La responsabilità delle banche in Italia ai sensi del D.Lgs. 231\2001
1. La responsabilità delle banche in Italia è disciplinata in via generale dal D.Lgs.
231/2001[1] (di seguito il Decreto) e in via speciale dal Testo Unico Bancario (TUB)[2]. Il primo prevede un modello di responsabilità amministrativa a carico degli enti[3] per reati commessi, nel loro interesse, da persone che rivestano una posizione apicale o che siano comunque subordinate al controllo dei soggetti che hanno funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria. Il TUB invece attribuisce alle autorità di supervisione (in primo luogo la Banca d’Italia) compiti riservati dal Decreto al giudice ed al pubblico ministero[4]. Il TUB prevede anche che l’azione delle autorità di supervisione possa svolgersi in tempi più rapidi o comunque indipendentemente rispetto all’attività giurisdizionale e che il giudice debba essere informato dei provvedimenti presi dalle autorità di supervisione e dell’evoluzione dell’assetto organizzativo della banca[5]. Queste deroghe parziali alla normativa generale trovano la loro fonte nel D.Lgs. 197/2004 [6] che, in attuazione della Direttiva 2001/24/CE sul risanamento degli enti creditizi, ha modificato proprio il Testo Unico bancario prevedendo nuove funzioni in capo alla Banca d’Italia. Quest’ultima, ad esempio, nella fase delle indagini può intervenire con relazioni scritte che vengono equiparate a delle consulenze di fatto[7]. È sempre la Banca d’Italia, sulla base dell’art. 70 del TUB, che può nominare uno o più commissari straordinari con il compito di gestire gli istituti di credito colpiti dalla sanzione interdittiva prevista agli artt. 9 ss. del Decreto, compito che il Decreto affida per gli altri enti al giudice. Il TUB prevede anche che l’azione delle autorità di supervisione possa svolgersi indipendentemente o comunque con tempi più rapidi rispetto all’attività giurisdizionale e che il giudice debba essere informato dei provvedimenti presi dalle autorità di supervisione e dell’evoluzione dell’assetto organizzativo della banca[8]. Ancora più ampie sono poi le eccezioni alla normativa generale nella fase dell’esecuzione dove il ruolo riconosciuto dal TUB a soggetti estranei alla giurisdizione penale viene a mutare profondamente i tratti della fase esecutiva sotto un duplice profilo. In primo luogo la normativa processuale speciale consente all’autorità amministrativa di modificare il contenuto delle sanzioni (irrogate in sede penale) le quali perdono la propria natura originaria per trasformarsi nei diversi strumenti ordinariamente predisposti per fronteggiare le varie situazioni di crisi, strumenti che non hanno necessariamente natura di sanzioni. A titolo di esempio si pensi al caso in cui all’interdizione temporanea dell’esercizio dell’attività bancaria decisa dal giudice subentri la liquidazione coatta amministrativa di cui all’art. 80 TUB, un provvedimento che conduce alla dissoluzione dell’ente. In questo caso l’autorità di supervisione ha la facoltà di incrementare l’entità della sanzione andando oltre le previsioni dell’autorità giudiziaria. Viene, in secondo luogo, sottratta al controllo del giudice la competenza a conoscere dell’esecuzione delle sanzioni amministrative dipendenti da reato, prevista dall’art. 74 del Decreto, in quanto, contro i provvedimenti adottati direttamente dalla Banca d’Italia o, su sollecitazione di questa, dal Ministro dell’Economia, unico ricorso esperibile sarà quello ordinariamente ammesso per gli atti delle predette autorità. Il complesso di norme rappresentato dal Decreto risulta così incentrato intorno al ruolo di sorveglianza nel settore di raccolta e erogazione del credito svolto dalla Banca d’Italia.
