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Diritto di asilo, competenza dell’Unione, responsabilità degli Stati membri: i fallimenti del c.d. sistema “Dublino”

di - 10 Luglio 2015
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1. Premessa. – 2. Il sistema comune europeo di asilo nei Trattati e nelle norme di diritto derivato. – 3. Natura della competenza normativa dell’Unione in materia di asilo e ruolo degli Stati membri. – 4. Il c.d. “sistema Dublino” come primo tassello del sistema comune europeo di asilo. – 5. I fallimenti del “sistema Dublino”: l’applicazione del principio di non refoulement nei rapporti tra Stati membri. – 6. I fallimenti del “sistema Dublino”: i diritti, propri dello status di rifugiato, hanno come esclusivo termine di riferimento lo Stato che ha concesso la protezione. -7. L’Europa in mezzo al guado tra sgretolamento e completamento del sistema comune europeo di asilo.

Premessa. Secondo le statistiche fornite dall’alto Commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR), nei primi cinque mesi del 2015, i migranti arrivati in Europa attraverso il Mediterraneo sono stati 103.000. Di questi, 54.000 sono sbarcati in Italia, 48.000 in Grecia, 920 in Spagna, 91 a Malta. Per la sua peculiare posizione geografica, l’Italia va dunque assumendo il ruolo di crocevia dei flussi migratori dal Mediterraneo all’Europa continentale.
I migranti in cerca di asilo ammontano a circa il 50% del totale. L’incremento delle domande di asilo presentate nel nostro Paese negli ultimi anni è esponenziale: 17.352 nel 2012, 26.620 nel 2013, 64.886 nel 2014[1].
Con frequenza direttamente proporzionale a questo fenomeno, la cronaca ci riporta episodi di protesta dei migranti, che si oppongono alla rilevazione delle impronte digitali da parte delle autorità italiane.
Il punto è che la procedura di identificazione[2] (rilevazione delle impronte, foto del volto ed una breve intervista) e l’archiviazione dei dati così acquisiti nel sistema Eurodac individuano il “paese di primo ingresso”.
L’individuazione del “Paese di primo ingresso” comporta conseguenze irreversibili.
Alle autorità amministrative del Paese di primo ingresso è assegnata la competenza ad esaminare e a decidere la domanda di riconoscimento della protezione. Si tratta di una competenza esclusiva, nel senso che la domanda di protezione non può essere contemporaneamente presentata in uno Stato membro diverso. Inoltre finché la domanda non è istruita e decisa (e finché non si siano esaurite le eventuali procedure di ricorso), il richiedente non ha la libertà di circolare nel territorio dell’Unione. Infine chi ha ottenuto la protezione ha comunque il diritto di soggiornare liberamente nel solo Stato che l’ha concessa.
A causa di queste restrizioni, molti migranti, prima di dar corso alla richiesta di protezione o anche dopo averla ottenuta, tentano la fuga verso i Paesi del nord Europa, pur se consapevoli dei pericoli del viaggio[3] e degli ostacoli che la normativa pone ad un loro inserimento regolare, nei nuovi contesti[4].
Al tempo stesso, si moltiplicano gli episodi di insofferenza da parte dei cittadini europei. Crescono le proteste contro una politica di accoglienza che si denuncia come indiscriminata e che comunque sembra andare oltre le capacità dei singoli Paesi. Gli Stati erigono nuovamente i confini.
In definitiva, è diffusa una generale sensazione di malessere. Anche questa trova una conferma nei documenti ufficiali.
Il rapporto pubblicato nel settembre 2013 dall’European Council on Refugees and Exiles (ECRE)[5] esprime un giudizio di netta insufficienza sulle condizioni della accoglienza in Europa. Il sistema comune europeo di asilo (CEAS, nell’acronimo formato sulla espressione inglese Common European Asylum System) è qualcosa di cui si parla negli atti, negli strumenti e nelle azioni di varia natura che nel loro insieme si propongono di realizzare questo obiettivo. Nella realtà, il sistema comune europeo di asilo è ampiamente inattuato. Il rapporto evidenzia inoltre come anche i principi di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri sono ampiamente disattesi, incrinati, anche formalmente, fin dall’inizio dall’opting out esercitato da Regno Unito. Irlanda e Danimarca.  Questi Stati, che non hanno partecipato alla adozione delle nuove direttive, non sono nemmeno soggetti alla loro applicazione[6].
Rispetto a queste disfunzioni, il rapporto attribuisce una responsabilità di primo piano al cd. “sistema di Dublino”, ovvero all’insieme delle regole che presidiano la distribuzione della competenza a decidere sulla domanda di protezione e che sono attualmente contenute nel regolamento (UE) n. 604/2013, c.d. “Dublino III”. Al regolamento si imputa di non tener delle differenze che esistono tra i vari Stati e che riguardano le garanzie procedurali, le garanzie processuali e le percentuali di accoglimento delle domande di protezione internazionale[7], ma anche, e soprattutto, le condizioni di accoglienza e di soggiorno e le effettive possibilità di inserimento delle persone nel contesto sociale e lavorativo[8]
Non è dunque fuor di luogo affermare che il “sistema Dublino” è attualmente il “pezzo più criticato del sistema comune europeo di asilo”[9]. Nella sua rigidità ed astrattezza, impedisce ai richiedenti la protezione di scegliere il luogo in cui vivere. Al tempo stesso, produce effetti iniqui nei confronti degli Stati, attribuendo la competenza a trattare la domanda, e gli oneri connessi, secondo un criterio meramente geografico, quale quello di assumere il ruolo di paese di primo ingresso.
Malgrado le critiche aperte di cui è bersaglio l’insieme delle regole del “sistema Dublino”, le istituzioni europee sembrano non volersi discostare dai principi base, riassunti e ribaditi nel regolamento n. 604/2013 ed esprimono la convinzione che questi principi rappresentino una “pietra miliare nella costruzione del sistema comune europeo di asilo”[10].
La contraddizione è evidente. Nei paragrafi seguenti se ne tenterà una spiegazione.
Lo scritto è articolato su due punti: l’analisi del contenuto e delle implicazioni del c.d. “sistema di Dublino”; la verifica dei suoi “fallimenti”.
Il “sistema di Dublino”, con la sua regole base (la competenza sulla domanda di protezione è esclusiva di un solo Stato membro ed è attribuita in base a criteri rigidi ed oggettivi) individua una funzione amministrativa europea in questa materia. In questo senso, segna realmente il primo passo della costruzione di un sistema comune europeo di asilo e di una, coerente con le indicazioni dei Trattati.

