza, sul quale il sistema di Dublino si fonda.
La consapevolezza, manifestata dalle Corti, delle diversità esistenti di fatto tra gli Stati e tali da vanificare il presupposto dell’ “indifferenza” tra gli Stati stessi in ordine alla trattazione della domanda, smentisce la dimensione europea del sistema comune di asilo. La sostanza statale emerge e prevale sulla forma[43].

I fallimenti del “sistema Dublino”: i diritti, propri dello status di rifugiato, hanno come esclusivo termine di riferimento lo Stato che ha concesso la protezione. Il secondo indizio del disallineamento tra la dimensione astrattamente europea e quella in concreto statale della funzione di riconoscimento della protezione internazionale emerge a livello normativo.
Come già detto, il principio base del “sistema Dublino”, un solo Stato membro è competente ad esaminare e decidere sulla domanda di riconoscimento della protezione, implica un corollario ben preciso. Il diritto europeo non si limita ad introdurre una finalità comune all’interno di funzioni amministrative che restano proprie degli Stati membri, ma delinea un’unica funzione che ha ad oggetto il riconoscimento della protezione e che è esercitata di volta in volta dall’unico Stato competente. Come già detto, se la funzione non fosse unica a livello europeo, non avrebbe senso la regola per la quale l’emanazione di un provvedimento di riconoscimento della protezione internazionale, da parte di uno degli Stati membri, “consuma” il potere. Non avrebbe senso, in altre parole, escludere che la domanda possa essere proposta e decisa da un altro stato dell’Unione.
Al tempo stesso, i requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato e di beneficiario della protezione sussidiaria sono quelli fissati dalla direttiva 2011/95/UE del 13 dicembre 2011, che contiene le norme “sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario della protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta”[44].
Le norme della direttiva conformano gli ordinamenti degli Stati membri[45]. Il contenuto delle norme europee è dettagliato. I margini di discrezionalità lasciati alle amministrazioni degli Stati membri sono limitatissimi. La portata delle norme, i fatti che legittimano la concessione della protezione, l’atteggiarsi dell’onere della prova dei fatti e l’intensità delle prove richieste sono ulteriormente definiti dalla giurisprudenza delle corti europee, numerosa in questa materia[46].
Gli effetti del provvedimento di riconoscimento della protezione internazionale sono anch’essi sanciti dal diritto europeo, in particolare nella direttiva qualifiche. La direttiva enumera e definisce i diritti che spettano ai beneficiari del riconoscimento. Il diritto di soggiorno, in primo luogo. Coloro che hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria hanno il diritto di soggiornare nel territorio dello Stato che ha concesso il riconoscimento, per un periodo di almeno tre anni, nel primo caso, e di almeno un anno, nel secondo. In entrambi i casi, il permesso può essere rinnovato alla scadenza, se non vi ostano motivi di interesse nazionale o di ordine pubblico. Al diritto di soggiorno sono poi collegati il diritto ai documenti di viaggio, il diritto all’esercizio di un’attività dipendente o autonoma, nel rispetto della normativa generale applicabile alle professioni, il diritto alla formazione e all’aggiornamento professionale, il diritto di accesso al sistema scolastico, all’assistenza sociale e all’assistenza sanitaria secondo le stesse modalità previste per i cittadini dello Stato membro  che ha concesso la protezione. Lo Stato che ha concesso la protezione deve poi provvedere a che i beneficiari della protezione abbiano accesso ad un alloggio, secondo modalità equivalenti a quelle previste per altri cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nei loro territori.
Nei confronti degli Stati membri, diversi da quello che ha rilasciato il provvedimento di riconoscimento della protezione, è riconosciuto il solo diritto di circolazione.
In definitiva, la relazione di cittadinanza, inteso il termine come riassuntivo dell’insieme dei diritti e degli obblighi che intercorrono tra un individuo ed una collettività organizzata, ha come termine di riferimento esclusivamente lo Stato che ha concesso la protezione.
A parte il diritto di circolazione, gli effetti del provvedimento di riconoscimento si producono limitatamente al territorio e solo nei confronti dello Stato membro, che lo ha adottato.
Si potrebbe osservare che tale limitazione discende, e si giustifica pienamente, in virtù del principio di territorialità, per il quale la sovranità dello Stato, ovvero il potere di esercitare l’autorità, resta circoscritto entro i confini del suo territorio.
Il principio di territorialità non pone però un limite insormontabile. Non sono pochi i casi nei quali l’ordinamento europeo riconosce un’efficacia estesa a tutto il territorio dell’Unione al provvedimento emanato dal singolo Stato membro. Il postulato, o il tabù, del principio di territorialità cede spazio alla categoria del provvedimento amministrativo transnazionale[47].
In alcuni casi, l’efficacia transnazionale del provvedimento è automatica.  Sanciti i presupposti per il rilascio di una qualifica ed attribuita alle amministrazioni nazionali la competenza a compiere le verifiche necessarie, l’ordinamento europeo stabilisce espressamente che  il provvedimento emanato da un singolo Stato membro è direttamente efficace in tutto il territorio dell’Unione, senza che le amministrazioni degli altri Stati possano verificarne la legittimità o l’opportunità[48].
In altri casi opera il principio del mutuo riconoscimento, per il quale gli effetti abilitanti del provvedimento adottato in esecuzione della normativa nazionale e a questa conforme, si proiettano al di fuori dei confini nazionali.

