La metafora in economia: tropo o trucco
C’è un serbatoio, in alto: il Tesoro, dal quale come acqua la moneta fluisce alle varie destinazioni cui essa può essere indirizzata. Vari rubinetti consentono di dirigere e regolare i vari flussi eccetera. Un “modello” in fondo concettualmente non molto più rozzo dei moderni modelli econometrici, uno strumento per la Wunderkammer del Re, tale che «In verità non resterebbe a desiderare altro se non che il Re, rimasto solo nell’isola, girando continuamente una manovella, faccia eseguire per mezzo di congegni meccanici tutto il lavoro dell’Inghilterra». Le macchine, oltretutto, hanno un grave difetto: «Non c’è macchina, nel grande Meccano del mondo, che non funzioni se non al prezzo di guastarsi».
Il fatto è che il sistema economico in cui viviamo, il modo di produzione capitalistico, è sì un sistema, un insieme di elementi attivi interconnessi; ma un sistema tale che se vi agisce un tempo non newtioniano, muta sia il modo di agire degli elementi sia la sua struttura. È un sistema con una proprietà rara se non unica tra le forme sinora note di organizzazione economico-sociale: un sistema morfogenetico e capace di metamorfosi, al solo fine e condizione che se ne salvi il nesso interno e soprattutto il rapporto tra capitale e lavoro salariato. Dunque non lo puoi rappresentare con un modello, né cristallizzare in una metafora; o forse soltanto in quella non nuova di “Proteo”; non nuova, un po’ banale, storiograficamente e politicamente preoccupante.
L’orlo del baratro.
Infine chiarisco la mia improvvisata distinzione tra tropo e trucco. Nel già ricordato incipit marxiano: «Nelle società in cui predomina il modo di produzione capitalistico, la ricchezza si presenta come una “Immane raccolta di merci”», la metafora è un semplice tropo, e anche molto efficace; nel più recente, ma non meno efficace, “Orlo del baratro” la metafora è invece un trucco, nei suoi due possibili significati di cosmesi e di gioco di prestigio. Infatti non è vero che venti mesi fa l’economia italiana fosse sull’orlo del baratro, mentre ciò è vero ora: e è proprio vero che le cattive metafore producono cattive politiche.
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Non vado oltre, perché non vorrei confermare quel che sostiene l’ideatore del nostro Convegno, l’amico Salvatore Califano: “Voi economisti siete sempre esagerati”. Sarà dunque bene che gli economisti rispettino questi sei comandamenti di G. Orwell:
(ii) Non usate mai una parola lunga, quando se ne può usare una breve.
(iii) Se una parola può essere eliminata, eliminatela.
(iv) Non usate mai la forma passiva, quando si può usare la forma attiva.
(v) Non usate mai una espressione straniera, un vocabolo scientifico o un termine gergale, se c’è un equivalente nel linguaggio comune.
(vi) Trasgredite a queste norme soltanto per evitare di essere incomprensibili.
* Intervento del Prof. Giorgio Lunghini al Convegno “Metafore e Simboli nella Scienza”, tenutosi l’8 e il 9 maggio 2013 presso l’Accademia Nazionale dei Lincei.