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Quale guerra alla corruzione? – Il problema della trasparenza

di - 8 Giugno 2015
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Ne nascono complessi cellulari che funzionano in modo incontrollabile – caotici, appunto, – capaci di crescere in tempi rapidi, a volte rapidissimi, letteralmente avvelenando e soffocando il corpo che le ospita. L’ordine è per loro ignoto; spesso, molto spesso, il bisturi del chirurgo, le radiazioni, la chemioterapia hanno effetti limitati, solo temporanei. L’ordine non si ricostituisce.
La seconda analogia è omologa alla corruzione. È l’evasione fiscale, cui sopra già si è accennato. La sola idea che si possa non adempiere ai propri obblighi tributari significa che ci sono persone e imprese le quali ritengono di aver il diritto di fruire di tutto ciò che offrono le comunità, locali e statale, senza dover contribuire; ritengono che i problemi finanziari della società non le tocchino. Come sopra si è visto, secondo una recente, accuratissima indagine[4], l’evasione fiscale in Italia si aggira intorno ai 180 miliardi di euro all’anno. La gravità del fenomeno – che non si vuole stroncare per motivi elettorali[5] – è tale che tutti i governi, prima o poi, nel corso dell’anno sono costretti a “manovre” per trovare qualche miliardo di euro: qualche miliardo contro i 180, sistematicamente sottratti. Ora è certo che la fuga dalla contribuzione fiscale mini gravemente la struttura economica e sociale del Paese. Anche qui non rileva il singolo evasore. Rileva l’esistenza di un fenomeno di evasione comune, condivisa, spesso associata anche alla corruzione. Il corpo sociale è minacciato da un altro tumore.

4. Una cosa è dunque la coppia corruttore e corrotto, riferita a casi singoli o comunque isolati, e tutt’altra la corruzione elevata a sistema sociale. Scoperto un episodio di questo genere, il fatto può essere ricostruito nei dettagli; corruttore e corrotto possono essere inquisiti, sottoposti a giudizio, condannati, espropriati. È una vicenda che riguarda singole persone – e anche se ne impiega decine, a volte centinaia, per condurre indagini, perquisizioni, sequestri, processi. Ed è un episodio che riempie le pagine dei giornali.
Di fronte alla corruzione elevata a sistema, non si può pensare di gestirla muovendo dalla premessa che si tratti di accertare una serie di reati per condannare i colpevoli. Ci si trova infatti di fronte ad una parte di società, numericamente consistente, malata incurabile con gli strumenti del diritto penale e delle relative procedure. Non c’è tempo, né spazio, né personale sufficiente per indagare e processare decine di migliaia di casi di corruzione. Di fronte a processi che durano anni ed anni, la sentenze di condanna non hanno alcuna efficacia dissuasiva sul piano sociale. Nessuno discute che in questo sistema qualcuno possa cadere nella rete della Guardia di Finanza. Ma nel momento stesso in cui viene colto in fallo o in cui si trovano prove della sua corruzione, costui diventa il sig. A o la sig.ra B, con tutti i diritti di ogni indagato e poi di ogni imputato. Arrestati questi, entro poco tempo altre figure li sostituiscono, forti dell’esperienza dei primi.
Il tema è drammatico e riguarda il mondo intero. È certo che gli strumenti penali tradizionali non sono sufficienti per contrastare, combattere e sconfiggere la corruzione. La realtà è durissima: perseguire e punire in maniera socialmente efficace le decine, forse centinaia di migliaia di corruttori e corrotti, è impossibile. Per combattere la corruzione occorre trovare il modo di prevenirla, ovvero di impedire agli “interessati” di praticarla. Questo naturalmente non significa che i reati di corruzione non debbano essere puniti. Il vero problema è un altro. Bisogna impedire, rendere materialmente difficile, difficilissima la corruzione.