2. In via generale invece, il dibattito sulla responsabilità degli enti introdotta dal Decreto ha innanzitutto coinvolto la dottrina giuridica italiana circa la natura della responsabilità. Molti studiosi ne hanno sostenuto la natura penale sulla base della presenza di elementi tipici di quest’ultima quali l’attribuzione al giudice penale della competenza a giudicare sulle violazioni del Decreto, l’applicazione del principio di legalità e la previsione della retroattività della legge più favorevole[9]. In tal senso deporrebbe anche il disposto dell’art. 8 del Decreto il quale prevede che tale responsabilità possa sussistere in capo alla persona giuridica anche quando l’autore del reato non sia identificabile o non sia imputabile. Saremmo cioè in presenza della concretizzazione in capo agli enti del principio della personalità della responsabilità penale sancito dall’art. 27 della nostra Costituzione. Secondo questa interpretazione, l’ente, nel disposto dell’art. 8 del Decreto, viene considerato un centro autonomo di imputazione della responsabilità ed equiparato così alla persona fisica[10]. Altri commentatori[11] invece sono contrari ad una piena equiparazione con la responsabilità delle persone fisiche[12] ritenendo impossibile adattare i principi base del diritto penale con la natura delle persone giuridiche. Essi richiamano in primo luogo l’art. 27 della Costituzione il cui dettato costituirebbe un ostacolo insuperabile alla previsione di forme di responsabilità penale pura per gli enti. Sullo stesso punto, vi è poi chi[13] ha parlato di “rischio di annacquamento” della norma costituzionale in tema di responsabilità[14], con inevitabile svuotamento della ratio per la quale la norma è stata formulata. Effettivamente i criteri di imputazione soggettiva ed oggettiva indicati nel Decreto, insieme alla più ampia disciplina generale, palesano il tentativo di adeguare i canoni classici della responsabilità penale dei soggetti a quella degli enti. I problemi maggiori sono ovviamente legati alla modulazione dell’elemento psicologico che nelle persone giuridiche risulta di difficile quantificazione. Ad assumere importanza è la volontà dell’impresa, intesa come l’insieme di scelte consapevoli che guidano una determinata politica aziendale, formatasi attraverso le persone fisiche che ne compongono gli organi. D’altra parte, la tendenza ad una tutela penalistica è visibile anche in quelle previsioni del Decreto che prevedono sanzioni tipiche del diritto penale e l’utilizzo di tutti i meccanismi previsti da questo genere di processo (dalla fase delle indagini passando attraverso quella del dibattimento fino a quella dell’esecuzione) con adattamenti legati solo all’esigenza di renderli compatibili con la natura della persona giuridica. Come si può verificare dalla Relazione introduttiva al Decreto, l’intera normativa è costruita avendo come punto di riferimento la persona giuridica come principale centro di imputazione della responsabilità nascente da reato.
Note
1. Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 140 del 19 giugno 2001.↑
2. Decreto Legislativo 1 settembre 1993, n. 385 e successive modifiche e integrazioni.↑
3. Ai sensi dell’art. 1 le disposizioni del D.Lgs. 231/2001 si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica. Non si applicano invece allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.↑
4. Queste deroghe parziali alla normativa generale trovano la loro fonte nel D.Lgs. 197/2004 che, in attuazione della Direttiva 2001/24/CE sul risanamento degli enti creditizi, ha modificato proprio il Testo Unico bancario prevedendo nuove funzioni in capo alla Banca d’Italia, funzioni che coprono l’intero spettro del processo penale, dalla fase delle indagini preliminari (quindi del procedimento) passando per quella del giudizio vera e propria, fino all’esecuzione della pena.↑
6. Decreto Legislativo 9 luglio 2004, n. 197, “Attuazione della direttiva 2001/24/CE in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi“, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 82 del 5 agosto 2004.↑
7. Così dispone l’art. 97-bis TUB.↑
9. Così T. Padovani, Diritto Penale, Milano, pg. 86.↑
10. V. O. Di Giovine, in Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in AA. VV. (a cura di G. Lattanzi), Reati e responsabilità degli enti. Guida al D. Lgs. 231/2001, Milano, 2008, pg. 123-132.↑
11. V. ancora O. Di Giovine la quale ha parlato di un sistema geneticamente modificato che il legislatore avrebbe sperimentato con questo decreto, in op. cit., Milano, 2008, pg. 15-16.↑
12. V. G. De Vero, il quale ha ipotizzato la nascita di un terzo binario in cui le sanzioni per gli enti si accosterebbero alle pene in senso proprio ed alle misure di sicurezza. G. De Vero, Riflessioni sulla natura giuridica della responsabilità punitiva degli enti collettivi, in AA.VV. (a cura di G. De Francesco), La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia “punitiva”, Torino, 2004, pg. 89 ss.↑
13. Sul punto v. F. Bricola, Il costo del principio “Societas delinquere non potest” nell’attuale dimensione del fenomeno societario, in (a cura di S. Canestrari e A. Melchionda) Scritti di diritto penale, Milano, 1997, pg. 2981ss.↑
14. V. A. Alessandri, il quale anche dopo l’emanazione del D. Lgs. 231/2001 ha continuato a nutrire perplessità riguardo all’opportunità di una responsabilità penale pura, per la difficoltà di riconoscere nei confronti degli enti la funzione rieducativa della pena, Art. 27, in Commentario alla Costituzione, (a cura di G. Branca), Bologna, 1975, pg. 404 ss.↑