Deleuze ed il diritto comico (e tragico)

Deleuze era per me – e penso per molti – un astruso filosofo del 1968.
Il suo pensiero – percorso da interessi psicoanalitici  ed espresso in modo spesso oscuro – pensavo toccasse in modo molto tangenziale i temi di interesse di un giurista.
Egli rimaneva attaccato allo slogan “l’immaginazione al potere” che ha caratterizzato quegli anni pieni di speranze e disillusioni, finiti per molti – incapaci di resistere alle lusinghe della violenza –  in modo tragico.
A distanza di anni incappo in una serie di letture che mi fanno pensare che ci si trovi di fronte ad un passaggio non banale nella storia del pensiero e ad un passaggio di qualche interesse anche per i giuristi.

Il pensiero di Deleuze si muove fra ordine e caos.
Fra il paterno edipico ed il materno, fra individuazione ed antagonismo e principio di indistinzione.
Per cui cerco di attraversarlo con queste brevi note ad uso del lettore colto che vorrà e saprà ricavare dalla lettura diretta dei testi più di quanto essi suggeriscano a me.

C’è una filosofia del diritto in Deleuze?
Secondo Laurent de Sutter – in  Deleuze e la pratica del diritto,( Verona 2011) c’è una filosofia coerente e correlata al suo sistema di pensiero.
Essa si trova espressa nel libro “Il freddo ed il crudele” (Milano 1996).
Si può sintetizzare nell’affermazione seguente : il diritto è essenzialmente un fenomeno comico.
Nel testo prima citato vi è un capitolo di estremo interesse intitolato “La legge, l’umorismo e l’ironia“ nel quale i principi della filosofia del diritto deleuziana sono tutti articolati.
Si parte da un’immagine classica della legge, dovuta Platone e poi diffusasi nel mondo cristiano (ed ancora in voga).
La legge ha un duplice stato come principio e come conseguenze.
Il principio è che la legge non è prima.
Dipende da un principio più alto che è il Bene. Essa arriva per seconda. Sempre.
Se gli uomini sapessero cosa è il bene (ed aggiungo soprattutto se sapessero seguirlo perché come nota il Grande Inquisitore non ne hanno la forza)  non avrebbero  bisogno della Legge.
Il Bene diserta il mondo.tocacva moto
Nel mondo c’è solo La legge (che viene dedotta dal Bene con le migliori intenzioni di cui gli uomini sono capaci).
Dal punto di vista delle conseguenze obbedire alla Legge è il meglio che si possa fare, non essendovi il Bene, si agisce secondo la sua immagine consegnata nella Legge.
Questa immagine classica è già piena di ironia, di distacco ironico, la Legge è distante dal Bene (pur procedendo verso l’ alto in cerca del Bene); verso il basso poi è in cerca di perenne fondamento ed incontra l’uomo.
Nel processo a Socrate la Legge si piega sul condannato per essere legittimata.
Tutto ciò è umoristico.
La legge fa atto di sottomissione al Giusto (Socrate) che invita a rispettarla anche se è ingiusta.
La legge non si sostiene per se stessa, come principio si fonda (alla lontana) sul Bene, come pratica incontra la sofferenza del Giusto e chiede al Giusto di legittimarla.
Una riflessione di perenne attualità sul ruolo del giudice e della giurisprudenza.
Se nel mondo sono pochi i giusti la Legge diviene non effettiva.
Forse per questo – secondo una tradizione – i discepoli di Socrate ridono mentre egli beve la cicuta.
Ridono perché la Legge può trionfare solo se il condannato la accetta.
L’immagine classica della Legge ne ammette tutta la relatività.