Note

1.  La maggiore pressione riguarda comunque la Germania e la Svezia. In Germania, nel 2014, sono state presentate 202.815 domande di asilo; 74.375 in Svezia; 56.905 in Francia; 22.855 in Belgio; 26.830 in Gran Bretagna; 7.815 in Grecia.

2.  Il fotosegnalamento è obbligatorio secondo l’art. 8, comma 1, del Regolamento (CE) n. 2725/2000 dell’11 dicembre 2000, (cosiddetto Eurodac), per il quale “ciascuno stato membro procede tempestivamente, in conformità alle salvaguardie previste dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della Convenzione delle nazioni unite dei diritti del fanciullo, al rilevamento delle impronte digitali di tutte le dita di stranieri di età non inferiore a quattordici anni, che siano fermati dalle competenti autorità di controllo, in relazione all’attraversamento irregolare via terra, mare, o aria della propria frontiera in provenienza da un paese terzo e che non siano stati respinti”.

3.  La fuga dei rifugiati verso i Paesi del nord Europa è spesso gestito da organizzazioni criminali. Nel 2013 la Direzione Distrettuale Antimafia di Catania ha concluso la operazione “Boarding pass”  che ha portato alla scoperta di una radicata e complessa associazione criminale transnazionale composta da cittadini extracomunitari di nazionalità somala (presenti ed operanti oltre che nelle nazioni africane di partenza quali la Somalia ed il Kenya, anche in Italia, in Grecia e negli altri paesi europei di destinazione dei migranti), il cui compito specifico è quello organizzare e gestire dietro il pagamento di ingenti somme l’immigrazione clandestina di cittadini somali diretti nei paesi del nord Europa.

4.  Vedi le testimonianze raccolte e pubblicate sul sito www.asiloeuropa.it.

5.  Il rapporto dell’ECRE “Not there yet: an NGO perspective on challenger to a fair and effective Common European Asylum System” è stato pubblicato il 6 settembre 2013 ed è disponibile sul sito www.asylumineurope.org.

6.  Vedi, 33° e 34° considerando della dir. 2013/33/UE

7.  Secondo i dati forniti da Eurostat, circa il 27/28% delle domande di protezione presentate negli Stati membri  risultano accolte in prima istanza. Ma la media non dà atto delle notevoli differenze che sussistono tra i vari Stati.  Percentuali molto basse sono registrabili in Grecia (intorno allo 0.9 %), in Lussemburgo (intorno al 2,5%) e a Cipro (dove oscillano tra il 7 ed il 9%); piuttosto basse in Irlanda, Francia, Romania, Lituania e Slovenia ( intorno al 17%); notevolmente alte in Italia (61,7%) e a Malta (90,1%).

8.  Non si può fingere di ignorare che le possibilità per i rifugiati di accedere al mercato del lavoro, e dunque di ottenere una integrazione effettiva, non sono affatto omogenee nei vari Stati membri. Anzi variano in misura considerevolissima nella misura in cui variano il tasso di disoccupazione o, in generale, la forza del sistema economico.

9.  www.asiloineuropa.it , 24 luglio 2013.

10.  Cfr. considerando 7° del regolamento n. 604/2013 (UE).

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