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Il primo tentativo di costruzione giuridica di una “nuova” Cina: la costituzione provvisoria del 1912

di - 22 Giugno 2022
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3. Rivoluzione e costituzione. L’influenza del modello statunitense
Le sommosse del 1911, specie nel Sichuan e poi, come noto, a Wuchang in ottobre, portarono con molta rapidità a trattative fra forze imperiali e rivoluzionari (già dal novembre 1911) e poi all’abdicazione dell’imperatore Puyi (febbraio 1912)[10]. Dietro questa formidabile velocità si nascondevano però equilibri fragilissimi. In primo luogo, l’insieme delle rivolte che compongono la c.d. Rivoluzione Xinhai si appoggiarono soprattutto su iniziative locali, cementando ulteriormente il localismo anche nel governo della fase rivoluzionaria. Inoltre, queste prime rivolte avevano un carattere spiccatamente nazionalista, direttamente riferibile all’identità etnica degli Han. Le spinte centrifughe contro l’entità politica multinazionale dei Qing furono abbastanza forti da favorire, a cavallo tra il 1911 e il 1912, il distacco della Mongolia esterna e del Tibet dalla Cina, con il beneplacito e la protezione, rispettivamente, di Russia e Gran Bretagna[11].
In secondo luogo, la gestione fondamentalmente locale e non unitaria dei vari momenti rivoluzionari favoriva il raggiungimento di soluzioni di compromesso basati sui rapporti di forza nelle varie province. Del resto, molti funzionari e ufficiali militari, ben consci dell’irreversibile decadenza dell’istituzione imperiale, fecero in fretta a schierarsi dalla parte della rivoluzione, spesso assumendone di fatto il controllo. A riprova di quanto detto, basta pensare che all’inizio del 1912, sebbene nella maggior parte delle province fossero stati già stabiliti governi “rivoluzionari”, solo tre di essi (nel Guangdong, Jiangsu e Anhui) potevano dirsi effettivamente controllati dai rivoluzionari stessi[12].
In questo contesto, un’analoga soluzione di compromesso fu raggiunta a livello nazionale. Yuan Shikai, ufficiale dell’esercito Qing e all’epoca primo ministro del governo imperiale, accettò di negoziare l’abdicazione dell’imperatore in cambio della sua nomina a primo presidente della nuova repubblica. Si evitava una guerra civile, ma al tempo stesso si incorporava nel nuovo ordine costituente non solo una figura di continuità con il passato come Yuan, ma anche la sua maggiore base di potere, ossia l’armata Beiyang, forze egemone nel nord della Cina e soprattutto attorno alla capitale Pechino.
Sotto il profilo militare, di fatto, la nuova repubblica era già sfuggita, se mai lo fosse stata, dal controllo delle forze propriamente rivoluzionarie.
Lo stesso non si poteva dire, tuttavia, dell’attività giuridico-istituzionale e, soprattutto, dello sforzo di costruire, per la nuova repubblica, un modello costituzionale moderno. Sotto questo aspetto, il compromesso fra le forze in campo fu più sottile. L’aderenza al nuovo corso di buona parte del vecchio establishment imperiale impediva una connotazione pienamente etnica della rivoluzione. Dal punto di vista territoriale, la nuova Cina voleva e doveva porsi in piena continuità con quella vecchia. Ciò comportava l’affermazione (o meglio, la conferma) di una statualità multietnica, come ribadito anche dalla bandiera della repubblica a cinque colori, in rappresentanza delle cinque etnie della nuova Cina[13].
Fu quindi in queste circostanze che si fece strada l’idea di adattare alla Cina il modello costituzionale americano. Il concetto di una “unione” di stati parve utile per tenere unito un territorio che, a pochi mesi dall’inizio della rivoluzione, era divenuto, di fatto, un mosaico di province largamente autonome. Al tempo stesso, quello americano poteva essere un esempio utile per impiantare una decisa separazione dei poteri e avvicinarsi al costituzionalismo liberale[14].
Questa intenzione, tuttavia, si tradusse, nei primi e concitati momenti di vita della repubblica, in un testo costituzionale che, a guardarlo oggi, appare abbastanza disordinato, chiaramente concepito come di transizione e, in definitiva, afflitto da debolezze strutturali: si tratta della “Costituzione Provvisoria” (临时约法 – linshi yuefa).
La costituzione contava 56 articoli. Anche nella sua struttura, appariva legata all’esempio statunitense. Dopo poche disposizioni di apertura, il Capitolo II consisteva in un vero e proprio breve bill of rights, che enunciava i fondamentali diritti civili e politici dei cittadini e prevedeva la possibilità di limitarli (mediante legge) per motivi di benessero pubblico, di ordine pubblico o per esigenze straordinarie[15].
