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La crisi finanziaria.
La globalizzazione tra tecnica e politica

di - 9 Gennaio 2009
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5. Il mutuo è stata l’occasione della crisi, che affonda in radici più profonde. L’osservazione del fenomeno porta alle seguenti riflessioni:
a) il superamento dei limiti, concetto su cui si fonda la sovranità, è stato visto come la rimozione di un impedimento, presupposto per il raggiungimento del benessere collettivo. In ciò tutti si sono identificati[7]. La finanza globale, priva di territori, è apparsa onnipotente, ragione di euforia perché generatrice di benessere.
La crisi ha tutto sconvolto. L’assenza di limiti, intesi come a-territorialità, rende debole gli stati nazionali, impotenti o quasi di fronte alla finanza globale e ai suoi attuali problemi.
b) L’euforia si è trasformata in terrore. Raramente ciò è accaduto. Perché?
In primo luogo, perché l’estremismo, anche psicologico, porta a questi eccessi. E’ normale, di fronte a fatti sopravvenuti, trasformare l’entusiasmo in tragedia, senza percorrere tappe intermedie.
In secondo luogo, perché l’assenza di limiti determina un duplice effetto: da un lato, impedisce ogni reazione efficace adottata all’interno di un limite; così la reazione dei singoli stati nazionali è reazione all’interno di tanti limiti, che nulla possono nei confronti di un fenomeno, prima fisiologico, oggi patologico, che li trascende; dall’altro lato, l’avvertita sensazione di una incapacità di reagire della politica, chiusa nei propri territori. Se il territorio fonda il potere politico, questa si muove in quell’ambito[8]. La crisi mondiale non può essere affrontata dalla Russia o dall’America, è una crisi diversa, dove la reazione non può essere locale, ma planetaria; e tuttavia non esiste una autorità planetaria, che si ponga al di sopra dei territori.
In terzo luogo, perché la tecnica ha soppiantato la politica, nel senso che nel sotto sistema economico, è questa l’unica forza, incontrollata e incontrollabile[9].
In quarto luogo -e di qui l’angoscia- perché sinora siamo stati abituati ad individuare un nemico, contro il quale combattere e vincere o soccombere[10]. Il nemico, ora, non c’è, non è Lehaman Brothers o il subprime; il nemico non è fuori di noi, ma è in noi, nel senso che l’identità ci porta ad essere nemici di noi stessi. Contro chi si combatte, allora? Chi si sconfigge o da chi si viene sconfitti? Il nemico invisibile è il sottosistema, che non ha regole, non ha volti, non ha luoghi ed è fuori dal tempo.
E’ questa l’angoscia con la quale dobbiamo convivere.

Note

7. Severino, L’identità della follia, cit., p. 13 ss.

8. Irti, Norme e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari, 2001; Nichilismo giuridico, Roma-Bari, 2005.

9. Sul punto Severino, L’identità della follia, cit., spec. p. 113 ss.

10. Irti, La tenaglia, Roma-Bari, 2008.

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