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I presupposti giuridici del confronto competitivo nel mercato nazionale delle scommesse: importanti conferme giurisprudenziali al regime autorizzatorio!

di - 13 Febbraio 2009
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I giudici, richiamando a sostegno delle proprie tesi precedenti pronunce del Collegio (Sez. IV, n.4905/2002 e Sez. VI, n.5898/2005), statuiscono che «anche dopo la sentenza Placanica[3] della Corte di Giustizia, l’attività di raccolta delle scommesse svolta senza il previo rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art.88 Tulps debba ritenersi illegittima, anche se la raccolta avviene da parte di Ctd collegati con allibratori stranieri regolarmente abilitati nel loro Paese», e che la stessa sentenza della Corte europea «se, da un lato, ha inciso (sia pure solo in parte) sul sistema concessorio, non ha, invece, travolto (se non marginalmente e di riflesso) il regime autorizzatorio previsto dall’art.88 Tulps»[4].

Ed ancor più significativo è il passaggio successivo in cui il Supremo Consiglio statuisce con solennità che «appurato che il regime di autorizzazione rimane in piedi e che l’autorizzazione svolge una funzione anche autonoma rispetto alla concessione (perché diretta a verificare requisiti di moralità e affidabilità da parte del soggetto che intende svolgere l’attività di intermediazione), non è certamente sostenibile che un soggetto possa pretendere di svolgere l’attività di raccolta delle scommesse senza sottoporsi al vaglio preventivo dell’autorità di pubblica sicurezza (iniziando, come è avvenuto nella specie, a raccogliere scommesse senza nemmeno presentare la richiesta di autorizzazione o senza nemmeno attendere l’esito della richiesta presentata)».

Un vaglio, quello demandato al Questore, dunque, che a giudizio del Consiglio di Stato rimane barriera insuperabile a tutela dell’ordine pubblico e sociale nei confronti di qualunque possibile manifestazione di attività illecita e criminale!

Una funzione di controllo erga omnes che l’ordinamento nazionale demanda alle autorità di pubblica sicurezza e che non può essere ritenuta astrattamente lesiva dei principi comunitari di non discriminazione, necessità e proporzione.

Molto opportunamente, in questa sentenza, i giudici d’appello distinguono ciò che in passato ha arrecato un vulnus ai principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, vale a dire le norme che hanno limitato il diritto di impresa, da ciò che diversamente rappresenta legittimo esercizio, da parte di uno Stato membro, di funzioni e competenze sue proprie quali, in primo luogo, assicurare il controllo della sicurezza e dell’ordine pubblico sul territorio nazionale!

La sentenza, d’altro canto, non omette di considerare, neanche, che tra i requisiti soggettivi necessitati per il rilascio dell’autorizzazione vi sia la titolarità di una concessione, “con la conseguenza che il mancato ottenimento della concessione inibisce l’ottenimento dell’autorizzazione di polizia“.

Il noto bookmaker britannico, che nel giudizio è intervenuto ad opponendum, richiamando gli articoli 43 e 49 del Trattato CE, ha rivendicato il diritto di poter svolgere anche in Italia la propria attività in forza dei titoli abilitativi acquisiti nella “madre patria”, invocando, a tal fine, il principio di equivalenza delle normative comunitarie nazionali, elaborato dalla giurisprudenza comunitaria.

Note

3.  Nel cd. caso Placanica la Corte di Giustizia ha ritenuto la disciplina nazionale relativa all’attività di raccolta delle scommesse incompatibile sotto taluni profili con il diritto comunitario.

4.  In sede comunitaria la materia dei giochi e delle scommesse è stata esclusa dall’ambito di regolazione della cd. Direttiva Servizi, lasciandola sotto l’ambito di competenza esclusiva di ciascun singolo Stato membro. Pertanto, la scelta circa il modello di regolamentazione da adottare, concessorio o autorizzatorio, compete unicamente ai Governi nazionali, ai quali spetta anche la scelta degli strumenti normativi idonei al conseguimento degli obiettivi prefissati.

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