Poi per Deleuze arriva il rovesciamento Kantiano, non è più la Legge a dipendere dal Bene ma il Bene che dipende dalla Legge.
Si tratta della secolarizzazione.
La storia delle rivoluzioni borghesi.
La legge non si fonda su un principio superiore.
Essa si autofonda, essa è il Bene.
Il sacro scompare dal mondo.
La Legge lo invade (oggi in forma di decreti legge e provvedimenti normativi emergenziali come esito di un processo lungo durato il tempo della modernità e della postmodernità).
La legge Kantiana (e kelseniana) è pura legge, pura forma, indipendente da contenuto, oggetto e circostanze (quelle – storicamente contingenti – non sono essenziali per il concetto).
La legge come pura forma (salvagente della forma secondo l’espressione irtiana)è però inafferrabile ed ha un fondo nichilistico.
E’ un salto all’indietro – per Deleuze –  alla legge giudaica ed al mondo sofistico presocratico di Gorgia, dell’uomo misura di tutte le cose.
Questa inafferrabilità della Legge fa sì che essa agisca senza essere conosciuta e costituisca l’uomo in colpa perenne (ambito edipico di erranza).
Di fronte alla Legge moderna, alla Legge come sommo Bene, siamo tutti sempre e già in colpa. Siamo tutti trasgressori e nelle conseguenze applicative il Giusto non conta più nulla, il Giusto non deve agire per il meglio.
Tutto è gioco.
Chi obbedisce alla Legge si sente in colpa e basta. Non si sente un Giusto.
Il bene diserta ancora ma in altra forma il mondo : l’assenza di Giustizia.
La legge manifesta la sua durezza con i più virtuosi, i migliori, i più docili (Freud Il disagio della civiltà, Torino 1985).
Il superuomo di Nietzsche è alle porte.
Di qui la crisi dell’Occidente, crisi dell’assenza di fondamento del giuridico.

Freud – continua Deleuze nel testo in esame – nota che la modernità comporta  la rinuncia a fondare la coscienza morale (il capitalismo infatti è ascetico).
Tanto più vigorosa è la rinuncia tanto più la coscienza morale che ha ereditato le pulsioni represse, è forte e si esercita con rigore.
“L’azione esercitata sulla coscienza da questa rinuncia è tale che ogni frazione di aggressività che noi ci asteniamo dal soddisfare è ripresa dal Super Io ed esaspera la sua aggressività contro l’Io.”
La rinuncia – la sublimazione dell’Eros – è il fondamento dei processi di civilizzazione e costituisce la ragione del “disagio della civiltà” (il concetto era chiaro anche a Kelsen ed è stato da chi scrive analizzato in un piccolo saggio di alcuni anni fa cfr. G. Montedoro, Kelsen e l’amore di giustizia in Dir. e società, 2004, 517).

Deleuze (obscurius per obscurium) evoca ancha Lacan.
La Legge – nota Lacan – è assimilabile al desiderio represso.
L’oggetto della Legge è (ciò che è) interdetto al desiderio (l’interdetto al desiderio è l’oggetto della legge).
La legge preclude al desiderio la sua normale dinamica.
Qui si incontra il tema dell’oggetto del desiderio e della sua identità.
L’identità dell’oggetto è la madre (prima dell’individuazione del Soggetto), l’identità del desiderio è il padre (dopo l’individuazione).
La legge preclude allo stesso tempo l’indistinto (materno) – obbliga a differenziarsi –  ed il desiderio di fonte edipica (paterna) perché obbliga ad essere (kantianamente) funzione senza contenuto.
Edipo vive il desiderio senza legge e questa è la sua ubris.
L’ironia platonica qui è rovesciata.
Conta solo l’indeterminazione della Legge, puramente obbligante ed il castigo.

Kafka – alla stessa altezza di tempo –  disvela l’effetto comico della Legge nel Processo o nel racconto Davanti alla Legge.
Alla prima lettura del libro il Processo, lettura che Kafka tenne personalmente davanti ad un uditorio, Max Brod ricorda che si produsse negli ascoltatori un riso irrefrenabile, liberatorio.
Vi è un solo modo di pensare la legge moderna che ne rovesci la tragicità inaccettabile e l’aridità morale.
Il comico.

