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Vecchie tensioni e nuovi equilibri, l’impatto del coronavirus sui rapporti tra Cina Ue e Usa

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• Il primo tra questi è il settore finanziario. Uno stretto controllo sui flussi di capitale in entrata ed in uscita ha evitato influssi speculativi , fughe di capitali, e scongiurato possibili crisi finanziaria. Un sistema finanziario chiuso è anche necessario a mantenere il controllo del tasso di cambio, funzionale al modello di sviluppo cinese basato sull’export. Tutt’oggi esistono forti limitazioni in questo settore tra cui un tetto del 10% ad investimenti esteri di portafoglio in società quotate sui mercati cinesi in valuta locale (class A shares), ed un limite annuo di $50.000 per l’acquisto di valuta straniera da parte di cittadini cinesi.

• Un ulteriore pilastro su cui poggia la stabilità del sistema di governo cinese sono le aziende di stato (SOEs) e dal modello di gestione degli investimenti pubblici. Le aziende di stato cinesi rappresentano il 40% del PIL e operano in tutti i settori strategici all’economia: energia, settore bancario e assicurativo, trasporti, costruzioni, utilities. Le SOEs cinesi sono funzionali all’implementazione degli obiettivi di politica economica del governo, in particolare per progetti a rischio o a scarso rendimento, e sono inoltre necessarie al mantenimento di una vasta rete clientelare, fondata sia sulla cooptazione sia sul patronaggio, della quale il partito ha difficoltà a fare a meno.

• Il terzo settore essenziale è l’informazione. L’informazione e la cultura sono tra i settori più chiusi dell’economia cinese sia in termini di partecipazione da parte di soggetti esterni, sia di contenuto. Riguardo il primo punto, sono proibiti investimenti con quote di maggioranza nei servizi internet, nelle telecomunicazioni, nel brodcasting, nelle pubblicazioni, e in qualsiasi tipo di produzione artistica (audio, video). Riguardo al contenuto, deve attenersi alle direttive emanate dagli organi di propaganda del partito, che hanno comunque la possibilità di intervenire attraverso un’azione di censura diretta su contenuto già diffuso o pubblicato. Nella sfera digitale, opera un sistema di filtraggio (Great Firewall) in grado di precludere l’accesso a una lunga serie di domini e piattaforme digitali estere.

• In sostanza, attraverso il controllo sui flussi di capitali, sull’informazione e su alcuni settori chiave dell’economia, e grazie al mantenimento di un apparato di cooptazione, propaganda e repressione, la Cina è riuscita ad preservare il ruolo centrale del partito nell’economia, ad evitare la frammentazione della leadership in gruppi di interesse, ed a soffocare la nascita di movimenti di rivendicazione economica e sociale che hanno caratterizzato la liberalizzazione politica di altri sistemi asiatici dirigisti quali il Giappone, Taiwan o la Corea del Sud.

3) La Cina ed il rapporto tra Stato ed economia.

• Il riferimento alla nozione di “capitalismo di stato” a fini descrittivi del modello economico cinese è molto diffusa e certamente corretta. Essa necessita tuttavia di una contestualizzazione, dato che forme di capitalismo di stato sono presenti anche al di fuori della Cina, in paesi con tradizioni politico-giuridiche molto diverse fra loro. In particolare, è necessario calare il capitalismo di stato cinese nel tessuto delle relazioni istituzionali tra poteri ed operatori economici (pubblici e privati). Sono infatti queste relazioni che consentono al sistema di funzionare in modo efficiente.

• La percentuale di PIL cinese direttamente riferibile al settore pubblico è inferiore a quella di numerosi Paesi occidentali. Le tasse per le società sono inferiori a quelle italiane e francesi, il numero di dipendenti pubblici in rapporto alla popolazione è inferiore a quello del Regno Unito, ecc. La capacità di coordinamento del governo cinese non deriva dalla quantità dei suoi assets, quanto dalla loro qualità. La Commissione Statale per la Supervisione e l’Amministrazione del Patrimonio Pubblico (SASAC) la holding di Stato, controlla oltre 100 imprese fondamentali nell’economia del Paese, 40 delle quali rientrano nel novero delle Fortune 500’s. Le imprese pubbliche cinesi operano in un regime semi-concorrenziale. Infatti, non sono monopoliste, poiché competono tra loro, ma al contempo sono soggette all’attività direzionale della Commissione Nazionale per la Ricerca e lo Sviluppo (NDRC). Questa redige piani quinquennali e impone alle imprese pubbliche in concorrenza tra di loro di cooperare per il raggiungimento di obiettivi di pubblico interesse. Non è raro che alle imprese pubbliche cinesi venga ordinato di trasferire personale qualificato o brevetti ad un concorrente pubblica o privata.

