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Diritto di asilo, competenza dell’Unione, responsabilità degli Stati membri: i fallimenti del c.d. sistema “Dublino”

di - 10 Luglio 2015
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La stessa idea di “confine”, che lo “spazio comune di libertà, sicurezza, giustizia” vorrebbe superare, conserva un significato denso, poiché i confini rappresentano pur sempre le linee di demarcazione della sfera territoriale entro la quale – almeno tendenzialmente[26] – lo Stato vede limitata la sua autorità e l’esercita in via esclusiva.
In sintesi, il settore della protezione internazionale e della accoglienza di quanti si rivolgono all’Europa per sfuggire a violenze e persecuzioni rinviene la sua disciplina nei trattati e nelle fonti di diritto derivato dell’Unione, integrate ed interpretate da interventi sempre più frequenti delle Corti europee. Agli Stati residuano funzioni di mera amministrazione indiretta del diritto dell’Unione.
Al tempo stesso, agli Stati membri fanno direttamente capo interessi e competenze che sono incisi in modo profondo dalla materia della protezione.
Il progetto dell’Europa come spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia aperto a quanti chiedono legittimamente protezione nell’Unione, e la declinazione di questo nel senso della realizzazione di un sistema comune di asilo, presenta dunque non pochi margini di ambiguità.
Ambiguità che, del resto, emergono dagli stessi documenti e strumenti europei di programmazione della politica comune di asilo.
Da un lato, con un’enfasi forse eccessiva, questi indicano l’obiettivo del sistema comune europeo di asilo e ritagliano agli Stati membri il ruolo di mera esecuzione indiretta di una funzione dell’Unione. Dall’altro non mettono in discussione la titolarità esclusiva in capo agli Stati membri, del “potere di concedere la protezione e di riconoscere lo status di rifugiato”.

Il c.d. “sistema Dublino” come primo tassello del sistema comune europeo di asilo. Dimensione europea della funzione di riconoscimento della protezione e ruolo di amministrazione indiretta degli Stati. I criteri, volti ad individuare lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale presentata all’interno dei confini dell’Unione da un cittadino di un paese terzo ( o da un apolide), sono contenuti nel regolamento (UE), 26 giugno 2013, n. 604/2013, c.d. Dublino III[27].
La regola cruciale, sulla quale tutto il sistema fa perno, è quella enunciata nell’art. 3 del regolamento del 2013, e già prevista nel regolamento precedente del 2003: la competenza a vagliare la domanda di protezione e a decidere su di essa spetta ad uno solo tra gli Stati membri[28].
La norma risponde ad una ratio precisa. La Corte di giustizia l’ha enunciata in diverse occasioni[29]. La ragione della norma è quella “di razionalizzare il trattamento delle domande di asilo, di evitare la saturazione del sistema con l’obbligo, per le autorità nazionali, di trattare domande multiple introdotte da uno stesso richiedente, di accrescere la certezza del diritto, quanto alla determinazione dello stato competente a trattare la domanda di asilo, e così facendo di evitare il forum shopping. Tutto ciò con l’obiettivo di accelerare il trattamento delle domande nell’interesse tanto dei richiedenti, quanto degli Stati partecipanti”[30].
In base alla regola, il medesimo individuo non può chiedere la protezione ad uno stato membro, in tutti i casi in cui la domanda di protezione è già presentata in uno Stato dell’Unione. Se ciò avvenisse, la seconda domanda sarebbe dichiarata inammissibile.
Una competenza alternativa, una sorta di ne bis in idem, che avvalora la dimensione europea della funzione, o del potere, che ha ad oggetto la concessione della protezione.
Se il potere di accertare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione e di accordarla, fosse proprio dei singoli Stati, la regola che la competenza appartiene ad un solo Stato ed i criteri per l’allocazione dell’unica competenza tra gli Stati non avrebbero ragion d’essere. Alla domanda di protezione non sarebbe opponibile una pronuncia “in rito” declinatoria della competenza. La domanda di protezione dovrebbe poter essere rivolta dall’individuo ad uno qualsiasi tra gli Stati membri e questo sarebbe tenuto a pronunciarsi nel merito.
In definitiva, la regola base del Regolamento “Dublino” (un solo Paese competente ad esaminare e a decidere la domanda di asilo) postula il carattere unitario ed europeo della funzione, che ha ad oggetto il riconoscimento della protezione. L’unica funzione è poi esercitata di volta in volta dallo Stato individuato come competente, in base alle regole oggettive sulla distribuzione della competenza sancite dal sistema.
In questo senso, il Regolamento pone davvero il primo tassello per la costruzione del sistema comune europeo di asilo.
I criteri, in base alle quali la competenza viene allocata in capo all’uno o all’altro Stato, sono elencati in un ordine gerarchico[31] e prendono in considerazione, in sequenza, l’interesse dei minori non accompagnati, l’interesse all’unità del nucleo familiare, la circostanza che il richiedente sia già titolare di un titolo di soggiorno o di un visto valido in un Paese dell’Unione.
Quando nessuno dei criteri elencati può trovare applicazione, in quanto non ricorrono i presupposti di fatto sopra indicati, la competenza ad esaminare e decidere la domanda di protezione incombe sullo Stato di primo ingresso. La regola dello Stato di primo ingresso assolve al ruolo di criterio di chiusura del sistema, in quanto applicabile in ogni caso in cui non ricorrono gli estremi per l’applicabilità di un criterio particolare.
Sul piano procedurale, la verifica della competenza spetta allo Stato, al quale è rivolta la domanda di protezione. La decisione, eventualmente declinatoria della competenza, deve comunque individuare lo Stato competente e disporre il trasferimento del richiedente. Avvero la decisione declinatoria della competenza e che dispone il trasferimento, gli Stati devono garantire mezzi di ricorso effettivi. L’effettività della tutela comporta una revisione della decisione stessa, in fatto ed in diritto, dinanzi ad un organo giurisdizionale. Tali caratteri della tutela giurisdizionale sono espressamente richiesti[32].

