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La responsabilità delle banche in Italia ai sensi del D.Lgs. 231\2001

di - 11 Novembre 2011
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4. Quanto alle banche italiane, come noto esse operano all’estero soprattutto attraverso filiali, società controllate oppure attraverso lo strumento del gruppo multinazionale. Quest’ultimo però non è preso in considerazione dal Decreto all’art. 4, che disciplina semplicemente il reato dell’ente commesso all’estero. Il Decreto infatti non consente di imputare a soggetti determinati la commissione dei reati qualora questi vengano perpetrati nell’ambito di una politica di gruppo. Inoltre i principi di garanzia propri del diritto penale non consentono un’applicazione della responsabilità oggettiva addebitando alla capogruppo qualsiasi illecito posto in essere dalle proprie controllate. A questo riguardo la dottrina[24] ritiene applicabile la nozione di gruppo prevista dal TUB e dal nostro Codice civile dopo la riforma del diritto societario del 2003 e in secondo luogo propone di applicare la fattispecie penalistica di concorso di persone nel reato e quindi considerare responsabile la società controllante per gli atti illeciti commessi dalla controllata quando la prima abbia agito a titolo di concorso con la seconda, consapevole dell’attività illecita posta in essere dalla controllata. La capogruppo deve essere quindi a conoscenza del reato posto in essere dalla propria controllata.

5. Come abbiamo visto, il rapporto tra responsabilità penale degli enti ed attività bancaria è caratterizzato dalla presenza di diverse fonti normative in alcuni casi in conflitto tra loro. Un contributo di chiarezza potrebbe arrivare dai processi attualmente in corso di svolgimento in diversi tribunali italiani ed aventi come imputati proprio importanti banche ad operatività transfrontaliera. La recente assoluzione generale emanata dal tribunale di Milano sul caso Parmalat ha già indotto autorevoli commentatori[25] a criticare il sistema italiano rispetto a quelli stranieri che, prima facie, sembrerebbero più severi sia in termini di pene edittali che di condanne effettivamente erogate. In attesa della pubblicazione delle motivazioni, si può ricordare come il Decreto sia incentrato non tanto sulla commissione di un comportamento illecito nell’interesse dell’ente ma sull’adozione di un modello organizzativo adeguato ad evitare la commissione dei reati previsti dal Decreto stesso. È la categoria di “modello idoneo” ad assumere reale importanza all’interno delle disposizioni del Decreto in quanto elemento in presenza del quale la banca può essere dichiarata esente da responsabilità penale. Questo aspetto differenzia in maniera considerevole la disciplina del Decreto rispetto a molti modelli stranieri.
La comparazione con l’ordinamento del Belgio è emblematica in questo senso. Di recente gli amministratori della banca statunitense Citigroup sono stati condannati insieme alla stessa banca dal tribunale di Bruxelles[26] per la violazione contestuale della legge 16 giugno 2006 (relativa alle offerte pubbliche ed all’ammissione di strumenti di investimento sui mercati regolamentati[27]) e del Codice belga dei consumatori. La legge belga in materia di responsabilità penale delle imprese non ruota intorno al concetto di modello organizzativo, mutuando in maniera più diretta il proprio modello di responsabilità penale da quello delle persone fisiche e ponendo dunque l’accento in primo luogo sull’elemento oggettivo e soggettivo del reato. Secondo il nostro Decreto 231, invece, Citigroup non sarebbe imputabile qualora adottasse un modello organizzativo adeguato, e il punto centrale del giudizio, come nel caso Parmalat, sarebbe la valutazione dell’adeguatezza del modello stesso[28].
Più in dettaglio, la disciplina belga della responsabilità delle banche può essere definita penale non solo perché inserita direttamente all’interno del codice penale, ma anche per la struttura che la caratterizza[29]. Per quanto riguarda l’elemento oggettivo del reato, l’art. 5 del Codice penale belga prevede che la responsabilità dell’ente sussiste qualora venga commesso un reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso. Nel nostro paese, come abbiamo visto, l’ambito di applicazione dell’elemento oggettivo è più ristretto in quanto la responsabilità dell’ente risulta impegnata quando l’illecito è commesso da un soggetto in posizione apicale o a un suo subordinato. Nella disciplina belga, a differenza di quella italiana, il criterio di imputazione oggettiva prescinde dalla qualità delle persone fisiche che commettono il fatto rimproverabile. L’art. 5 c.p. richiede tre condizioni alternative: i reati devono essere intrinsecamente legati alla realizzazione dell’oggetto o alla difesa dei suoi interessi o di quelli dei quali i fatti concreti dimostrino che sono stati commessi pour son compte. Essenziale poi è conoscere, ai fini dei criteri di imputazione, l’oggetto sociale dell’impresa stessa.
Lo stesso art. 5 del Codice penale belga prevede poi, oltre a un criterio di imputazione oggettiva, anche che il frutto della condotta della persona giuridica sia attribuibile ad una precisa scelta dell’ente stesso. La differenza con la struttura del D.Lgs. 231/2001 risulta evidente, in quanto in Italia l’elemento soggettivo si esaurisce nell’adozione di un modello idoneo.
La parte più complessa della disciplina belga della responsabilità delle persone giuridiche concerne il concorso nel reato dell’ente e della persona fisica. In tal senso il secondo comma del citato art. 5 dispone una regola ed una eccezione; da una parte, regola generale è quella della responsabilità alternativa: risponderà dell’illecito chi, tra l’ente e la persona fisica, abbia commesso la c.d. faute più grave; dall’altra parte l’eccezione è rappresentata dal cumulo delle responsabilità (della persona giuridica e fisica), qualora quest’ultima abbia commesso il reato con consapevolezza e volontà. Occorre sottolineare come secondo certa dottrina[30] proprio questa parte della disposizione esiga la precisa identificazione della persona fisica affinché scatti la responsabilità dell’ente. Da questo punto di vista, la norma belga è meno chiara di quanto non lo sia quella italiana che all’art. 8 del D.Lgs. 231/2001 prevede che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile. La prima parte del secondo comma dell’art. 5 c.p. enuclea la regola per la quale qualora la responsabilità della persona giuridica dipenda esclusivamente dall’intervento di una persona fisica identificata, solo la persona che ha commesso il fatto più grave può essere condannata. In dottrina il meccanismo della responsabilità alternativa è considerato come una cause d’excuse absolutoire, poiché consente alla persona di non essere sottoposta in concreto alla pena per un fatto comunque considerato illecito sotto il profilo penale[31]. Perché possa concretarsi il c.d. décumul, debbono verificarsi due condizioni, da una parte vi deve essere identità tra il reato colposo commesso dalla persona fisica e quello dell’ente, mentre dall’altra, l’intervento deve essere messo in opera esclusivamente da una persona fisica determinata. I dubbi interpretativi si sono mossi principalmente sulla nozione di intervention della persona fisica. In linea di massima si ritiene che l’intervento in questione consista nell’atto materiale commissivo o omissivo della persona fisica, intervento che sia causalmente legato agli eventi contestati[32]. Il testo della norma sembra oscillare tra un’ottica antropomorfa per cui è possibile concepire un intervento esclusivo dell’ente, ed una invece derivata, per la quale è comunque sempre necessario passare attraverso un atto di una persona fisica.