5. Il punto di riferimento obbligato per qualunque discorso su questi temi è la Convenzione ONU contro la corruzione, firmata a New York il 31 ottobre 2003, ratificata in Italia con la l. 3 agosto 2009, n. 116[6].
È necessario entrare brevemente nel dettaglio. La premessa è che la corruzione sia un problema molto grave, per “la minaccia che essa costituisce per la stabilità e la sicurezza delle società, minando le istituzioni ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia”[7] e che sia necessario fare ogni sforzo per prevenirla e stroncarla, nell’ambito di una cooperazione internazionale.
In quest’ottica, lo scopo principale, perseguito dalla convenzione ONU, è quello della prevenzione, nella piena consapevolezza che la punizione di corruttore e corrotto non cancella le conseguenze negative della corruzione, né efficacemente la previene. Indica così una serie di interventi preventivi che gli Stati avrebbero dovuto realizzare, al fine di sviluppare coordinate politiche anticorruzione.
Che le misure di prevenzione della corruzione possano essere molte è pacifico. La grande originalità della convenzione ONU sta nell’aver enfatizzato il ruolo del controllo sociale, non tanto sulla corruzione come tale, ma quale strumento di prevenzione, perché investe a monte l’operare delle amministrazioni, il loro agire e la formazione delle loro decisioni. Questo controllo sociale viene configurato in diversi modi. Il primo è certamente la selezione del personale, la sua formazione, la previsione di frequenti avvicendamenti in incarichi e funzioni pericolosamente esposti alla corruzione. Nel coacervo di misure proposte, però, una è quella più innovativa e di decisiva portata: la trasparenza dei processi di funzionamento delle amministrazioni e di formazione delle loro decisioni.
Nell’art. 5, intitolato “Politiche e pratiche di prevenzione” si dispone, al co. 1, che ogni Stato dovrà adottare “politiche di prevenzione della corruzione, efficaci e coordinate che favoriscano la partecipazione della società e rispecchino i principi della rule of law[8], di buona gestione degli affari pubblici e dei beni pubblici, di integrità, di trasparenza e di responsabilità”[9]. I commi successivi specificano la portata del primo, disponendo che ogni Stato membro attui e promuova pratiche efficaci per prevenire la corruzione (co. 2) e valuti periodicamente gli strumenti giuridici e le misure amministrative adottate per verificare se essi siano adeguati per prevenire e combattere la corruzione (co. 3).
Seguono altre norme, adottate anche nel nostro ordinamento, volte a formare il personale più esposto alla corruzione. Si deve infine richiamare l’art. 10. Gli Stati, aderenti alla Convenzione, devono “prendere le misure necessarie per accrescere la trasparenza della propria pubblica amministrazione anche per quanto concerne, se del caso, la propria organizzazione, il proprio funzionamento, e i propri processi decisionali”[10].

Note

4.  Stefano LIVADIOTTI, Ladri etc. cit. La cifra è fondata su dati ufficiali.

5.  È opinione comune, ampiamente discussa e analizzata da LIVADIOTTI, op. cit., pressoché passim.

6.  Non ci soffermerà invece sulla Convenzione penale sulla corruzione in sede OCSE, del 27 gennaio 1999, ratificata con l. 28 giugno 2012, n. 110, poiché essa riguarda specificamente solo la cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale nella lotta alla corruzione.

7.  Convenzione ONU, Preambolo.

8.  Il testo originale inglese della Convenzione usa l’espressione rule of law, con la quale nel mondo anglosassone si intende un regime nel quale il potere pubblico soggiace a regole di diritto. La traduzione italiana, nel testo ratificato con la l. n. 116/2009, usa l’espressione “stato di diritto”: che è tutt’altra cosa. È di origine tedesca (Rechtsstaat), e identifica lo Stato succeduto agli Stati essenzialmente autoritari: Stato, appunto di diritto.

9.  Nel testo inglese “accountability”.

10.  La Convenzione prevede misure di prevenzione – trasparenza inclusa – anche per il settore privato (art. 12).

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