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Dalla legge generale ed astratta alla legge frantumata

di - 24 Aprile 2018
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Era paradigmatica la formula originaria dell’art. 14, che disciplinava la conferenza dei servizi. Merita seguire brevemente il testo originario di questo articolo:
“Qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo”,  l’amministrazione indice una conferenza dei servizi. Questa è (era) la prima manifestazione di discrezionalità: in presenza di una pluralità di interessi, l’amministrazione non decide autonomamente, ma indice una conferenza con tutti gli stake holders, vale a dire con tutti coloro che avevano interesse, positivo o negativo, all’iniziativa. Si può ben dire che era una magnifica manifestazione di civiltà;
– Se un’amministrazione, ritualmente convocata, non partecipa alla conferenza (o partecipa irritualmente), si considera acquisito il consenso, salvo che, in tempi brevi (venti giorni), venga comunicato un motivato dissenso. Questo è (era) un altro puro esercizio della funzione e della discrezionalità;
– Il successivo art. 15 reca una disposizione precisissima, con una puntuale legittimazione all’esercizio della funzione amministrativa: “Le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune”.

4. – Solo tre anni dopo, con la l. 24 dicembre 1993, n. 537, inizia lo stravolgimento, che dovrebbe aver raggiunto il vertice con il d.l.vo 30 giugno 2016, n. 127. All’art. 14 si aggiungono nel tempo gli art. 14 bis, ter, quater, quinquies. Essi non sono riassumibili, perché nel corso di circa 25 anni nel tessuto normativo sono stati ininterrottamente immessi passaggi di ordine procedimentale, che devono essere rispettati, senza che sia stato definito un momento, una fase, nella quale qualcuno ha il dovere e il diritto di affermare e prevalere. Certo nelle leggi si parla spesso del Consiglio dei Ministri come possibile luogo della decisione. Ma l’irrazionalità di caricare sul Consiglio dei Ministri materie e decisioni, che sono proprie delle amministrazioni, ha prevalso. L’idea è di fatto morta.
Chi dunque legga i cinque articoli 14 che, secondo l’intestazione del capo IV della legge sul procedimento amministrativo, dovrebbero dettare la “semplificazione dell’azione amministrativa”, incontra un terreno insidioso. Il primo comma dell’art. 14 delinea uno scenario fluido, se così si può dire: la conferenza di servizi istruttoria può essere indetta (a) dall’amministrazione procedente, anche su richiesta (b) di un’altra amministrazione coinvolta nel procedimento o (c) del privato interessato, “quando lo ritenga opportuno per effettuare un esame degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo” ovvero in più procedimenti amministrativi connessi, “riguardanti medesime attività o risultati”.
Il secondo comma introduce la conferenza di servizi decisoria. Lo scenario è complesso – ed equivoco. Dice la legge che questo tipo di conferenza è sempre indetto dall’amministrazione procedente quando la conclusione positiva del procedimento (sic) è subordinata all’acquisizione di più pareri, intese, concerti, nulla osta “o altri atti di assenso” e simili, resi da diverse amministrazioni. È molto singolare il seguito: quando l’attività del privato è subordinata a più atti di assenso da adottare a conclusione di distinti procedimenti, di competenza di diverse amministrazioni, la conferenza di servizi è convocata, anche su richiesta dell’interessato, da una delle amministrazioni procedenti.
Questa norma non sembra chiara. Ma il terzo comma sembra peggiore. Introduce un nuovo tipo di conferenza. È la “conferenza preliminare finalizzata a indicare al richiedente, prima della presentazione di un’istanza o di un progetto definitivo, le condizioni per ottenere, alla loro presentazione, i necessari concerti, nulla osta, autorizzazioni, concessioni o altri atti di assenso, comunque denominati”. La legge prosegue dettando alcune banali regole: l’amministrazione procedente deve decidere se accogliere o non accogliere la conferenza; segue un generico procedere, con diversi esiti.

