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La metafora in economia: tropo o trucco

di - 1 Ottobre 2013
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Per i fisiocrati, e per definizione, il sovrappiù ha origine soltanto nell’agricoltura; e affinché il sistema economico possa riprodursi, il sovrappiù deve circolare tra le diverse classi e settori in modo appropriato. A ciò provvederà un “ordine naturale”, non dissimile da quello che presiede al funzionamento dell’orologio (macchina che allora destava ancora grande meraviglia, anche teologica: Se esiste un così perfetto orologio, esisterà anche un orologiaio!); o un ordine analogo a quello che governa la circolazione del sangue (che allora si conosceva dopo le scoperte di W. Harvey). All’ordine naturale, l’ordine imposto dalla natura, si contrappone l’ordine positivo, l’ordine imposto dalla società; ma potremo vivere nell’Eldorado soltanto se le leggi dell’uomo coincideranno con le leggi della natura.

Credendo a suo modo e secondo i suoi tempi nell’ordine naturale, Quesnay sostiene la dottrina del laissez faire, tuttavia non è Pangloss e circa la sua opera resta fondato il giudizio di Marx. La rappresentazione che Quesnay dà nel Tableau delle condizioni necessarie per la riproduzione del prodotto sociale, è per il Marx delle Teorie sul plusvalore «una idea estremamente geniale, indiscutibilmente la più geniale di cui si sia fin qui resa responsabile l’economia politica»; una idea, aggiungo, che ispirerà gli stessi schemi di riproduzione di Marx, la scuola russo-tedesca e i moderni contributi di von Neumann, Leontief e Sraffa. A fronte di questa lucidità analitica sta l’incapacità dei fisiocrati di cogliere appieno le determinazioni storiche delle loro categorie analitiche; il che li induce a concepire il valore non come una forma del lavoro sociale ma come semplice valore d’uso, come semplice materia, e il plusvalore non come pluslavoro ma come un puro dono della natura.

Tuttavia in questo caso si può rimuovere il pre-giudizio e la metafora che lo cristallizza, e sostenere invece che il sistema economico in cui viviamo non è un orologio, il sangue non vi circola senza sclerosi, e insomma che il sistema non è retto da un ordine naturale: senza perciò compromettere la potenza analitica dello schema di ragionamento. È un caso interessante.

 

La mano invisibile.

Anche quello di A. Smith è un caso interessante. Tutti quanti non hanno letto la Ricchezza della nazioni, cioè quasi tutti, pensano che l’Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni si possa esaurientemente riassumere così: La Mano invisibile! Mano invisibile, e insanguinata, che c’è anche nel Macbeth.

Nella amplissima produzione teorica di Smith (sette corposi volumi nella Glasgow edition), uno Smith astronomo filosofo economista, l’espressione “Mano invisibile“ compare tre volte, soltanto tre volte. Una volta nella Storia dell’astronomia (circa 1750), una volta nella Teoria dei sentimenti morali (1759), e una volta – quella normalmente citata – nel libro IV della Ricchezza delle nazioni (1776):

A parità o quasi di profitti ogni individuo è naturalmente incline a impiegare il suo capitale in modo tale da dare il massimo sostegno alla attività produttiva interna e da assicurare un reddito e una occupazione al massimo numero di persone del suo paese. […] Quando preferisce il sostegno all’attività produttiva del suo paese […] egli mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni.

Nella sua opera, Smith né argomenta né sviluppa né dà importanza a questo concetto: a differenza di molti economisti, anche autorevoli, come K. Arrow e F. Hahn, che vorrebbero trovarvi il fondamento o la conclusione del sistema teorico smithiano. Smith, che conosceva benissimo i fisiocrati, era certamente a favore del libero scambio, tuttavia per definire in che senso Smith è liberista occorrerebbe – come sempre – leggerne i testi; compreso questo passo della Ricchezza, dove Smith rileva come il nuovo ordine sociale, il capitalismo, produce sì ricchezza, e però:

Con lo sviluppo della divisione del lavoro, l’occupazione della stragrande maggioranza di coloro che vivono di lavoro, cioè della gran massa del popolo, risulta limitata a poche semplicissime operazioni, spesso una o due. Ma ciò che forma l’intelligenza della maggioranza degli uomini è necessariamente la loro occupazione ordinaria. Un uomo che spenda tutta la sua vita compiendo poche semplici operazioni non ha nessuna occasione di applicare la sua intelligenza o di esercitare la sua inventiva a scoprire nuovi espedienti per superare difficoltà che non incontra mai. […] In ogni società progredita e incivilita, questa è la condizione in cui i poveri che lavorano, cioè la gran massa della popolazione, devono necessariamente cadere a meno che il governo non si prenda cura di impedirlo.

Il corsivo è aggiunto. D’altra parte si può trovare una rilettura critica delle interpretazioni superficiali e di comodo della “Mano invisibile” in un saggio del 1994 di Emma Rotschild, su Adam Smith and the Invisible Hand; nel quale la metafora viene interpretata – con acribia storiografica e filologica – come una espressione leggermente ironica e forse autoironica.
Lo spettro, la raccolta di merci, il vampiro e i pescecani.

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