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Levino Petrosemolo, Pierluigi Ciocca, Francesco Karrer, Filippo Satta, Discorso a quattro sugli investimenti pubblici

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KARRER
La consultazione e la partecipazione del “pubblico” – spesso in realtà pseudo partecipazione -, è prevista dalle leggi e praticata in concreto.
Nella mia esperienza non ho conosciuto casi di autentica imposizione di decisioni.  Contrariamente a quello che molti pensano e scrivono. Sto leggendo due piccoli libri che hanno come titoli: Le monde des Grands Projets et ses ennemis, di Serge Quadruppani, Le Découverte, Paris 2018; Résister aux grands projets inutiles et imposés – De Notre – Dame – des Landes à zone, Des Plumes dans le goudron, Textuel, Paris. 2018.
Oltre i titoli, i ragionamenti sviluppati sono pacati e utili. Anche se, ovviamente, favorevoli a chi si oppone:
Quasi sempre le opere sono state “negoziate” con il territorio. Anche nei casi dove la conflittualità è stata ed è maggiore!
E’ accaduto spesso però che i negoziatori nel tempo cambiassero e quindi non rappresentassero più il territorio.
Temporalità del processo decisionale e realizzazione, non possono essere troppo sfasate. Hanno bisogno il più possibile di contestualità, sincronicità.
Di recente, tra gli strumenti di consultazione partecipazione si è aggiunto il «dibattito pubblico». Mi auguro che possa essere più efficace di quelli già in essere. Ma non mi faccio illusioni. La sua efficacia dipende dal contesto del sistema di presa delle decisioni.
La speranza che possa essere risolutivo in sé stesso, è del tutto infondata. Su “ApertaContrada”, abbiamo illustrato casi clamorosi di insuccesso del “débat public”. I due libri ricordati raccontano bene queste esperienze.
E’ noto che di recente in Francia si è provveduto ad una profonda correzione di rotta: dall’applicazione sui progetti si è passati alla anticipazione del dibattito pubblico applicato ai piani!

PETROSEMOLO
Ritieni che ci sia un futuro per il capitale privato come elemento complementare nella realizzazione degli investimenti pubblici?
Voglio dire, tutti gli sforzi che dalla Merloni ter (1998) ad oggi si sono fatti per introdurre ed istituzionalizzare in Italia lo strumento del PF o del PPP sono stati abbastanza vani, o perlomeno abbondantemente deludenti rispetto alle alternative.
Voi sapete come la penso sotto questo aspetto, ne abbiamo parlato spesso: occorre stralciare il comparto delle concessioni e delle PPP dal Codice, concentrare l’attenzione sul gestore e sul developer e non sul costruttore, come invece si è fatto fino ad oggi, eliminare il “rischio amministrativo” come maggiore voce nella diffidenza dei grandi investitori privati, anche internazionali, dal venire a fare il loro lavoro in Italia, affrontare in modo deciso, e questo non vale solo per le PPP, il tema del consenso collettivo nei confronti di un’opera.
Franco, tu che hai un’esperienza diretta e un’attenzione continua verso ciò che succede in proposito all’estero ed in particolare in Francia, dove ci hanno preceduto da tempo su queste problematiche, cosa puoi dirci in proposito e come secondo te incidono le norme europee su tutto il comparto e l’orientamento delle concessioni?

KARRER
Ancora troppo calda è la polemica sulle concessioni autostradali perché non si dica qualcosa sull’istituto della concessione. A mio avviso, come lo è ogni strumento amministrativo, anche l’istituto della concessione è «neutro». Non lo sono né le modalità del rilascio né, ovviamente, i contenuti.
Quindi, nessuna demonizzazione dello strumento.
La critica alla sua utilizzazione, non può non considerare le condizioni nelle quali questa è avvenuta ed avviene.