Una nuova ironia secondo Deleuze è aperta da Sade e Masoch.
Sade e Masoch sono i grandi trasgressori, gli autori proibiti ed essi – secondo Deleuze – hanno molto a che fare con la Legge.
Ebbene la domanda è : cosa accade quando il Bene non può più fondare la Legge?
Sade lo dice. Vince il più forte. In questo Sade è l’apripista di Nietzsche.
Così egli disvela e critica nel contempo la rivoluzione francese come ha mostrato Klossowski in Sade prossimo mio (Milano 2017).
La legge è una mistificazione data dall’unione dei deboli, imposta dal più forte che si piega all’esigenza di protezione dei deboli.
La legge cela regimi, tirannie.
Meglio – per Sade – un mondo senza Legge.
La legge è il massimo della Tirannia perché è contro natura.
I tiranni non nascono mai nell’anarchia – dice Chigi in Juliette – li vedrete sorgere solo all’ombra delle leggi.
Il sadismo è – in fondo – autenticamente  antirannico, perché si propone di rovesciare ogni Legge, andando verso l’anarchia come momento liberatorio, possibile però – Sade lo vede –  solo fra un regime di leggi che muore ed un nuovo regime che nasce (momento divino della storia : la rivoluzione, destinata a fallire ad essere posta in scacco da un nuovo ordine in sé repressivo).
A fondare la Legge anarchica  è il Male.
Il Bene non esiste sin già nel kantismo.
Il pensiero di Sade sarebbe per Deleuze un kantismo portato alle estreme conseguenze.
Conseguenze che scoprono l’anarchia.
E le dinamiche di cambiamento della politica.
Se i governi vogliono rovesciare o rinnovare le costituzioni si tuffano nell’anarchia.
L’anarchia è il principio fondante celato, nascosto sotto le pieghe del kantismo.
Ma in fondo è un principio residuale (Sade sa bene – e soffrì il carcere – che le rivoluzioni sono destinate a fallire).
Il Legislatore moderno – con il suo intento di innovazione costante dei rapporti sociali che non tiene conto delle esigenze di adattamento sociale e di costruzione sedimentata e lenta dell’ordine giuridico – è essenzialmente un Legislatore sadiano.

All’opposto per Masoch la Legge va valutata solo nelle sue conseguenze (non ci sono principi).
Alla Legge ci si deve solo sottomettere.
La filosofia di Masoch è una filosofia dell’eccesso di zelo (la burocrazia è per sua natura masochista e richiede temperamenti masochistici nella trasmissione/ esecuzione degli ordini).
Si prende la Legge in parola. La si sposa. Nel matrimonio con La Legge si dischiude un mondo di piaceri.
La punizione, il castigo producono piacere, rovesciano il disagio della civiltà, ma tutto quello che accade non è comprensibile al mondo sociale (dominato dalla corsa al possesso).
La legge che castiga diviene il desiderio e si spoglia quindi di afflittività.
Tu non devi (l’interdetto) diviene Tu devi, le figure di sospensione, le attese di punizione (pure presenti in Kafka) ed i fantasmi che ne derivano sono quindi figure umoristiche che con la fantasia distruggono il timore della Legge (come il timore di Dio).
Nulla teme il masochista.
Un fondo positivo del masochismo risiede nella spoliazione da ogni idea di possesso (tipicamente slava e si ricordi il racconto di Masoch sugli Erranti).
Il sadismo è basato sulla supremazia del padre il masochismo su quella della madre.
La società burocratizzata – il mondo postpandemico fatto di amministrativizzazione delle leggi – è essenzialmente masochistico.

Traiamo qualche conclusione.
Le icone della Legge (le immagini sacre di essa) sono state infrante sin dall’antichità.
Dalla risata dei discepoli di Socrate di fronte alla sua morte.
Ma senza mai rinunciare – nel distacco ironico o nell’uso dell’umorismo esorcizzante il tragico – alla ricerca o all’istituzione  di un fondamento superiore.
E’ la modernità che le ha restaurate (le Icone) sganciandole dalla morale e privandole quindi di fondamento.
Questo consegna l’uomo ad una libertà insostenibile. Ed ogni tentativo di ordinarla è patetico, comico addirittura a fronte del vuoto della Legge, del comando puro.
Le costituzioni sarebbero un rimedio. Ma da più parti attaccato.

Occorre, in proposito,  ricordare il dilemma di Böckenförde che pone il tema dell’insostenibilità delle costituzioni nell’epoca del tramonto del sacro:

“Lo stato liberale secolarizzato si fonda su presupposti che esso stesso non è in grado di garantire. Questo è il grande rischio che si è assunto per amore della libertà. Da una parte, esso può esistere come stato liberale solo se la libertà che garantisce ai suoi cittadini è disciplinata dall’interno, vale a dire a partire dalla sostanza morale del singolo individuo e dall’omogeneità della società. D’altro canto, se lo Stato cerca di garantire da sé queste forze regolatrici interne attraverso i mezzi della coercizione giuridica e del comando autoritativo, esso rinuncia alla propria liberalità e ricade – su un piano secolarizzato – in quella stessa istanza di totalità da cui si era tolto con le guerre civili confessionali”

(Staat, Gesellschaft, Freiheit, Francoforte sul Meno, Suhrkamp, 1976, p. 60)

Il destino della fondazione liberale della Legge è segnato, la radice nichilistica produce totalitarismo e Stato Etico hobbesiano-hegeliano.

