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L’Economia sociale di mercato: una visione liberale

di - 5 Luglio 2010
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Molti di essi erano credenti, sia cattolici che protestanti. Lo erano ad esempio Roepke e Erhard. Benché l’ESM, come sottolineò Mueller-Armack, non fosse derivata da un insieme specifico di convinzioni religiose, essa fu però fortemente influenzata dalla morale cristiana, sia dal lato del valore della singola persona che andava riconosciuto aldilà delle sue capacità economiche, sia dal lato del giudizio morale che l’etica cristiana doveva dare sul sistema economico nel suo complesso in quanto conforme o meno ai principi dell’etica sociale. Mueller-Armack, tuttavia, sottolineava come la società moderna sia una società pluralistica, nella quale convivono persone che seguono fedi diverse, e persone che non seguono alcuna fede. Ognuno di questi diversi gruppi ha la propria visione particolare su quale sia il buon ordine della società. Mueller-Armack riconosceva che l’ordine economico-sociale doveva essere tale da permettere a tutti i cristiani di riconoscersi in esso, in modo da assicurare che essi se ne sentissero responsabili. Tuttavia l’ordine economico-sociale non poteva essere costituito sulla base di specifiche dottrine teologiche[2].
Il rapporto tra mercato e valori è un punto particolarmente interessante della teoria dell’ESM. Secondo Mueller-Armack il mercato ha bisogno di valori: ma il mercato stesso non è produttore di valori sociali, né tende ad arricchirli. Quest’idea diventerà particolarmente discussa negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni Sessanta. Per i pessimisti, la società americana si trova sottoposta ad un duplice fenomeno distruttivo. Da un lato vi è la crescente anomia conseguente al processo di astrazione dell’economia capitalistica, a sua volta sempre più de-territorializzata. Dall’altro lato vi è la destrutturazione del tessuto politico tradizionale in logiche dell’appartenenza etnica o sociale. È il fenomeno del “multiculturalismo”, per il quale una parte importante della popolazione americana non si riconosce più né nei canoni culturali occidentali, né nei valori della tradizione cristiana.
A denunciare la pericolosità di questo fenomeno per la stabilità della società americana sono stati intellettuali sia conservatori che progressisti, ovviamente in modi diversi. Forse i primi a farlo sono stati i cosiddetti Neoconservatives americani, tra i quali le figure maggiori sono quelle di Irving Kristol e Norman Podhoretz. Per costoro – esattamente come per i  pensatori dell’ESM – il capitalismo è una forma economica e sociale che, per il suo funzionamento, ha bisogno che gli individui si conformino ad un insieme condiviso di valori morali. Questi valori sono quelli della tradizione giudaico-cristiana. Alle sue origini, il capitalismo ha potuto contare sull’esistenza di un consistente stock di valori. Ma essi erano il prodotto della società agricola pre-industriale, e delle sue forme sociali strettamente legate al predominio della religione. La società capitalistica non è in grado essa stessa di generare valori morali, perché si basa sulla logica utilitaristica del perseguimento dell’interesse individuale. La società capitalistica è quindi destinata al declino, un declino che evidentemente non avrebbe non potuto riguardare la società capitalistica per eccellenza. Su questo punto i Neoconservatives si opposero fortemente ad Hayek, e la sua idea della “Great society” nella quale gli individui hanno in comune le regole ma non i fini. I Neoconservatives vedevano negli Stati Uniti degli anni Settanta un Paese in crisi economica e politica perché in una crisi morale risultato del diffondersi dell’individualismo[3].
Indipendentemente dalle conclusioni che si possono trarre a proposito di una questione così complessa e controversa, è evidente come essa confermi la straordinaria rilevanza delle intuizioni e dei principi dei pensatori dell’ESM.

4. L’ESM non è una visione neocorporativa
Come abbiamo visto, l’ESM mira a fornire una visione globale, nella quale il sistema economico non sia separato dal sistema sociale nel suo complesso. Tuttavia questa visione non coincide affatto con una concezione corporativistica dell’economia e della società, come si è spesso portati a credere seguendo l’uso che oggi viene fatto del concetto di Soziale Marktwirtschaft nella discussione politica in Germania e nell’Unione Europea. Lo scopo era esattamente opposto. Gli esponenti dell’ESM pensavano che vi dovesse essere una netta distinzione tra lo Stato da una parte, e la società dall’altra.
Lo espresse nel modo più chiaro Boehm, in esplicita polemica con Carl Schmitt, nella cui visione assolutistica si giungeva alla completa identità tra Stato e società. Per Boehm un ordine sociale funzionante presuppone invece la separazione tra Stato e società. Lo Stato è una organizzazione al servizio della società. I più importanti servizi che esso fornisce sono la difesa interna ed esterna, e l’amministrazione della giustizia. Esso deve essere un’organizzazione unificata in modo da renderlo esso stesso responsabile sul piano giuridico. La società come tale invece non agisce. La società è un insieme di relazioni complesse e mutevoli nel tempo tra individui portatori di diritti, regolate dal diritto privato. La complessità e l’interdipendenza di questo sistema di relazioni fa sì che sia sbagliato che lo Stato intervenga direttamente nel processo sociale. Per evitare che questo avvenga i poteri dello Stato devono essere definiti ed enumerati in maniera esaustiva. Tutto ciò che ricade aldifuori di questi poteri è dominio della società. Ma lo Stato ha un potere di azione incomparabilmente maggiore di quello della società. Di conseguenza è necessario un sistema di tipo democratico-costituzionale per far sì che esso rimanga dentro i confini che gli sono propri[4].

Note

2. A. Mueller-Armack, The Principles of the Social Market Economy, “The German Economic Review”, 1965

3. A. M. Petroni, Comunitarismo e liberalismo, “Keiron”, 2001

4. F. Boehm, Freiheit und Ordnung in der Marktwirtschaft, Baden Baden, Nomos, 1980

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