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I presupposti giuridici del confronto competitivo nel mercato nazionale delle scommesse: importanti conferme giurisprudenziali al regime autorizzatorio!

di - 13 Febbraio 2009
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Tale principio, in linea generale, è volto a consentire che “l’autorità di controllo dello Stato destinatario dell’attività in questione deve tener conto degli esami e delle verifiche effettuate nello Stato membro di provenienza”, limitando tale controllo al rispetto della normativa dello Stato d’origine, che deve essere considerata equivalente negli altri Paesi membri, salvo che ricorrano particolari motivi di interesse pubblico!

Ed è proprio questo il punto sul quale ha finito per concentrarsi l’attenzione del Consiglio di Stato.

Il costante richiamo alle statuizioni della sentenza della Corte di Giustizia, 6 marzo 2007 (Placanica), a sostegno delle tesi difensive sulla legittimità dell’operato dei cd. Ctd, circa la incompatibilità del regime nazionale con il diritto comunitario, ha trovato nelle valutazioni dei giudici del Consiglio di Stato un importante, quanto ben argomentato, ostacolo.

La sentenza comunitaria, infatti, ad avviso del Supremo Consiglio «…diversamente da quanto da qualcuno sostenuto, non decreta affatto la fine (per incompatibilità comunitaria) della disciplina nazionale sulla raccolta delle scommesse, disciplina caratterizzata…. dall’esistenza di una concessione (rilasciata all’esito di una gara) seguita dal rilascio di una autorizzazione di pubblica sicurezza», perché si aggiunge «la sentenza Placanica riconosce…che le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi non sono state compresse a causa della previsione di un regime concessorio in quanto tale. Ciò perché tale regime è sostenuto da ragioni di ordine pubblico e sociale e può essere compatibile con quelle libertà in quanto risulti rispondente ai principi di non discriminazione, di necessità e di proporzione».

D’altro canto, è la stessa Corte di Giustizia a considerare, nella sentenza Placanica, che «un sistema di concessioni può, in tale contesto, costituire un meccanismo efficace che consente di controllare coloro che operano nel settore dei giochi di azzardo allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali o fraudolenti[5]». Secondo i giudici di Lussemburgo la contrarietà della normativa italiana ai principi comunitari va ravvisata non nel regime concessorio in quanto tale, bensì nelle modalità con cui tale regime è stato disciplinato ed attuato.

Dunque, la violazione del diritto europeo va ricondotta e limitata a quelle disposizioni di legge che hanno previsto un limitato numero di concessioni; che hanno introdotto limiti ingiustificati alla partecipazione alla gara per l’aggiudicazione delle concessioni, quali l’esclusione delle società quotate con azioni anonime dal bando di gara del 1999; che hanno conservato il regime di monopolio in favore dei concessionari pubblici, soprattutto prorogando le concessioni già attribuite, e non all’intero sistema nazionale.

Note

5.  La Corte di Giustizia, già con la sentenza, 6 novembre 2003, Gambelli ed altri, aveva affermato che costituiscono “motivi giustificati” di restrizione delle libertà tanto “la tutela del consumatore”, quanto “la prevenzione della frode e dell’incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco” e “la necessità di prevenire turbative all’ordine sociale”. Si ricorda che l’intervento dei giudici comunitari traeva origine dalla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale penale di Ascoli Piceno, in ordine al procedimento a carico del Sig. Gambelli ed altri, per violazione dell’art.4 della L.401/1989.

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