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La metafora in economia: tropo o trucco

di - 1 Ottobre 2013
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Il corpo politico e la malattia.

In un suo splendido saggio del 2011, Crises as a Desease of the Body Politick, Daniele Besomi traccia la storia di questa metafora nelle teorie economiche del diciannovesimo secolo. Per brevità ricorro a un’altra figura retorica, l’enumerazione:

Bolla, bubbone, circolazione, contagio, convulsione, crisi, epidemia, febbre, floridezza, flusso, follia, ingorgo, languore, malattia, malessere, malsano, mania, panico, prosperità, rimedio, ristagno, salasso, salute, shock, sintomo, terapia eccetera.

Sono tutte metafore ancora frequenti nella pubblicistica economica. Qui però si pone una questione importante: l’uso di metafore mediche induce a pensare che le crisi economiche abbiano cause esterne al sistema economico, il cui stato normale sarebbe la salute e l’equilibrio; mentre dopo Marx e Keynes sappiamo che così non è. È anche interessante notare che per W. Petty, che con il suo Political Arithmetik (circa 1676) è secondo molti il fondatore dell’economia politica, questa scienza è l’anatomia del ‘Body Politick’, con una evidente assimilazione di questo al corpo umano. L’espressione ‘Corpo Politico’ verrà usata a lungo, nella storia delle teorie economiche; fino a quando uno dei massimi esponenti della teoria neoclassica, A. Marshall, con la moglie Mary, la seppellirà scrivendo (1879):

Era costume chiamare la nazione ‘Corpo Politico’. Fino a quando questa espressione era nell’uso comune, quando si usava la parola ‘Politico’ si pensava agli interessi della nazione tutta; e dunque ‘Economia politica’ serviva abbastanza bene come nome di questa scienza; ma ora che ‘interessi politici’ in generale significa gli interessi di una qualche parte soltanto della nazione, sarà meglio lasciar cadere il nome ‘Economia politica’ e parlare semplicemente di Scienza Economica, o più brevemente di Economica.

 

La passione morbosa, la convenzione e il concorso di bellezza.

In J. M. Keynes le metafore sono particolarmente efficaci e devono esserlo. Keynes infatti preferisce il linguaggio ordinario a quello matematico – nonostante la sua preparazione matematica – perché il linguaggio ordinario è più potente di quello matematico e perché consente e fonda l’uso della metafora come arte di una tecnica di argomentazione intesa a convincere: a convincere i suoi colleghi economisti e soprattutto gli uomini di governo.

La passione morbosa per il denaro è descritta da Keynes nelle Prospettive economiche per i nostri nipoti (1930):

L’amore per il denaro come possesso, e distinto dall’amore per il denaro come mezzo per godere i piaceri della vita sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa, un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e a metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido allo specialista di malattie mentali.

Qui c’è il Keynes interessato alla psicoanalisi, ma soprattutto c’è, in nuce, l’idea della General Theory (1936) che l’economia capitalista è una economia monetaria di produzione, un’economia caratterizzata dalla incertezza:

Perché mai vi dovrebbe essere qualcuno, al di fuori delle mura di un manicomio, che desideri usare la moneta come riserva di ricchezza? Perché, per motivi in parte ragionevoli, in parte istintivi, il nostro desiderio di tenere moneta come riserva di ricchezza è un barometro del nostro grado di sfiducia nelle nostre capacità di calcolo e nelle nostre convenzioni sul futuro. Sebbene questo nostro atteggiamento verso la moneta sia esso stesso convenzionale o istintivo, esso opera, per così dire, a un livello più profondo delle nostre motivazioni. Esso subentra nei momenti in cui le più superficiali, più instabili convenzioni si sono indebolite. Il possesso della moneta culla la nostra inquietudine, e il premio che noi pretendiamo per dividerci da essa è la misura della nostra inquietudine.

Anche se in condizioni di conoscenza incerta, tuttavia, dovremo prendere delle decisioni, e ciò potremo fare rimuovendo l’esperienza passata e dunque sottovalutando la possibilità di mutamenti futuri; oppure fingendoci che lo stato attuale dell’economia sia basato su una corretta ponderazione delle prospettive future; oppure:

Sapendo che il nostro giudizio individuale non vale nulla, cerchiamo di ricorrere al giudizio del resto del mondo, che forse è meglio informato. Cioè cerchiamo di conformarci al comportamento della maggioranza o della media. La psicologia di una società di individui, ciascuno dei quali cerca di copiare gli altri, conduce a ciò che potremmo definire un giudizio convenzionale.

Infine il concorso di bellezza:

L’attività di investimento può essere assimilata a quei concorsi dei giornali illustrati, in cui i concorrenti devono scegliere le sei facce più belle tra un centinaio di fotografie.

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