La legge – intesa kantianamente – è un movimento ascendente in direzione di un fondamento impossibile.
Tutto ciò è ridicolo ma, dice Deleuze, Kant non se ne accorge. Kant scopre il sublime ma non pratica il riso.

L’ironia socratica – indagata da Deleuze nella Logica del senso – cerca di colmare il deficit dell’individuo mediante un’ascesa verso l’Idea.
Fino al sacrificio di sé che avviene ad opera del Giusto, con effetto di ridicolizzazione umoristica dell’universale salvato solo in concreto dall’atto del Giusto – che formula un giudizio che concilia universale e singolare –  ed accetta il giudizio anche se ingiusto in fondo per rispetto dell’universale medesimo.
Nell’atto del Giusto l’universale – con spaesante mossa umoristica – prova a legittimarsi nel concreto.
Ma la concretezza, nel mondo antico,  non elide mai l’universale. La morte di Socrate è un omaggio – paradossale – al mondo delle Idee.

Kant invece cerca di riconciliare la Legge con la natura dell’uomo come essere finito, riconciliazione impossibile perché non è sostenibile una vita dei valori senza fondamento.
Ma qui c’è anche – visibile – l’aspetto equilibrato dell’ironia classica, potremmo definirla la spinta all’universalizzazione della finitudine.
L’equilibrio illuministico dura lo spazio di un mattino, travolto dalle vicende rivoluzionarie.

I romantici rifiutano questa riduzione dell’uomo al finito, nasce un’ironia nera, fatta di dolore e disperazione per la scomparsa della Trascendenza ma anche di megalomania cosmica nell’aspirazione dell’individuo a perdersi nell’infinito.

L’ironia è ascendente, l’umorismo è discendente.

Sade è ironico (ed abissale) nel porre il Male come principio fondante la storia umana ma è umoristico nel delirio anarcoide senza meta, nella celebrazione dell’evento rivoluzionario, che sposa perversione e sovversione, cosciente della loro inanità politica. L’inanità politica è il coerente esito sadiano del politico nell’epoca delle pretese palingenetiche della politica e dei crescenti populismi che si intrecciano.

Masoch è umoristico nell’accettazione della logica del castigo kantiano, divenuto godimento per contratto, il castigo masochistico disvela simbolicamente il funzionamento della filosofia dell’osservanza estrema, radice di ogni perversione burocratica e di ogni mondo orwelliano. Nel futuro ci aspettano castighi senza ragione per ogni più piccola violazione.

Sade è anarchico e paterno, Masoch è totalitario e materno.
Il legislatore moderno è sadiano la burocrazia masochista.
Il primo è prevalentemente ironico, l’altro in fondo umoristico nello scrupolo applicativo.

Ultima figura del comico evocata da Deleuze per descrivere il fenomeno giuridico è la satira, essa è arte della regressione, restituendo la profondità senza fondo e l’altezza illimitata del caos sottostante al diritto, del caos al quale il diritto non riesce a dare ordine.

Kafka poi usa l’umorismo però in modo alto : smonta il kantismo alla radice; l’uomo è colpevole a priori, la legge è inconoscibile, è vuoto, deserta forma, non ha interiorità, essa è solo consegnata in uffici che rimandano gli uni agli altri essa dipende da macchine indiziarie, da procedure astratte, da catene di connessioni procedurali e macchiniche.

Ne risulta un mondo dove la legge è ovunque (prolifera) cambia continuamente (innova) ed occupa ogni spazio, alla fine per la sua onnipervasività non regge, consegnando il mondo ad un caos masochistico-sadiano.

Deleuze ci ha detto molte cose.