5. – Non è il caso, né è questo il luogo in cui sezionare e ricomporre (“notomizzare”, si usava dire) i cinque art.14 della legge sul procedimento, tratti negli anni dalle limpide parole dell’art. 14 in veste originaria. Sono sufficienti alcune brevi considerazioni.
La prima è che queste conferenze non hanno un volto, né sono soggette ad un regime definito. Non è chiaro chi possa – e debba – farne parte; chi le possa convocare, quando, come, con quale finalità, con quali poteri. L’unica amministrazione che ha qualche cosa che si avvicina al potere di convocare la conferenza è l’amministrazione procedente. Ma nel testo della legge emerge senza parole, ma con non minore chiarezza, che un gran numero di amministrazioni può intervenire.
Ora, tutto si può dire. Ma se non si stabilisce chi deve fare che cosa, come e quando, evitando quei modelli di ordine che non sono molto lontani dalla sembianza di approssimazioni, in cui nessuno crede, resta una sola realtà: sono prospettate innumerevoli prese di posizione, passi avanti che retrocedono o si disallineano, senza raggiungere un risultato definitivo. Non si dimentichi che l’amministrazione procedente, l’amministrazione cioè che ha avviato e guida la procedura non ha alcun vero potere di decisione.

6. – Nasce qui l’effetto perverso della legge che, per ragioni oscure, vuole disciplinare ogni passo dell’agere pubblico nella forma della conferenza di servizi. C’è poco da dire e da discutere: nessuna legge che tocca la conferenza di servizi consente che qualche partecipante sia il dominus della procedura ed abbia il potere di decidere. Tra i vari passaggi emerge e domina la difficoltà di decidere.
Dunque, tendenzialmente non si riesce a fare ciò che si sarebbe voluto.
Ma c’è una soluzione. Se gli interessi in gioco sono sufficientemente alti, il Governo può affrontare il tema per le corna, come inelegantemente si dice. Può adottare un provvedimento amministrativo; se non vi è un sufficiente fondamento normativo per una decisione hinc inde voluta e contestata, può ricorrere al decreto legge, o inserire qualche norma in un altro procedimento legislativo. Certo è un punto: percorsi metagiuridici generano la decisione di realizzare qualche cosa – senza conferenze semplificate.

La conclusione è seria. Siamo di fronte ad un sistema senza legge, grazie alle soffocanti versioni della legge sul procedimento. Di fatto non sono utilizzabili (come l’esperienza mostra). Nessuno ha un vero potere, tutti possono intervenire e dire la loro
Ci deve porre una domanda. Che ruolo hanno più i cittadini che lavorano e che quindi operano anche per il pubblico? Vincono una gara, due gare e si affermano o ottengono questo risultato giocando nell’ombra – di qualche conferenza di servizi?

II

Quanto si è fin qui osservato merita qualche ulteriore osservazione. Si è portata in evidenza la trasformazione che i legislatori di quasi un trentennio hanno voluto dare ad un articolo, organico ed innovativo, della prima legge sistemica del procedimento amministrativo.

Ma il discorso non finisce qui. Una legge sul procedimento è intrinsecamente generale ed astratta: dovrebbe poter accogliere qualsiasi tipo di procedura, mirata all’adozione dei mezzi migliori per istruire, confrontare, valutare, scegliere e, naturalmente, decidere. Ma la tentazione di scavalcare una normativa ormai difficilissima – e, si dica pure, inutilmente difficilissima – per entrare con leggi ad hoc e nel merito di qualsiasi materia, è irresistibile. Le leggi si susseguono ininterrottamente nell’idea che ogni materia, ogni suo movimento, possa e debba essere disciplinato dalla legge.

È ragionevole pensare che uno dei temi più significativi sia il codice dei contratti pubblici, il d. l.vo 18 aprile 2016, n. 50. Un numero sterminato di ipotesi – di possibili casi – di questa industria sono sottomessi alla altrettanto sterminata e puntuale disciplina nella quale il legislatore ha ritenuto di poter racchiudere il flusso della vita. Come è ovvio, l’anelasticità è fonte di problemi e fughe senza fine.

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