PETROSEMOLO
secondo te come dovrebbero essere distribuiti i pesi tra Nord e Sud, nel caso di una ripresa degli investimenti pubblici?
Naturalmente dipenderà molto dall’atteggiamento che in proposito vorrà tenere il nuovo Governo, che non mi sembra molto propenso a pensare ad una politica delle infrastrutture

KARRER
In passato si è perfino vincolata per legge la quota percentuale degli investimenti pubblici destinati al Mezzogiorno.
Inevitabilmente molti furono i «by pass» escogitati per superare questa norma.
Poi si è ipotizzato di poter operare nella logica della «perequazione territoriale» delle dotazioni territoriali: si era consapevoli del diverso rendimento degli investimenti tra le diverse aree del paese.
Pur nella loro diversità entrambi i provvedimenti rispondevano al principio dell’equilibrio/riequilibrio delle dotazioni.
Il superamento degli squilibri territoriali era un «must» delle politiche pubbliche nazionali.
Questa nozione via via la abbiamo sostituita con quella di «integrazione». Più recentemente con quella di “connessione”, nel rispetto del “dogma” della rete.
Ma comunque  è con la unità del territorio che  dobbiamo misurarci.

PETROSEMOLO
Grazie Franco, debbo essere sincero, mentre ti ascoltavo ripassavo mentalmente come in un film accelerato, come si dice oggi in “time laps”,  gli anni che mi dividono dai primi momenti in cui mi affacciavo nel mondo dell’architettura, cioè alla fine degli anni ’60. E mi rendo conto non senza sconcerto della profonda verità insita nelle tue parole, e cioè che si è persa di vista la sintesi tra il generale ed il particolare, tra il territorio e l’edilizia. Improvvisamente mi sono venuti in mente i dibattiti a Palazzo Taverna nei martedì dell’architettura promossi dall’INARCH, con Bruno Zevi ed altri autorevolissimi personaggi a vario titolo coinvolti nel mondo della trasformazione del territorio. E mi rendo anche conto che, al di là delle questioni riguardanti le infrastrutture, i codici, la politica, se in questo Paese non si recupera una dimensione culturale ad ampio spettro, che riguardi tutte le classi sociali, ci sarà poco spazio per una ripresa dello sviluppo, risorse finanziarie o no.
Piero, ringrazio anche te per avere centrato in pieno e sintetizzato in modo esemplare quello che sembra un nodo di Gordio, e cioè l’equazione tra sviluppo di un Paese, investimenti pubblici e risorse disponibili, in un contesto quanto mai complesso composto da un Paese in cerca di rilancio e competitività, un continente intero, l’Europa, alla ricerca di una identità, ed un mondo in continua accelerazione evolutiva la cui comprensione sfugge spesso alla nostra dimensione quotidiana.
Alla conclusione di questo dibattito vorrei chiedere al nostro Prof. Filippo Satta, che pazientemente ci ha ascoltati insieme agli altri amici di Apertacontrada, un suo illustre parere sul tema e sulle argomentazioni che si sono sgranate in questa occasione, conoscendo già in anticipo alcune parti del suo pensiero in merito, che non si stanca mai di richiamare e sottolineare.

SATTA
Vi ho ascoltato con molta attenzione ed interesse. In effetti voi sapete come la penso. Da giurista non posso che rimarcare una volta di più che di buone intenzioni è lastricato l’inferno. Detto fuor di metafora, se non si mette mano in modo organico e strutturale all’organizzazione giuridica del nostro Paese, in tutti i settori, ma con particolare attenzione a quelli che riguardano l’intrecciarsi tra il tema degli investimenti pubblici e quello della crescita economica, qualsiasi componente dello Stato, da quella legislativa a quella esecutiva e financo quella giudiziaria, non riuscirà mai a capire e venire incontro alle esigenze della collettività e del Pese intero.
Il nostro sistema giuridico si è aggrovigliato su sé stesso in una gigantesca matassa di norme spesso contraddittorie e di quasi impossibile interpretazione. Il risultato è la generazione di strumenti, per esempio la conferenza dei servizi, che nelle intenzioni avrebbero dovuto essere il momento di sintesi e di espressione di una volontà univoca della PA di favorire l’attuazione di programmi essenziali per il bene della collettività, e che, alla prova dei fatti, si sono rivelati idre a nove teste, babele di voci  incapaci di intessere un dialogo costruttivo e di prendere un indirizzo definitivo per i tanti tasselli piccoli o grandi che costituiscono le basi per il del futuro del nostro Paese.

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