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Il primo tentativo di costruzione giuridica di una “nuova” Cina: la costituzione provvisoria del 1912

di - 22 Giugno 2022
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4. Il rapido declino del costituzionalismo liberale
La frattura tra presidenza e parlamento, e tra presidenza e movimenti rivoluzionari, in primo luogo il Guomindang, si radicalizzò velocemente. Yuan Shikai perseguiva il disegno di una ricentralizzazione amministrativa e, pur non disdegnando compromessi, credeva che l’impeto riformista fosse così rapido da favorire una disgregazione delle strutture portanti dello stato. La campagna elettorale per le elezioni parlamentari del 1913 vide rapidamente affermarsi il consenso del Guomindang e del suo principale volto, Song Jiaoren, i cui discorsi si fecero sempre più decisi contro Yuan ed il suo atteggiamento giudicato arbitrario. Le elezioni si svolsero a suffragio ristretto e con metodo indiretto. Il Guomindang ne uscì vincitore e di fatto si trovò nella posizione, teorica, di poter imporre un proprio primo ministro e, nelle idee di Song, di rafforzare il ruolo del parlamento contro alla presidenza.
Il 20 marzo 1913, poco dopo le elezioni, emissari di Yuan Shikai assassinarono Song Jiaoren. Come è stato rilevato, non si trattò solo dell’eliminazione di un avversario politico, ma dell’affermazione di una insormontabile inconciliabilità tra due diverse visioni del paese[23].
Si trattò anche del definitivo tramonto della Costituzione Provvisoria come progetto politico sostanziale. Nei tumulti che seguirono l’assassinio di Song sino alla “seconda rivoluzione” dell’estate 1913, poi schiacciata da Yuan Shikai, quest’ultimo rafforzò il proprio potere guardando con sempre maggiore forza alla saldatura tra l’istituzione presidenziale e l’apparato burocratico-amministrativo, e quello militare. Nel 1914 Yuan fece rapidamente sciogliere il parlamento nazionale e le assemblee locali. Il primo maggio fu emanato il “contratto costituzionale” che riformò la Costituzione Provvisoria creando una repubblica “superpresidenziale”. Il presidente (i.e. Yuan Shikai) deteneva un generale potere di governo del paese (统治权 – tongzhi quan)[24], era responsabile solo nei confronti della nazione[25], posedeva l’iniziativa legislativa (compresa quella per le leggi di bilancio)[26], convocava e scioglieva il parlamento[27]. Si ribadiva una prevalenza, sul piano della gerarchia delle fonti, della legge del parlamento sugli ordini imperiali, dato che i secondi non potevano modificare la prima[28], ma si trattava, evidentemente, di una petizione di principio. Il potere di Yuan era ai massimi livelli e tra il 1913 e il 1915 lo sforzo governativo fu tutto teso al rafforzamento dell’autocrazia, mediante la progressiva repressione di tutte quelle libertà che pure la costituzione (sia quella del 1912 sia quella riformata del 1914) riconoscevano.
La strada era spianata per il tentativo di restaurazione imperiale, con a capo lo stesso Yuan Shikai, che prese vita nel 1915. Allo stesso tempo, tuttavia, vale la pena di notare che, pure nel progetto autoritario di Yuan, la fonte della sovranità era, in ultima istanza, comunque riconosciuta alla nazione e al suo popolo. Anche quando nel tardo 1915 si concretizzò la restaurazione imperiale (ufficialmente il nuovo impero ebbe inizio dal 1 gennaio 1916), la sua legittimazione fu derivata direttamente dalla dichiarazione di abdicazione dell’imperatore Qing del 1912: quel movimento che dalla dichiarazione di abdicazione passava la sovranità dall’imperatore alla nazione veniva ora ripreso nel senso inverso, per cui la nazione rimetteva la sovranità nelle mani di Yuan Shikai[29]. Se da un lato, quindi, si bypassava la Costituzione, di fatto nullificandola, dall’altro si recepiva un concetto di sovranità “popolare” funzionale alla costruzione dell’autocrazia. È questo un profilo che avvicina il governo di Yuan Shikai ai totalitarismi novecenteschi.
L’esperimento imperiale ebbe brevissima vita. Ancora una volta, lo scontento partì dalle province che, in alcuni casi, si ribellarono apertamente a Yuan e, ad esempio nel Guangxi, addirittura dichiarono l’indipendenza. Il 22 marzo 1916, dopo neanche tre mesi di regno, Yuan Shikai abbandonò il titolo imperiale. Ritornò alla repubblica ed alla sua presidenza, ma in giugno morì di malattia.
Con la sua morte, la disgregazione territoriale della Cina ebbe compimento. Le basi di potere locali, spesso coese attorno a capi militari, presero definitivamente il sopravvento, raggruppandosi attorno alle famose “cricche” che nel decennio successivo si sarebbero spartiti la Cina. Era iniziata l’epoca dei “signori della guerra” (军阀 – junfa). Nè lo spirito costituente dei rivoluzionari nè il tentativo autocratico di Yuan Shikai avevano potuto rimediare alle fratture che il declino e poi il crollo dell’istituzione imperiale avevano provocato[30].
Il Guomindang, dopo il ritorno dal Giappone di Sun-Yat Sen, consolidò il proprio potere nel sud della Cina, nel Guangdong. Da lì, nel 1917, fu lanciato il “Movimento per la Protezione della Costituzione” (护法运动 – hu fa yundong). La Costituzione che si voleva proteggere era quella provvisoria del 1912, e l’attacco era diretto contro il governo di Pechino, centro di potere dell’armata Beiyang e dei successori di Yuan Shikai. Quella che per il Guomindang doveva essere la “terza rivoluzione” divenne, a ben vedere, un teatro di scontri fra i signori della guerra, a sostegno dell’una, dell’altra o di terze posizioni.
La Costituzione divenne ben presto meno che un simbolo. Le sue capacità di coesione ideale sfumarono ben presto nel rafforzamento del ruolo del Guomindang come vettore della riunificazione nazionale, ben più che di una rivoluzione liberal-democratica.

