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La crisi finanziaria.
La globalizzazione tra tecnica e politica

di - 9 Gennaio 2009
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La localizzazione dei centri finanziari in alcune importanti città, peraltro, non ha nulla a che vedere con il concetto di territorio nazionale; anzi, esattamente il contrario; la localizzazione coincide con la denazionalizzazione di quei centri finanziari, fondati -come è stato ben osservato – su una spazialità diversa da quella della territorialità nazionale[6].
I recenti fatti hanno, tuttavia, sconvolto il fenomeno e trasformato l’euforia in terrore.
L’identità è dissolta.
4. Cosa ha generato la crisi? L’occasione è il c.d. mutuo subprime, che è il mutuo concesso dalle banche ad una clientela di scarsa o media affidabilità, dunque non prime, ma subprime. In alcuni casi, quei mutui sono stati concessi anche in assenza di un mortgage (ipoteca) sulla casa, di conseguenza, con bassissime probabilità di essere ripagati.
Detti mutui sono stati concessi proprio per consentire l’acquisto della prima abitazione e, per tale ragione, sono stati definiti “mutui residenziali”.
Per ridurre il proprio rischio, le banche che avevano concesso mutui subprime, hanno proceduto ad effettuare cessioni in massa dei propri crediti a società veicolo ovvero ad altre banche, le quali versavano alle prime un corrispettivo pari alla metà del valore del credito stesso.
Le società/banche cessionarie, per ridurre il rischio di default connesso ai crediti acquistati, hanno poi proceduto ad imponenti operazioni di cartolarizzazione, attraverso l’emissione di prestiti obbligazionari.
I bond emessi a valle dell’operazione subprime erano, però, titoli molto complessi.
Segnatamente, le banche cessionarie dei subprime hanno emesso titoli detti ABS (Asset Backed Securities), ovverosia obbligazioni che pagavano cedole a interesse prefissato, fisso o variabile (la cui garanzia era rappresentata dai subprime).
Gli stessi ABS sono poi stati “rimpacchettati con altri bonds“, i CDO (Collateralized Debt Obligations), titoli a reddito fisso che derivano dall’aggregazione di diverse attività soggette a rischio di credito.
I CDO sono stati, poi, “impacchettati” in ulteriori CDO e/o in CDS, “Credit Defalut Swap” e quest’ultimi in ulteriori CDO.
In sostanza, le banche non hanno proceduto ad operazioni di cartolarizzazione c.d. “pure“, bensì hanno creato titoli del tutto nuovi e per lo più consistenti in filiere di obbligazioni alternate a derivati (swaps e futures) (detti titoli, in ambiente finanziario, sono stati denominati, per tale ragione, “titoli salsiccia”).
La diffusione progressiva di questi titoli ha fatto sì che anche banche “terze” rispetto alla catena subprime (dunque né cedenti né cessionarie) hanno cominciato ad “operare in CDO e CDS” e questo non solo a scopo di lucro, ma anche di garanzia: hanno utilizzato, cioè, questi titoli a garanzia del rimborso di debiti nei confronti di altre banche (attività c.d. di “collateral“).
L’aumento progressivo dello squilibrio tra liquidità e finanzia derivata ed il c.d. “fattore interdipendenza” tra banche d’affari sono state considerate le due cause principali del collasso dell’intero sistema.

Note

6. Sassen, op. cit., p. 334.

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