La metafora in economia: tropo o trucco
Le cattive metafore producono cattive politiche.
P. Krugman
La metafora economica più volgare è: “Il tempo è denaro”, e non essendo afflitto da questa passione morbosa cercherò di sottrarvene poco. Nell’uso di metafore l’economia è forse la disciplina più indisciplinata, nella letteratura teorica ma sopratutto nella pubblicistica e nel lessico politico: di metafore improvvisate ce ne sono troppe, per enumerarle tutte.
Nel linguaggio degli economisti, oggi un linguaggio arido e prevalentemente matematico, la metafora può funzionare come semplice tropo o come trucco; se come trucco, può essere una cosmesi o un gioco di prestigio. In tutti e due i casi, tropo o trucco, anche in economia si ricorre alla retorica, cito da C. Segre, «in rapporto con i tipi di processi e con gli effetti che si vogliono ottenere dalle istanze giudicanti: sicché gl’interessanti sconfinamenti verso una problematica emotiva sono tutti in funzione del successo oratorio. […] I tropi son quelli che incidono più a fondo nella lingua, ma hanno anche maggior facilità a entrare nella consuetudine, ad assumere un valore semantico riconosciuto e perciò a perdere quello retorico».
La metafora è il luogo in cui le teorie economiche nascondono o svelano il pre-giudizio ideologico. Quando ci si pone un qualche problema, occorre definire il complesso di fenomeni che costituisce l’oggetto di studio; e lo studio è necessariamente preceduto da un atto conoscitivo pre-analitico, quell’atto che J. A. Schumpeter chiama “visione”. Nella costruzione di una teoria, e nel valutarne il realismo e la rilevanza (in economia una proposizione è rilevante se consiste in un risultato teorico ineccepibile e che pone un problema politico), non possono non intervenire l’intuizione storica, la prospettiva politica e la visione sociale.
L’idea prevalente è che l’ideologia debba essere tenuta distinta e separata dal nucleo scientifico della teoria, nucleo che potrebbe così aspirare alla neutralità. Secondo M. Dobb, tuttavia, la distinzione tra l’analisi pura del processo economico e la visione di esso, inevitabilmente condizionata dall’ideologia, non può essere sostenuta a meno di non circoscrivere la prima a un “complesso formale di enunciati”: cui però non si potrà dare il nome di teoria economica se si intende questa come un “complesso di enunciati sostanziali sulle relazioni reali della società economica”. In economia la sfera di ciò che può essere dimostrato rigorosamente è limitata, e vi saranno sempre zone di penombra dalle quali è impossibile rimuovere l’elemento ideologico: di qui l’importanza delle metafore.
Ecco dunque un campionario di sette metafore in economia: L’orologio, la circolazione del sangue e l’ordine naturale; La mano invisibile; Lo spettro, la raccolta di merci, il vampiro e i pescecani; Il corpo politico e la malattia; La passione morbosa, la convenzione e il concorso di bellezza; La macchina; L’orlo del baratro.
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L’orologio, la circolazione del sangue e l’ordine naturale.
F. Quesnay, chirurgo e medico della Pompadour e di Luigi XV, nella stamperia reale per lui apparecchiata a Versailles, nel 1758 pubblica il Tableau économique, un’opera di capitale importanza nella storia delle teorie economiche e di grande pregio come rarità bibliografica.