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L’Economia sociale di mercato: una visione liberale

di - 5 Luglio 2010
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Da quella esperienza i pensatori dell’ESM trassero la conclusione che la sola maniera per evitare che un sistema di mercato si trasformasse nel suo opposto, un sistema dominato da uno Stato intervenzionista (come fu la Repubblica di Weimar) nel quale i processi economici vengono piegati alle opportunità politiche è la presenza di una politica volta a mantenere una effettiva concorrenza. Ma proprio questo obbiettivo richiede che la politica della concorrenza non sia basata sulle decisioni discrezionali dei politici e dei burocrati. La protezione della concorrenza deve essere una parte della struttura giuridica fondamentale di una società. È un elemento essenziale dello Stato di diritto. Questa visione formò la base della costituzione dell’autorità antitrust tedesca, il Bundeskartellamt come agenzia federale indipendente, non soggetta a specifiche istruzioni da parte del governo, e non strutturata gerarchicamente.
È importante comprendere la differenza tra l’approccio alla tutela della concorrenza proprio della ESM, e l’approccio prevalente nella dottrina anglosassone. Come è noto, nel mondo anglosassone prevalgono due approcci diversi alla politica antitrust. Secondo il primo approccio l’economia capitalistica di mercato ha una tendenza innata alla cartellizzazione. Questa tendenza deve essere contrastata da politiche attive antitrust, il cui criterio ispiratore sia quello del raggiungimento della massima efficienza globale del sistema economico – o, in termini più astratti, la massimizzazione dell’utilità globale.
Per il secondo approccio è lo stesso processo di mercato che porta ad erodere le posizioni di monopolio, dominanti, ed i cartelli. Questi esistono ed esercitano la loro influenza negativa soltanto in tanto e per quanto lo Stato interviene a crearli e a proteggerli attraverso una legislazione che garantisce loro privilegi giuridici e sovvenzioni. L’efficienza di un mercato non è mai definibile in termini di quote di mercato, ma delle condizioni di accesso ad esso. Se non esistono restrizioni legali all’ingresso in un mercato, è irrilevante che un certo produttore ne detenga il 10 od il 90 per cento. Una grande quota del mercato significa semplicemente che quel produttore fornisce un bene o un servizio che la gran parte dei consumatori reputa migliori di quelli offerti dai concorrenti.
Questa argomentazione si basa su due considerazioni fondamentali. La prima è di carattere storico. Di fatto, la gran parte dei monopoli (o degli oligopoli) destinati a durare nel tempo sono stati il risultato della protezione legale garantita dallo Stato. Quando questa protezione non vi è stata, il monopolio ha avuto carattere temporaneo. La seconda considerazione è che l’evidenza storica mostra come le politiche antitrust non sono affatto “neutre”. Di fatto, la regolamentazione è sempre diretta a favore di quei gruppi economici e di interesse che sono in grado di esercitare una influenza decisiva sul processo legislativo e quasi-giudiziario. Poiché nessun economista e nessuna autorità è in grado di stabilire in maniera rigorosa quali siano le quote di mercato al di sopra delle quali vi è una posizione di monopolio, o quali siano le pratiche commerciali lesive della concorrenza, lo spazio per le decisioni discrezionali è ben ampio, come hanno d’altronde mostrato le ricerche della scuola di Public Choice.
Anche questo secondo approccio condivide l’assunto della posizione utilitarista. La questione del se, ed eventualmente quale politica antitrust adottare, viene ricondotta alla massimizzazione dell’utilità complessiva.
La posizione dell’ESM è diversa perché sono innanzitutto diversi i presupposti filosofici. La libertà economica di ogni singolo individuo viene infatti posta come un valore in sé, che è indipendente da ogni considerazione sulla massimizzazione della ricchezza. È la stessa visione utilitaristica dell’uomo che viene rifiutata. I pensatori della ESM assumono una prospettiva kantiana nel senso ampio del termine, per la quale gli individui hanno una finalità propria, e non possono essere trattati solo come strumenti per altri scopi. Di conseguenza, la libertà economica di un singolo rappresenta un diritto che deve venire fatto rispettare dallo Stato, e che non può venire conculcato in nome dell’efficienza generale del sistema, considerata nel suo complesso e vista nel lungo periodo.
Curiosamente – ma non troppo – la questione della politica antitrust mostra come la posizione della ESM riguardo i fondamenti della libertà economica sia non molto distante da quella dei libertarians antiutilitaristi! La diversità delle conseguenze deriva quindi da una diversità delle assunzioni empiriche al contorno.

3. La dimensione morale
L’ESM non propugnava uno Stato esteso. Nella piena continuità con la visione tradizionale del liberalismo, il suo obiettivo è uno Stato forte ma limitato. I mutamenti della realtà economica e sociale rendevano impossibile riproporre lo Stato ottocentesco, semplice “guardiano notturno” a protezione dei diritti di proprietà e del mercato. Le funzioni dello Stato dovevano essere più estese. Ma allo stesso tempo lo Stato, secondo la visione del costituzionalismo liberale, doveva agire secondo regole e sotto vincoli precisi. Non vi sarà mai nessuna contiguità tra l’ESM ed un certo tipo di radicalismo inglese, incarnato da Keynes, secondo il quale la fine del laissez faire coincideva con il primato della discrezionalità del potere politico, tanto nella decisione delle sue sfere di competenza quanto nella decisione dei mezzi da usare per raggiungere gli obiettivi sociali ed economici.
Contrariamente all’ “immoralismo” di Lord Keynes, i protagonisti dell’ESM davano una importanza fondamentale alla dimensione morale.

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