Note

26.  Vedi infra nel testo quanto si dirà a proposito dell’atto amministrativo transnazionale.

27.  Il regolamento sostituisce il precedente regolamento 18 febbraio 2003, 343/2003, cd Dublino II, che a sua volta aveva modificato la “convenzione di Dublino”, entrata in vigore il 1° settembre 1997, in GU I, 254 del 19.8.1997.

28.  Art. 3. 1, Reg.  604/2013 “(…) Una domanda è presentata da un solo Stato membro, che è quello individuato come stato competente in base ai criteri enunciati al capo III”.

29.  Vedi Corte di giustizia, Grande Sezione, 21 dicembre 2011, C-411/10 e C-493/10, N.S. c. Secretary of State for the Home Department, su cui più ampiamente infra nel testo.

30.  Corte di giustizia (Grande Sezione), 21 dicembre 2011, cit., § 79.

31.  Art. 7.1 “I criteri per la determinazione dello stato membro competente si applicano nell’ordine nel quale sono definiti nel presente capo”.

32.  In Italia, la giurisdizione è esercitata dal giudice amministrativo. Vedi Tar Lazio, sez. II quater, 12 novembre 2008, n. 10883, sulla base dell’argomento per il quale “il procedimento sull’individuazione dello stato membro competente ed il conseguente provvedimento di trasferimento del richiedente presso quest’ultimo, non attiene direttamente allo status di rifugiato, ovvero di richiedente asilo politico ( questione sulla quale pacificamente sussiste la giurisdizione del giudice ordinario), ma alla fase distinta a precedente rispetto a quella dell’esame della domanda stessa”. Aggiunge Tar Trentino Alto Adige, sez. Bolzano, 17 gennaio 2012, n. 19 che il potere di ciascuno stato membro di esaminare le istanze di asilo politico assume carattere discrezionale “ alla luce dell’art. 3 del Reg. CE n. 343/2003, secondo cui ciascuno stato membro può esaminare una domanda di asilo presentata da un cittadino di un paese terzo anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabili dal regolamento stesso”. Pertanto l’attribuzione della giurisdizione al giudice amministrativo è coerente anche con il tradizionale criterio di riparto, che gravita sulla distinzione tra diritti ed interessi. Nello stesso senso, da ultimo, Tar Lazio, sez. II 2 aprile 2014, n. 3623.

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