I successivi capitoli, sempre sull’onda della costituzione americana, disciplinavano in sequenza i tre poteri dello stato: quello legislativo (Capitolo III: Il Consiglio Consultivo), quello esecutivo (Capitolo IV: il Presidente Provvisorio e il Vice-Presidente e Capitolo V: I membri del governo) e quello giudiziario (Capitolo VI: la giustizia).
Una prima, evidente lacuna del testo riguardava proprio l’assenza di una compiuta disciplina dei rapporti tra governo centrale e governi locali, così importante nel contesto che abbiamo descritto. La costituzione affermava che il territorio della repubblica fosse costituito da 22 province e dai territori della Mongolia esterna, della Mongolia interna, del Tibet e del Qinghai[16]. Un’interpretazione “egualitaria” e “confederale” dei rapporti fra unità amministrative locali era suggerita anche dal metodo di elezione del Consiglio Consultivo (tutte le province e i territori eleggevano cinque deputati ciascuno, tranne il Qinghai che ne eleggeva uno solo[17]) e dalla libertà, lasciata ai governi locali, di disciplinare le modalità di svolgimento delle elezioni[18].
Oltre a queste disposizioni, tuttavia, la Costituzione non chiariva i confini tra le competenze delle province e quelle del governo centrale. Essa si limitava a riprendere lo schema della Sez. 8 dell’Art. 1 della costituzione statunitense, elencando alcune delle competenze del Consiglio Consultivo, le quali pertanto avrebbero dovuto intendersi come competenze del governo centrale. Si trattava comunque di una lista ancora più scarna e ambigua di quella predisposta dai costituenti americani, che pure, come noto, avrebbe dato (e dà ancora adito) a numerose incertezze. L’Art. 19 della Costituzione Provvisoria disponeva che il Consiglio Consultivo fosse competente per l’approvazione delle leggi (in generale), per l’approvazione del budget, per la disciplina delle tasse, della moneta, dei pesi e delle misure, per la sottoscrizione di pubblici prestiti e la stipula di contratti che avrebbero inciso sul tesoro nazionale. Il resto delle competenze riguardava la prestazione del consenso per la nomina presidenziale di alcune cariche, la ricezione di petizioni, la formulazione di suggerimento al governo nonchè l’esercizio di una serie di poteri di supervisione e di impeachement nei confronti dell’esecutivo, disposizioni peraltro particolarmente favorevoli nei confronti dell’esecutivo stesso dal momento che per l’impeachement di un membro dell’esecutivo erano necessari due terzi dei votanti, i quali dovevano però rappresentare non meno dei tre quarti dell’intera assemblea. Soglie ancora più alte (rispettivamente, tre quarti dei votanti e quattro quinti dei membri) servivano per l’impeachement del Presidente, peraltro possibile solo in caso di alto tradimento. Queste disposizioni rendono l’idea di una costituzione sbilanciata a favore del Presidente il quale, in linea con il modello americano, era il capo del governo e, in ultima analisi, vertice del potere esecutivo[19]. Egli deteneva, sempre ricalcando il solco statunitense, diritto di veto sulle leggi, superabile solo da un voto a maggioranza dei due terzi del Consiglio Consultivo.
Molto scarne erano anche le disposizioni sul potere giudiziario. I giudici erano nominati dal Presidente e dal Ministro della Giustizia, ma l’organizzazione dei tribunali e la qualificazione dei giudici erano demandati ad una futura disciplina legislativa[20]. Vi era una generica affermazione di indipendenza degli organi giudiziari[21].
Ora, anche in considerazione del fatto che questa costituzione fosse sin da subito pensata come provvisoria, è facile capire come le sue prospettive di successo fossero tutt’altro che rosee. L’impianto istituzionale era debolmente regolato, i nodi critici della macchina statale non erano adeguatamente disciplinati. Poi, l’aderenza al modello americano, oltre a non tenere conto delle specificità del contesto cinese e della sua cultura istituzionale, nemmeno si realizzava accuratamente, in quanto permanevano alcune significative differenze fra cui, la più importante, l’elezione del Presidente, che non era diretta, ma riservata al Consiglio Consultivo. Un tale approccio certamente legittimava le circostanze contingenti, per le quali i i rivoluzionari avevano nominato Yuan Shikai alla presidenza, ma dall’altro lato creava le condizioni per corto-circuiti istituzionali e per un progressivo eclissarsi tanto del parlamento quanto della pressione popolare sull’esecutivo.
Mancava, in altre parole, qualsiasi meccanismo adeguato che potesse garantire l’effettività di quanto previsto dalla costituzione, non solo sul piano prettamente giuridico (come un sistema giudiziario indipendente o la previsione di un qualche controllo di costituzionalità), ma anche sul piano politico dei rapporti di forza e di reciproco controllo tra le istituzioni[22].