• L’emblema della trasformazione istituzionale del modello di sviluppo cinese è l’evoluzione del sistema di pianificazione socio-economica. Dal 1992 la Cina non abbraccia più l’economia pianificata quale dottrina ufficiale dello sviluppo, sostituita dall’economia socialista di mercato. Questo non vuol dire però che non esistano più i piani o che non funzionino meccanismi di programmazione. Ciò che è cambiato è soprattutto la natura e le strutture di questa pianificazione, non più basata su meccanismi verticali di controllo centralizzato della produzione di beni e servizi. La moderna pianificazione cinese si fonda invece su direttive orientative di carattere all’apparenza anche vago, ma in realtà volte a fissare priorità strategiche per guidare l’allocazione delle risorse soprattutto finanziarie.

• Come è possibile implementare un siffatto modello di pianificazione? Ci si avvale di strumenti spesso indiretti, invero utilizzati, seppur non in modo altrettanto coordinato ed efficace, in moltissimi altri modelli di capitalismo di stato. In primo luogo, l’affermazione di un regime di concorrenza a velocità differenziate e soprattutto “non neutrale”, nel senso che determinati operatori economici o determinati settori dell’economia possono essere (e di fatto sono) protetti dall’applicazione delle regole sulla concorrenza al fine di promuovere la nascita di “campioni nazionali” o preservare un ruolo di controllo esercitato da imprese pubbliche.

• In secondo luogo, bisogna tenere conto delle peculiarità del sistema bancario cinese. Le più grandi banche commerciali in Cina, fra cui alcuni nomi molto noti anche all’estero, come la Bank of China o la Industrial and Commercial Bank of China, sono controllate dallo Stato attraverso la detenzione di quote rilevanti del capitale. Attraverso il meccanismo delle partecipazioni statali, le direttive di policy dei poteri pubblici transitano nelle politiche industriali e di business delle banche, al fine di orientare l’esercizio del credito. Ciò è molto evidente altresì con riferimento alle misure prese dal governo cinese per la ripresa economica post-Covid. Le comunicazioni emanate tra marzo e maggio del 2020 sovente contengono vere e proprie esortazioni agli istituti di credito ad orientare le proprie strategie operazionali a vantaggio dei determinati soggetti (Piccole e medie imprese, imprenditori individuali, imprese che investono in determinati settori, ecc.). Tutto ciò, nel contesto ora descritto, non vuol dire che siano state emanate mere petizioni di principio, ma direttive precise capaci di influenzare gli orientamenti e l’allocazione delle risorse finanziarie.

• In terzo luogo, si sta sempre più affermando, a livello locale ma non solo, lo strumento del Partenariato Pubblico-Privato per la gestione di servizi pubblici essenziali oltre che per la realizzazione di importanti progetti infrastrutturali. Nelle sue strutture formali il PPP cinese è molto simile a quello conosciuto anche in occidente, basato su una ripartizione del rischio fra partner pubblico e partner privato, con quest’ultimo che, a fronte, appunto, del rischio assunto per la realizzazione dell’opera e/o gestione del servizio viene remunerato per mezzo dei canoni corrisposti dai fruitori del servizio o dagli utilizzatori dell’opera. Ciò che cambia è, a ben vedere, la maniera con cui in concreto si articolano le nozioni di interesse pubblico ed interesse nazionale con riferimento all’interpretazione e allo svolgimento del rapporto di partenariato. Difatti, la variabilità di questi concetti (anche sulla base delle priorità strategiche definite dalle autorità) è in grado di riflettersi sul rapporto di partenariato, giustificando modifiche unilaterali o lo scioglimento del vincolo ad opera della parte pubblica.

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