L’avvocatura di fronte ai diritti umani
2. Di fronte a tale mutamento dello scenario, la Costituzione è stata modificata, dal 1963 al 2005, in ben trentaquattro articoli: ma nessuna delle modifiche ha riguardato i princìpi fondamentali o la prima parte, sui diritti e i doveri dei cittadini; e gli innesti significativi di “nuovi diritti”, nella seconda parte, sono stati davvero minimi. Eppure, nessuno negherebbe che i diritti fondamentali riconosciuti si siano implementati in quantità e qualità.
La contraddizione apparente si spiega con il ruolo della Corte costituzionale. A Costituzione sostanzialmente invariata nei diritti affermati, siamo oggettivamente più “ricchi” di situazioni giuridiche discendenti dai diritti fondamentali, grazie all’attività di “estrazione” svolta dalla giurisprudenza costituzionale. Essa spesso ha coniato il “nome” e creato il “linguaggio” dei diritti fondamentali; ne ha precisato contorni e contenuti.
Rigida quando si voglia modificarla o integrarla, la Costituzione si è mostrata flessibile e presbite nel senso positivo di saper guardare lontano, di includere nell’ambito della sua efficacia – e della sua tutela – l’applicazione e le ricadute di nuovi strumenti o di nuove sensibilità: dalla libertà di espressione e di comunicazione alla tutela della privacy e dell’identità; a quella dell’ambiente come conseguenza della tutela del paesaggio; fino alla apertura all’ordinamento comunitario e al mercato.
Attraverso il cammino dal valore al principio, dal principio al precetto, la giurisprudenza costituzionale ha affermato, oltre al bilanciamento (si pensi al diritto alla vita, posto in relazione alla salute della donna gestante), anche la giustiziabilità dei diritti umani fin dalla sua prima sentenza, la n. 1 del 1956.
Nella prospettiva di tutela giurisprudenziale dei diritti fondamentali, oggi si inserisce il profilo del multilevel: la loro protezione attraverso il dialogo fra le Corti nazionali e sovranazionali, segnatamente la Corte Europea dei diritti dell’uomo e la Corte di giustizia dell’Unione Europea. Il fenomeno risponde ad una profonda e diffusa vocazione alla «universalizzazione del diritto»; genera un “circolo ermeneutico” virtuoso, in tema di diritti fondamentali; coinvolge le singole giurisdizioni nazionali: i giudici comuni e gli avvocati, loro interlocutori istituzionali.
Si assiste ad una proliferazione dei centri di tutela giurisdizionale, che assicura il continuo respiro, il dinamismo incessante, l’equilibrio precario sì, ma sempre spostato su un gradino di tutela più alto. Alla richiesta “dal basso” di più intense forme di tutela per taluni profili dei diritti fondamentali, storicamente in ombra, seguono risposte al “vertice”, dalle Corti costituzionale ed europee; i loro esiti decisori generano, a loro volta, ulteriori spunti per affinare ed estendere la protezione giudiziale dei diritti.
E’ un processo non immune da difficoltà o arresti. E’ illusorio credere che la dialettica tra le Corti e tra esse ed i giudici nazionali sia esente da frizioni, incomprensioni, gelosie di ordinamento; che l’integrazione – inseguita e tuttora lungi dall’essere realizzata in sede politica – trovi la strada spianata dall’armonico e quasi idilliaco rapporto tra giurisdizioni. Entrano in gioco tutte le giurisdizioni, di tutti i Paesi membri; con il rischio, tra gli altri, di una sorta di colonialismo giurisdizionale, in forza del quale la giurisdizione “politicamente” più forte orienta o addirittura impone la propria Weltanschauung. Ma l’elaborazione delle nuove frontiere per la protezione dei diritti fondamentali, di fatto, spetta oggi alle giurisdizioni; sia pure in via di supplenza, in attesa che – specie in Italia – la politica torni a decidere, a stabilire princìpi senza limitarsi “ad accertare l’esistente”, a scegliere i nuovi beni da proteggere.
Non si può essere del tutto soddisfatti dell’attuale fase di evoluzione dei diritti fondamentali. La rinuncia alla formalizzazione legislativa (dunque, alla proclamazione con fondamento positivo ed efficacia universale) è compensata dall’effettività giurisprudenziale; quest’ultima garantisce la concretezza della tutela, ma non la sua sistematicità e certezza (non tutti i diritti vengono in rilievo allo stesso modo e nella loro ampiezza).
Resta poi una domanda-chiave, che in genere si evita perfino di porre: «Perché a ricchi cataloghi di diritti fondamentali si contrappongono ristretti testi di doveri fondamentali?» ((Häberle).
3. Il ruolo dell’avvocatura si accresce fortemente in tale contesto, ancor più alla luce della peculiarità europea.
Nella difesa dei diritti umani l’Europa ha saputo realizzare – con lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia – l’unificazione che non è stata in grado di raggiungere nel campo politico, economico, fiscale. Lo ha fatto attraverso un percorso prima giurisdizionale e pretorio, attraverso le decisioni della Corte di giustizia e di quella CEDU; poi politico, attraverso l’articolo 6 del Trattato di Maastricht, la Carta di Nizza e la sua duplice proclamazione (nel 2000 a livello politico, nel 2007 a livello giuridico, con il Trattato di Lisbona).
L’art. 6 del Trattato di Lisbona, apre la via a nuove prospettive di tutela dei diritti fondamentali. L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali di Nizza con lo stesso valore giuridico dei Trattati; e aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950. Soprattutto, si apre la via ad un nuovo equilibrio fra diritti e mercato: la Corte di Giustizia dell’Unione europea tende a divenire giudice dei diritti oltre che delle regole del mercato.
La peculiarità dell’esperienza europea non sta tanto e solo nel riferimento alla centralità dei diritti umani, presenti anche in altri contesti e non riconducibili soltanto ad una logica eurocentrica; quanto piuttosto nella effettività e nella concretezza della loro tutela. Quest’ultima è stata affidata a meccanismi giurisdizionali, che hanno contribuito alla formazione dell’ordinamento europeo; e si è sviluppata nel multilevel, attraverso il dialogo quando non lo scontro fra fonti e giudici, con la garanzia di uno standard comune e la ricchezza della diversità.
Il primo fondamentale contributo alla tutela dei diritti umani in sede europea è offerto dalla CEDU. Più che al contenuto dei diritti contemplati dalla Convenzione (solo taluni, come dice il preambolo, fra quelli civili e politici contenuti nella Dichiarazione universale), occorre guardare al sistema della loro tutela, così come esso si è assestato con il protocollo 11 del 1994: la previsione di un giudice internazionale (la Corte di Strasburgo); la possibilità del ricorso individuale ad esso da parte di chiunque; la condanna dello Stato a far cessare la violazione di quei diritti e ad una equa soddisfazione.