Note

10.  D. Twitchett, J.K. Fairbank, The Cambridge History of China. Volume 12: Republican China 1912-1949, Part I, Cambridge University Press, Cambridge, 1983, pp. 209 ss.

11.  Zhang Yongle, La ricostruzione di un vecchio Stato; D. Twitchett, J.K. Fairbank, The Cambridge History of China.

12.  D. Twitchett, J.K. Fairbank, The Cambridge History of China, cit., p. 211.

13.  Zhang Yongle, La ricostruzione di un vecchio Stato, cit., pp. 49 ss. La bandiera a cinque colori fu utilizzata come vessillo della repubblica cinese per almeno un quindicennio dopo la rivoluzione Xinhai, fino a che fu gradualmente sostituita e poi ufficialmente rimpiazzata dalla bandiera dei nazionalisti, che ancora oggi è la bandiera di Taiwan. I cinque colori della bandiera rappresentavano rispettivamente le etnie Han (rosso), Manciù (giallo), Mongola (blu), Hui (bianco) e Tibetana (nero). Il riferimento all’etnia Hui, ad ogni modo, finiva per indicare, più ampiamente, tutte le popolazioni di religione musulmana nel territorio cinese.

14.  Zhang Yongle, La ricostruzione di un vecchio Stato, cit., pp. 53 ss.; Qiu Yongsheng, Wang Chu, 对 《中华民国临时约法》 的述评与思考 (Riflessioni e valutazioni in merito alla Costituzione Provvisoria della Repubblica di Cina), in faxue luncong, no. 7, 2017, pp. 73-78.

15.  Art. 15. Vi è, ovviamente, una differenza di posizionamento dell’elenco dei diritti rispetto alla costituzione americana, dove appunto il bill of rights è, come noto, corrispondente ai primi dieci emendamenti alla costituzione e quindi collocato “in calce” alla costituzione stessa.

16.  Art. 3. Ovviamente, nè la Mongolia Esterna nè il Tibet erano allora sotto il controllo del governo repubblicano.

17.  Art. 18.

18.  Art. 18.

19.  Art. 30.

20.  Art. 48.

21.  Art. 51.

22.  Qiu Yongsheng, Wang Chu, Riflessioni, cit.

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