Non è solo – come spesso viene rappresentato – il filosofo del 1968,  è soprattutto un filosofo che ha difeso il diritto di filosofare nell’epoca della consumazione / consunzione di ogni pensiero filosofico, consunzione avvenuta a favore dell’arte, della poesia, del racconto o della scienza o dell’analisi linguistica.
Per Deleuze queste vie d’uscita non sono interessanti, la filosofia non lascia il posto ad altro che ad una nuova aurora del pensiero, tutta positiva, tutta ottimistica. Autore profondamente inattuale quindi.
Eppure fa bene leggerlo perché descrive tratti della modernità giuridica.
Egli ci dice che se la filosofia è finita, è ora, tuttavia, di iniziare a pensare.
E a pensare confidando nel mondo più che nel concetto, così credendo nell’amore, nella vita, nella morte, nella radicale empiria.
Impossibili a volersi sono i concetti o le rappresentazioni non le esperienze.
Ciò significa che le esperienze, per essere concettualizzate, non hanno bisogno di un sostegno, nell’infinito, nel trascendente, alla fine nella Legge intesa nel modo classico, aurorale, del felice momento greco.
La trascendenza è abbandonata ma l’esito non è nichilistico ma anarchico-libertario.
Il diritto kantiano diviene oggetto di un’operazione di smontaggio ironico-umoristico che si serve di Kafka come di Sade e Masoch.
Ma lo smontaggio a ben vedere non è fine a se stesso.
Il nostro modo di pensare ogni sistema è l’entropia : come alternativa all’ordine dato si coglie solo la minaccia dell’indifferenziato.
L’infinito è l’informe, il caos che ci aspetta appena fuori dall’ordine.
Per Deleuze l’infinito non è caotico, ma univoco, un processo di produzione incessante della forma.
Il luogo dal quale nascono la molteplicità illimitata delle forme finite.
Il diritto come esperienza quindi perde la sua comicità per divenire processo, esperienza, continua mutevolezza, accadere che accade, senza un soggetto che lo pensa.
Il divenire, il nostro passare, è l’unico assoluto : il diritto è comico per la sua tentazione di fissità, per la sua pretesa di vincere l’indifferenziato,  è nichilistico nel suo fondo kantiano infondato; ma è un gioco estremamente serio (e divino come nel pensiero bruniano) quando, nella legislazione o, più ancora, nel suo divenire complessivo, accetta il divenire ed identifica nuove forme di tutela per bisogni sociali.
Deleuze non aveva un’alta considerazione dei giudici ma piuttosto della giurisprudenza (in quanto intesa come liquidazione delle pretese veritative della filosofia).
Il diritto è un meccano sociale con una storia identificabile nelle fasi del costume (pre-diritto), poi del diritto casistico problematico (topica) poi del diritto legislativo (assiomatico simboleggiato dalla codificazione) che tende a far nascere società disciplinari.

Il diritto però è fatto anche di tradizione, di sguardo nel passato, non un passato empirico, ma un passato trascendentale, significativo; in questa ottica il precedente giudiziario appare come la negazione dell’effimero, come un  elemento performativo, come data che segna un prima ed un poi (prova ne sia che la sentenza della Cassazione n. 500 del 1999 inaugura la stagione della risarcibilità dell’interesse legittimo).
Ultima lezione : la repressione passa dalla condanna di ciò che si muove (anche se il movimento è rischioso oscilla fra poli estremi quello autoritario fascisteggiante che reclama sovranità illimitata e quello schizo-rivoluzionario del desiderio senza legge,  per questo sempre, nella vita sociale, occorre sorvegliare il fascista, il suicidiario, il demente che è dentro di noi e tenere le corti al riparo da estremismi e rigori normativistici e, nel contempo, da anarchia creatrice priva di fondamento che non sia il desiderio ed il bisogno sociale).
Sposare il movimento senza cadere nella rivolta né nella ripetizione.
Una danza su un filo.
La modernità come finitudine che non ha come riferimento altro che se stessa va superata evitando la secca alternativa ordine-caos verso l’accettazione  del molteplice, del plurale, della rete di connessioni, del processo.
Tutto ciò comporta l’identificazione dell’essere nell’attualità della contraddizione.
Ma non comporta alcuna eclissi delle istanze ordinatrici.
Esse però non sono nella giurisprudenza ma in un certo modo di intendere la legislazione o meglio la capacità ordinatrice del diritto.
La filosofia di Deleuze pur essendo una filosofia dell’esperienza, dell’evento, del plurale, non è un elogio della magistratura (egli ha detto parole molto dure contro i giudici; “meglio essere uno spazzino che un giudice”  intendendo riferirsi però ad un giudice vindice di virtù  che creda di rovesciare la verità o la morale mettendosi al centro dell’esperienza ordinatrice, mentre è della verità e della morale che occorre sbarazzarsi) ma di una capacità di innovare che ha il diritto come meccano sociale, una volta che lo si liberi dal giudizio.

Ciò sgancia per Deleuze dalla morale la dinamica giuridica.