Note

24.  Per un’analisi completa ed esauriente sul tema si rinvia a E. Scaroina, Il problema del gruppo di imprese. Societas delinquere potest, Milano, 2006.

25.  Sul punto si rinvia alle considerazioni espressa da M. Onado, in Solo in Italia le banche la fanno sempre franca, Il Fatto Quotidiano, 20 aprile 2011.

26.  V. Tribunal de Premier Instance de Bruxelles, 1 dicembre 2010, Parquet: N° 61.97.8129-08, N° 61.99.3356-09, N° 61.99.3365-09.

27.  La Legge 16 giugno 2006 rappresenta il recepimento della Direttiva 2003/71/CE avente tra i suoi obiettivi principali quello di garantire agli emittenti un ampio accesso ai mercati finanziari e contestualmente di proteggere gli investitori attraverso un costante flusso di informazioni complete ed affidabili dirette proprio agli investitori affinché questi possano compiere scelte consapevoli.

28.  Peraltro, nel caso Parmalat l’assoluzione pronunciata dal Tribunale di Milano nei confronti sia dei dirigenti che delle banche estere sembra sia stata pronunciata nel merito (perché il fatto non sussiste). Nel caso specifico i giudici potrebbero non aver avuto bisogno di effettuare alcuna valutazione circa l’idoneità del modello organizzativo.

29.  L’art. 5 del c.p. belga prevede altresì che, qualora ad impegnare la responsabilità della persona giuridica sia una persona fisica identificata, questa possa rispondere insieme all’ente solo se ha commesso l’illecito con piena coscienza e volontà (“sciemment et volontairement”). L’incriminazione contestuale in capo all’ente ed alla persona fisica è possibile solo se la seconda abbia commesso gli illeciti contestati con piena consapevolezza. In caso contrario ad essere responsabile sarà solo l’impresa. Per un’analisi sul tema si consiglia anche E. Pavanello, La responsabilità penale delle persone giuridiche di diritto pubblico. Societas delinquere potest, Padova, 2009, pg. 171-194.

30.  Così . B. Gervasoni, La loi du 4 mai 1999 instaurant la responsabilité pénale des personnes morales : incidences en droit de l’environnement , in Aménagement-Environnement, n. 3, 2001, pg. 211-212.

31.  V. F. Kefer, Deux résponse au sujet de la responabilité pénal des personnes morales, in Rev. Droit. Pén. Crim., 2004, pg. 949.

32.  V. P. Hamer-S. Romaniello, op. cit., pg. 23.

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