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Deleuze ed il diritto comico (e tragico)

di - 18 Ottobre 2021
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Una nuova ironia secondo Deleuze è aperta da Sade e Masoch.
Sade e Masoch sono i grandi trasgressori, gli autori proibiti ed essi – secondo Deleuze – hanno molto a che fare con la Legge.
Ebbene la domanda è : cosa accade quando il Bene non può più fondare la Legge?
Sade lo dice. Vince il più forte. In questo Sade è l’apripista di Nietzsche.
Così egli disvela e critica nel contempo la rivoluzione francese come ha mostrato Klossowski in Sade prossimo mio (Milano 2017).
La legge è una mistificazione data dall’unione dei deboli, imposta dal più forte che si piega all’esigenza di protezione dei deboli.
La legge cela regimi, tirannie.
Meglio – per Sade – un mondo senza Legge.
La legge è il massimo della Tirannia perché è contro natura.
I tiranni non nascono mai nell’anarchia – dice Chigi in Juliette – li vedrete sorgere solo all’ombra delle leggi.
Il sadismo è – in fondo – autenticamente  antirannico, perché si propone di rovesciare ogni Legge, andando verso l’anarchia come momento liberatorio, possibile però – Sade lo vede –  solo fra un regime di leggi che muore ed un nuovo regime che nasce (momento divino della storia : la rivoluzione, destinata a fallire ad essere posta in scacco da un nuovo ordine in sé repressivo).
A fondare la Legge anarchica  è il Male.
Il Bene non esiste sin già nel kantismo.
Il pensiero di Sade sarebbe per Deleuze un kantismo portato alle estreme conseguenze.
Conseguenze che scoprono l’anarchia.
E le dinamiche di cambiamento della politica.
Se i governi vogliono rovesciare o rinnovare le costituzioni si tuffano nell’anarchia.
L’anarchia è il principio fondante celato, nascosto sotto le pieghe del kantismo.
Ma in fondo è un principio residuale (Sade sa bene – e soffrì il carcere – che le rivoluzioni sono destinate a fallire).
Il Legislatore moderno – con il suo intento di innovazione costante dei rapporti sociali che non tiene conto delle esigenze di adattamento sociale e di costruzione sedimentata e lenta dell’ordine giuridico – è essenzialmente un Legislatore sadiano.

All’opposto per Masoch la Legge va valutata solo nelle sue conseguenze (non ci sono principi).
Alla Legge ci si deve solo sottomettere.
La filosofia di Masoch è una filosofia dell’eccesso di zelo (la burocrazia è per sua natura masochista e richiede temperamenti masochistici nella trasmissione/ esecuzione degli ordini).
Si prende la Legge in parola. La si sposa. Nel matrimonio con La Legge si dischiude un mondo di piaceri.
La punizione, il castigo producono piacere, rovesciano il disagio della civiltà, ma tutto quello che accade non è comprensibile al mondo sociale (dominato dalla corsa al possesso).
La legge che castiga diviene il desiderio e si spoglia quindi di afflittività.
Tu non devi (l’interdetto) diviene Tu devi, le figure di sospensione, le attese di punizione (pure presenti in Kafka) ed i fantasmi che ne derivano sono quindi figure umoristiche che con la fantasia distruggono il timore della Legge (come il timore di Dio).
Nulla teme il masochista.
Un fondo positivo del masochismo risiede nella spoliazione da ogni idea di possesso (tipicamente slava e si ricordi il racconto di Masoch sugli Erranti).
Il sadismo è basato sulla supremazia del padre il masochismo su quella della madre.
La società burocratizzata – il mondo postpandemico fatto di amministrativizzazione delle leggi – è essenzialmente masochistico.

Traiamo qualche conclusione.
Le icone della Legge (le immagini sacre di essa) sono state infrante sin dall’antichità.
Dalla risata dei discepoli di Socrate di fronte alla sua morte.
Ma senza mai rinunciare – nel distacco ironico o nell’uso dell’umorismo esorcizzante il tragico – alla ricerca o all’istituzione  di un fondamento superiore.
E’ la modernità che le ha restaurate (le Icone) sganciandole dalla morale e privandole quindi di fondamento.
Questo consegna l’uomo ad una libertà insostenibile. Ed ogni tentativo di ordinarla è patetico, comico addirittura a fronte del vuoto della Legge, del comando puro.
Le costituzioni sarebbero un rimedio. Ma da più parti attaccato.

Occorre, in proposito,  ricordare il dilemma di Böckenförde che pone il tema dell’insostenibilità delle costituzioni nell’epoca del tramonto del sacro:

“Lo stato liberale secolarizzato si fonda su presupposti che esso stesso non è in grado di garantire. Questo è il grande rischio che si è assunto per amore della libertà. Da una parte, esso può esistere come stato liberale solo se la libertà che garantisce ai suoi cittadini è disciplinata dall’interno, vale a dire a partire dalla sostanza morale del singolo individuo e dall’omogeneità della società. D’altro canto, se lo Stato cerca di garantire da sé queste forze regolatrici interne attraverso i mezzi della coercizione giuridica e del comando autoritativo, esso rinuncia alla propria liberalità e ricade – su un piano secolarizzato – in quella stessa istanza di totalità da cui si era tolto con le guerre civili confessionali”

(Staat, Gesellschaft, Freiheit, Francoforte sul Meno, Suhrkamp, 1976, p. 60)

Il destino della fondazione liberale della Legge è segnato, la radice nichilistica produce totalitarismo e Stato Etico hobbesiano-hegeliano.

La legge – intesa kantianamente – è un movimento ascendente in direzione di un fondamento impossibile.
Tutto ciò è ridicolo ma, dice Deleuze, Kant non se ne accorge. Kant scopre il sublime ma non pratica il riso.

L’ironia socratica – indagata da Deleuze nella Logica del senso – cerca di colmare il deficit dell’individuo mediante un’ascesa verso l’Idea.
Fino al sacrificio di sé che avviene ad opera del Giusto, con effetto di ridicolizzazione umoristica dell’universale salvato solo in concreto dall’atto del Giusto – che formula un giudizio che concilia universale e singolare –  ed accetta il giudizio anche se ingiusto in fondo per rispetto dell’universale medesimo.
Nell’atto del Giusto l’universale – con spaesante mossa umoristica – prova a legittimarsi nel concreto.
Ma la concretezza, nel mondo antico,  non elide mai l’universale. La morte di Socrate è un omaggio – paradossale – al mondo delle Idee.

Kant invece cerca di riconciliare la Legge con la natura dell’uomo come essere finito, riconciliazione impossibile perché non è sostenibile una vita dei valori senza fondamento.
Ma qui c’è anche – visibile – l’aspetto equilibrato dell’ironia classica, potremmo definirla la spinta all’universalizzazione della finitudine.
L’equilibrio illuministico dura lo spazio di un mattino, travolto dalle vicende rivoluzionarie.

I romantici rifiutano questa riduzione dell’uomo al finito, nasce un’ironia nera, fatta di dolore e disperazione per la scomparsa della Trascendenza ma anche di megalomania cosmica nell’aspirazione dell’individuo a perdersi nell’infinito.

L’ironia è ascendente, l’umorismo è discendente.

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