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L’obbedienza nell’ordinamento cinese nell’attuazione delle misure sanitarie anti covid-19

di - 24 Aprile 2020
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Il libro dei riti di Zhou, anche detto Zhou Li, tradizionalmente attribuito al duca di Zhou, fratello del re Wu di cui sopra ma probabilmente di epoca posteriore, che riporta i dettagli dell’organizzazione amministrativa ideale dello stato su princìpi cosmici, e che, come il Libro dei Documenti, faceva parte della formazione dei funzionari cinesi fino al 1911, mette in chiaro come nella concezione tradizionale cinese fosse compito dello stato, non solo assicurare il benessere del sovrano e la sicurezza dei cittadini ma entrare nelle minuzie dei riti religiosi e civili, distribuire la terra, guidare il popolo, formandolo con l’educazione, insegnando le virtù, l’etichetta, le tecniche e le arti, curandone i rapporti, in particolare quelli tra genitori e figli; entrando in una parola massicciamente in quella che noi definiremmo la sfera privata, se non addirittura intima.
Questa concezione parte da un paradigma di rapporto tra stato e popolo differente da quella cui siamo avvezzi. Il popolo, secondo la concezione tradizionale cinese, non è formato da patres ma da filii. Si immaginino due comunità preistoriche, uno sulle rive del Tevere ed un’altra del Fiume Giallo, formate da famiglie il cui padrone assoluto è il pater, con diritto di vita e di morte su moglie, figli, schiavi ed animali. All’inizio le due comunità sembrano molto simili. Un avvenimento identico ma con esiti differenti muta il carattere, e il destino, delle due comunità in modo definitivo: due patres si incontrano e, come accade, si scontrano. A Roma, nessuno dei due patres ha la meglio: ciascuno si ritira delimitando il confine della sua proprietà contro quella del rivale. Questo confine è il diritto nella concezione occidentale. In Cina invece, uno dei due patres vince, ma non uccide il rivale: lo conquista e allo stesso tempo lo accoglie nella propria famiglia con lo status di filius. La nuova famiglia così allargata è lo stato nella concezione cinese, un sistema in cui non solo lo stato è una famiglia, ma anche la famiglia è uno stato, in cui padri e fratelli maggiori hanno un potere di tipo non solo familiare ma politico e in cui i rapporti interpersonali, sono caratterizzati da analogie che richiamano da un lato i rapporti tra parenti, dall’altro la subordinazione amministrativa.
Se i grandi pensatori della filosofia politica cinese, da Confucio a Lao-tse, ai legalisti, discutono sull’opportunità, la misura, la qualità, i mezzi e il fine dell’intervento statale, nessuno di essi, nessuno, pone in dubbio la legittimità di esso: nessuno contrappone al potere dello stato una posizione soggettiva autonoma, una sfera privata invalicabile, un diritto.
In Cina la recezione del diritto occidentale ai principi del XX secolo e l’avvento delle istituzioni repubblicane ha significato l’abolizione di una serie di istituzioni quali  la schiavitù, la struttura delle classi, la potestà genitoriale sui figli adulti ecc. Dopo pochi decenni però le esigenze di un’economia pianificata proprie del comunismo si sono sposate bene con il senso storico di obbedienza derivante da una subordinazione intrinseca, paragonabile a quello esistente nella Chiesa o in un esercito. In pratica oggi l’esecutivo cinese si serve frequentemente di riunioni (kaihui) in cui gli organi amministrativi centrali espongono le proprie direttive ai rappresentanti degli organi amministrativi a livello immediatamente inferiore (i governi provinciali o i dicasteri) e, se opportuno, prendono domande o osservazioni. Chi ha partecipato alla riunione centrale, a sua volta riporta agli organi esecutivi del livello inferiore al proprio, e così via in successione, fino ad arrivare al livello amministrativo che dovrà mettere in pratica le direttive ricevute. Ciascun anello della catena aggiunge o toglie particolari alle direttive, creando così una rete applicativa grosso modo uniforme ma non omogena in cui il cittadino non si rapporta direttamente alla legge, o al giudice, ma all’autorità amministrativa immediatamente a lui sovraordinata. Si obbedisce ad un funzionario, non ad una legge. Gli atti normativi formali molto spesso seguono e non precedono il processo applicativo.
Questo sembra essere accaduto nel 2020. La mobilitazione delle energie dell’apparato statuale cinese ai fini dell’applicazione dei protocolli sanitari per il controllo e la prevenzione della diffusione dell’epidemia di coronavirus si è attuata servendosi di questo tipo di strumento. Vi è una differenza radicale con le leggi utilizzate da sempre in occidente. Le misure sanitarie cinesi non sono draconiane, ma confuciane, non sono ferree, ma quasi acquee: non rigide ma flessibili, mutevoli, non intransigenti ma negoziabili, pur nella loro capillare pervasività.

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