Note

43.  La stessa Commissione aveva mostrato di prendere atto delle disomogeneità esistenti tra gli Stati e di come queste di fatto minano il funzionamento del sistema. Una revisione delle regole esistenti era stata dunque caldeggiata nella “Relazione sulla valutazione del sistema di Dublino”, del 6 giugno 2007, COM (2007), 299 e nel Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo, COM (2007) 301. In questi documenti, la Commissione, pure rivendicando la bontà della scelta di fissare criteri oggettivi “chiari ed efficaci” per individuare lo Stato membro competente, aveva manifestato qualche dubbio sul buon funzionamento del sistema e la percezione che situazioni locali di oggettiva carenza del livello di protezione e del sistema di accoglienza possono inceppare il sistema di distribuzione della competenza tra gli Stati. Malgrado queste affermazioni le modifiche che il Regolamento Dublino III, n. 604/2013 apporta al precedente Regolamento  n. 343/2003, c.d. “Dublino II” non investono le linee essenziali del sistema vigente. Tali modifiche riguardano la definizione di familiare, rilevante ai fini della individuazione dello Stato competente; l’effetto sospensivo del ricorso; i termini per la procedura di ripresa in carico; il possibile trattenimento del richiedente per evitare pericoli di fuga; lo scambio di informazioni sanitarie a tutela del richiedente.

44.  La nuova Direttiva qualifiche non si discosta di molto dalla precedente Direttiva 2004/83/CE, la quale era comunque considerata come lo strumento meno problematico tra quelli approvati durante la prima fase di attuazione del sistema comune europeo di asilo.

45.  Nell’esaminare e decidere sulla domanda di protezione, le amministrazioni degli Stati membri devono verificare la sussistenza dei presupposti del riconoscimento attualmente sanciti dalla direttiva 2011/95/UE che modifica la precedente 2004/83/CE. La direttiva del 2011 è recepita in Italia dal d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 18. La disciplina internazionale, e in primo luogo la Convenzione di Ginevra del 1951, cui il diritto europeo si conforma, attribuisce lo status di rifugiato a chi ha personalmente ha subito, o ha il fondato timore di subire, persecuzioni da parte dello stato di origine. La disciplina italiana, di rango costituzionale, è diversa. Per un certo periodo, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha accolto la tesi della portata  immediatamente precettiva dell’art. 10, comma 3, Cost., che attribuisce il diritto di asilo a chiunque provenga da un paese nel quale è generalmente impedito l’esercizio delle libertà democratiche, indipendentemente dalla sua condizione personale. Come conseguenza dell’immediata portata precettiva della norma della nostra Costituzione, si è ammesso che lo straniero possa far valere davanti al giudice italiano il diritto soggettivo all’ottenimento dell’asilo, ricorrendo le meno restrittive condizioni prescritte dalla norma interna, cfr. Cass., sez. un., 17 dicembre 1999, n. 907; id., 26 maggio 1997, n. 4674, in Riv. amm., 1997, p. 927. In dottrina, cfr. c. esposito, voce “Asilo (dir.cost.)” in Enc. Dir. Milano, 1958, vol. III, p. 223 e a. cassese, sub. Art. 10, in Commentario Branca, Bologna, 1975, p. 523. L’indirizzo, non condiviso da una parte della giurisprudenza di merito, cfr. App. Firenze, 9 maggio 2005, in Nuova giur. civ. comm. 2006, I, p. 524, con nota di s. e. pizzorno, In tema di asilo politico, e App. Firenze, 13 aprile 2004, in Foro it., 2005, I, c. 244, è stato poi superato dalla stessa Cassazione, cfr. Cass., sez. I, 25 novembre 2005, n. 25028, in Giur. it., 2007, c. 318; id., 25 agosto 2006, n. 18549 in Foro it., 2007, I, c. 1869; id., 1 settembre 2006, n. 18940, in Giust. Civ., 2007, I, p. 625. Sul tema di recente e. giovanardi, Diritto di asilo e status di rifugiato: presupposti diversi ma eguale (e negata) tutela, in Corriere del merito, 2010, p. 511, in commento a Trib. Milano, 12 novembre 2009, che ha dichiarato inammissibile la richiesta di riconoscimento del diritto di asilo in Italia, ai sensi dell’art. 10, comma 3, Cost., in un caso nel quale la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato era già stata presentata in altro Stato dell’Unione europea, così riconoscendo che la disciplina europea prevale su quella nazionale, ancorché di rango costituzionale, e la sostituisce.