1. La legge è un composizione di illegalismi. La esigenza di protezione di un illegalismo diviene lo strumento per la sua legalizzazione.
2. La pratica del diritto non consiste nell’applicazione di un modello, ma nella definizione di mappe : le strategie processuali. La legge non è comprensibile se la si vede solo nella sua contrapposizione all’illegalità.
3. Lo stato di natura non è uno stato sociale (il diritto non si giustifica con ancoraggio alla legge, alla società, ai doveri, ai saperi dei saggi). Il diritto – visibile a partire dallo stato di natura – è potenza. Tutto quello che si può fare è consentito. L’attenzione si sposta dai doveri ai diritti.
4. Il diritto non smette mai di estendersi a nuovi fenomeni, esso è onnipervasivo.
5. Il diritto poi è inclusivo esso si estende a luoghi ed ambiti e persone sempre più numerose (si pensi alle questioni migratorie fra diritto naturale e diritto delle genti).
6. Il diritto abbandona la Potestas dello Stato in favore della Potentia trasformatrice del moderno.

La legislazione moderna non è ben dipinta da queste caratteristiche deleuziane del diritto?
Credo che sia innegabile.
Alla luce di quelle coordinate il diritto francese basato sulla legge è il peggiore di tutti i diritti, il diritto tedesco è migliore conta più sulle istituzioni governanti che sulle leggi, il diritto inglese è il migliore, tratta di costumi e convenzioni senza pretese di totalità.
Si può mettere una chiosa : il diritto italiano è di struttura francese, ma con singolarità che ne fanno un diritto estremamente frammentato e non certo di cartesiana chiarezza.
La  visione di Deleuze è di un conformismo ascetico.
Il diritto è nella sua filosofia un fenomeno crudele.
Per una filosofia senza psicotropi.
Egli vede legge, giustizia, contratto come concetti abusati dai filosofi umanisti ma come concetti privi di fondamento (è nichilista).
Ma vede anche terrore, forza e violenza, paura come psicotropi usati da chi vuole usare il potere vedendo l’umanità come immondizia.
L’umanità non è un tesoro e non è immondizia.
Egli propone un nichilismo attivo, non fare compromessi, la vita stessa non li tollera.
I nichilisti attivi sono creatori. I giuristi sono i creatori più grandi.

Tradotto nel  linguaggio giuridico di interesse per i giudici può stabilirsi qualche ulteriore concreto corollario (deleuziano nell’ispirazione):
Non temere troppo i contrasti giurisprudenziali, sono un segno di vitalità.
La prevedibilità della giurisprudenza è certo un valore, il ritorno all’ordine gerarchico in magistratura no.
Le Plenarie e le Sezioni Unite ci devono dare sintesi possibili, soluzioni proiettate nel futuro,  non ossificazioni dell’esperienza che si pongano con l’autorità insita nella logica degli eterni.

Ultime battute per il lettore che abbia avuto la pazienza di seguirci fin qui.
Massimo Luciani ha analizzato la questione del chaos (Dal chaos all’ordine e ritorno in Liber amicorum Dabì Napoli 2019) portato dalla modernità globalizzata che mette in crisi la statualità con considerazioni che vanno ricordate in questo quadro (pur non occupandosi di Deleuze).
Lo sganciamento della téchne dal topos  –  ci ha detto Massimo Luciani – segna ancora una volta la vittoria del più forte.
Ma tale vittoria è effimera essa –  segna il pericolo al ritorno ad un chaos informe (l’uniformità della globalizzazione è insostenibile e la tutela mutlivello si risolve nella sua pretesa di giurisdizionalizzare la protezione dei diritti nella amputazione – ormai evidente dei diritti sociali) se non si accompagna alla protezione della dimensione concreta territoriale (aggiungerei plurale  leggendo Luciani alla luce di Deleuze che, pur avversando la statualità come società disciplinare criticata da Foucault – cerca nuove forme di ordine giuridico nelle interconnessioni plurali) della vita (e così si delinea la pensabilità di una forma di globalizzazione sostenibile che si faccia carico della logica del topos e della necessità della politica legata al territorio).

Questo è da decidere in futuro, quasi a guisa di rifondazione del politico legato alla metamorfosi degli Stati (non alla loro scomparsa) analizzata da Geminello Preterossi (Ciò che resta della democrazia Roma Bari 2015).

Ogni decisione alla fine è infondata eppure va presa; Cacciari (Icone della Legge riportato nel saggio citato di de Sutter ) pensa che questo sia il tragico in Kafka.
Ma non è proprio questo tragico ad essere in conclusione comico ossia così evidentemente inadeguato da suscitare ilarità?
Un sottofondo ilare ha ogni esame e rivalutazione  del fondamento anarchico del liberismo e del liberismo (che pure se ne differenzia).
E’ questa l’attualità inattuale di Deleuze.