5. Il lascito della Costituzione Provvisoria del 1912
Il caos successivo al crollo dell’impero Qing rappresenta la fase finale e forse più dolorosa di quel “secolo delle umiliazioni” terminato solo nel 1949 con la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese. Tra il 1912 e il 1949, in effetti, la Cina fu costantemente, seppur in forme diverse, in uno stato di guerra civile, esposta alle influenze e agli attacchi delle potenze straniere, divisa nel suo territorio e preda dei giochi di potere (spesso sanguinosi) tra cricche militari e oligarchie post-feudali e para-feudali. Il tentativo costituzionale del 1912 non ebbe alcun impatto pratico nell’evitare o nel controllare le spinte centrifughe che scossero la Cina in quegli anni e si ridusse ben presto a poco più che un vacuo simbolo. Vi è quindi certamente del vero nella Risoluzione Storica del Partito Comunista Cinese del novembre 2021 quando classifica i movimenti di riforma precedenti a quello dello stesso PCC come tentativi che fallirono nel porre rimedio al semi-feudalesimo e semi-colonialismo che attanagliavano la società cinese[31].
Al contempo, tuttavia, non sarebbe giusto ignorare del tutto il ruolo che la Costituzione del 1912 rivestì per lo sviluppo del pensiero giuridico e costituzionale cinese. Vi sono infatti almeno due profili importanti da sottolineare.
In primo luogo, la Costituzione Provvisoria del 1912 prefigurò una nazione cinese che avrebbe dovuto, pur nella riforma delle istituzioni politiche, raccogliere l’eredità territoriale e spirituale della Cina imperiale. L’anima Han di alcuni movimenti rivoluzionari venne messa da parte in un testo costituzionale che riaffermava la sovranità della nuova Cina su tutto lo spazio del vecchio impero. Seppur le vicende storiche successive avrebbero definitivamente allontanato la Mongolia esterna, la Costituzione del 1912 promuoveva uno spirito repubblicano ampio, un nazionalismo cinese multi-etnico che sarebbe stato perseguito nei decenni successivi sino ad oggi. Combattere per la costituzione diveniva, in effetti, combattere soprattutto per la riaffermazione dell’unità del territorio percepito come di spettanza della Cina stessa.
In secondo luogo, la Costituzione Provvisoria del 1912 affermò definitivamente un principio di sovranità popolare nel costituzionalismo cinese, che non fu rigettato nemmeno dalle successive esperienze autocratiche. Si trattò di un vero punto di non ritorno per la tradizione giuridica cinese, che da quel momento in poi vide il popolo, nel suo complesso, acquisire una soggettività giuridica innegabile, con cui fare i conti.
Questi due profili, seppur non tradotti in cambiamenti pratici apprezzabili, costituivano delle svolte ideologiche non scontate, specie nei confusi anni della transizione, e la loro resilienza nei successivi progetti politici dei protagonisti della storia cinese dà l’idea di un momento significativo di discontinuità tra passato imperiale e modernità repubblicana.
Ancora oggi, tanto nella Cina continentale quanto a Taiwan, la rivoluzione Xinhai e lo sforzo rivoluzionario del Guomindang di Sun-Yat Sen sono accolti e celebrati come momenti fondamentali del processo di costruzione sia identitaria della Cina moderna che istituzionale.
Quello del 1912 fu quindi certamente un tentativo fallito, ma il cui spirito ha lasciato segni importanti nel futuro svilupparsi del pensiero giuridico cinese.

Note

23.  D. Twitchett, J.K. Fairbank, The Cambridge History of China, cit., pp. 226-227.

24.  Art. 14.

25.  Art. 16.

26.  Art. 18.

27.  Art. 17.

28.  Art. 19.

29.  Zhang Yongle, La ricostruzione di un vecchio Stato, cit., pp. 75 ss.

30.  Inoltre, per quanto riguarda Mongolia Esterna e Tibet, i tentativi di Yuan Shikai di riaffermare il controllo su di essi erano falliti, anche per l’opposizione delle potenze straniere.

31.  Per un’analisi della Risoluzione storica v. G. Santoni, La risoluzione storica del partito comunista cinese, in ApertaContrada, 10 gennaio 2022.

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