46.  Ad esempio, la portata dell’art. 15, lett. c) della direttiva qualifiche è chiarita dalla celebre sentenza della Corte di giustizia, 17 febbraio 2009, C-465/07, Elgafaji che fornisce l’interpretazione  su di un punto chiave della direttiva. La minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria può essere considerata provata quando il grado di violenza che caratterizza il conflitto armato in corso, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi per ritenere che, in caso di rientro, un civile correrebbe un rischio effettivo di subire detta minaccia, per la sua sola presenza sul territorio dello stato. Nella sentenza 9 novembre 2010, C-57/09 e C-101/09, B. e D., la Corte ha escluso che la circostanza per la quale una persona abbia fatto parte di una organizzazione iscritta nell’elenco di cui all’allegato della posizione comune del Consiglio 27 dicembre 2001, 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, per il suo coinvolgimento in atti terroristici e abbia attivamente sostenuto la lotta armata condotta da tale organizzazione non costituisce automaticamente un motivo fondato per ritenere che la persona considerata abbia commesso un “reato grave di diritto comune” o “atti contrari alle finalità ed ai principi delle Nazioni Unite” ed ha affermato che la responsabilità individuale deve essere valutata caso per caso dalle autorità competenti. La sentenza 5 settembre 2012, C-71/11 e C-99/11, interpretando l’art. 9, par. 1 lett. a) della direttiva qualifiche, afferma che perché si abbia atto di persecuzione, nell’accezione di cui alla direttiva,  le autorità competenti devono verificare, alla luce della situazione personale dell’interessato, se questi corra un rischio effettivo di essere perseguitato, o di essere sottoposto a trattamenti o pene disumane o degradanti a cause dell’esercizio della libertà di religione nel suo paese di origine.     

47.  Una definizione di atto amministrativo transnazionale è fornita dal recente studio di a. s. gerontas, Deterritorialisation in administrative law: exploring transnational administrative decision, in Columbia Journal of Europea Law, vol. 13, n. 3/2013, p. 17 per il quale “transnational administrative decision is any state decision of the executive branch directed to produce legal effects outside the territory of the state where the competent issuing authority is located”. Il termine “transnazionale” è dunque impiegato dall’A, e l’utilizzo sembra corretto, nel significato tradizionale che esso assume nella espressione “diritto transnazionale”, ovvero “all law which regulates actions or events that trascend national frontiers”, secondo la definizione classica fornita da p. c. jessus, Transnational law, New haven, 1956.

48.  p. chirulli, Amministrazioni nazionali ed esecuzione del diritto europeo, cit. riporta l’esempio dell’autorizzazione alla commercializzazione dell’acqua minerale. Il provvedimento dell’amministrazione dello stato membro, che certifica la qualità dell’acqua alla stregua dei parametri qualitativi ed organolettici stabiliti dalla normativa europea, è efficace in tutto il territorio dell’Unione ed è vincolante per gli altri Stati membri. Questi possono soltanto adottare misure temporanee di salvaguardia ove abbiano motivi fondati per ritenere che l’acqua non sia conforme alle disposizioni della direttiva.

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