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Brexit: un disastro voluto.

di - 14 Febbraio 2018
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Comunque, questa enfasi sulle peculiarità britanniche non è limitata al British National Party e ai suoi alleati ultranazionalisti. C’è anche un appoggio intellettuale alla Brexit che proviene da gruppi come gli ‘Storici per la Gran Bretagna’ che hanno lavorato molto a favore delle tradizioni inglesi e della necessità di proteggerle da una lenta europeizzazione. Questa posizione ha limiti ovvi, poiché’ ogni stato membro dell’Unione ha il suo retaggio storico, la propria cultura e senso d’identità. Tutto cio’ non è incompatibile con l’appartenenza all’Unione, come è evidente dalla storia degli ultimi cinquant’anni. Anche all’interno dell’Unione, la Gran Bretagna è stata in grado di battersi per il riconoscimento di una sua posizione speciale su diversi temi sociali ed economici, ad esempio rifiutando l’euro e una frontiera senza passaporti.
Questi argomenti, non convincenti, a favore della nostra unicità si accompagnano a una forte componente di nostalgia per un passato che vedeva la Gran Bretagna come una delle grandi potenze mondiali, se non addirittura come la prima superpotenza. L’ossessione attuale che c’è in Inghilterra nel ricordare la seconda guerra mondiale come un conflitto nel quale essa è stata la sola barriera per salvare l’Europa dalla tirannia sfrutta il sentimentalismo della Brexit per il passato. Il recente successo dei film Dunkirk, lo scorso anno, e Darkest Hour (su Churchill che prende il potere), quest’anno, può anche non essere volutamente connesso alla Brexit, ma entrambi i film sfruttano il tema della Gran Bretagna sola contro un’Europa dominata dall’autoritarismo tedesco, tema in cui si coglie un’eco dell’attuale ostilità al ruolo della Germania nell’U.E.: un pregiudizio completamente infondato, che ha le sue radici nel fatto che la Germania continua a essere vista come “il cattivo” nella memoria popolare inglese delle due guerre mondiali. Si tratta dello stesso sentimentalismo che avvolge il ricordo dell’Impero britannico, dopo decenni in cui la sinistra liberale lo ha criticato. Il raj indiano (il governo inglese dell’India) è così diventato un sistema benevolo e paternalistico; e acquista crescente consenso l’idea che l’impero britannico sia sempre stato alla base del progresso delle popolazioni delle colonie, a differenza di altri imperialismi.
Questo rinnovato interesse per una visione acritica del passato imperiale della Gran Bretagna ben si concilia con la nuova moda intellettuale che parla della “Anglosfera”, da contrapporre alla ormai deteriorata relazione con il resto d’Europa. Con tale termine ci s’intende riferire alla stessa Gran Bretagna, agli Stati Uniti e alle vecchie zone dell’Impero popolate da bianchi – l’Australia, la Nuova Zelanda e il Canada. Chi sostiene che l’Anglosfera sia un progetto fattibile rileva la lunga storia di legami economici, culturali e strategici tra queste comunità, unite anche dalla lingua comune. Questo contesto storico – si ritiene – fornisce la base per forgiare un nuovo senso d’identità anglo-sassone, e per consolidare comuni interessi economici e culturali, ed anche per condividere aspetti di sicurezza collettiva. Ma come buona parte delle elucubrazioni post-Brexit, l’Anglosfera è una fantasia. La Gran Bretagna e le altre nazioni che parlano inglese si sono ormai distanziate. La speranza che gli Stati Uniti vogliano aderire a quest’idea, che ricorda da vicino l’idea dei trascorsi imperiali della Gran Bretagna, svanisce di fronte alla realtà. Il fatto che si sia incerti se includere o no l’India nell’Anglosfera è un insulto all’India moderna che si è ormai plasmata una sua propria identità post-imperiale e che avrebbe ben poco desiderio di aderire a una ‘sfera’ centrata sulla comune lingua inglese. Non c’è piu’ spazio per una cooperazione economica che si era sempre basata in passato su una relazione squilibrata tra la Gran Bretagna e i suoi avamposti imperiali. Gli Stati Uniti, dati i propri interessi, tradizionalmente rivolti al Sud e Centro America e ora diretti verso l’Asia e il Pacifico, hanno ben poco, o nulla, da guadagnare da un’Anglosfera, sia essa formale o informale. Questa parola non è che uno slogan che intende attutire le incertezze sull’identità stessa dalla Gran Bretagna nel mondo, dopo il 2019.
Questa identità è minacciata anche dalle conseguenze della Brexit all’interno del Regno Unito. Questo potrebbe, a lungo, non restare unito. La Scozia già gode di larga autonomia, ma la grande maggioranza della sua popolazione vuole restare nell’U.E. Attualmente, la sua indipendenza non garantirebbe un immediato accesso all’Unione, ma, se si separasse dall’Inghilterra, la Scozia avrebbe un’economia del tutto in salute per aderire all’Unione stessa. Quanto all’Irlanda del Nord, i cui parlamentari protestanti puntellano il governo di Theresa May, c’è un problema grave. Dopo anni in cui la pace si sta consolidando e la frontiera tra le due Irlande è piu’ aperta, sembra probabile che verrà di nuovo ristabilito un confine piu’ marcato. I nazionalisti irlandesi potrebbero allora rivitalizzare la campagna per l’unificazione dell’intera isola, e – anche tra i votanti protestanti – ci potrebbero essere forti ragioni per credere che l’appartenenza all’Europa darebbe loro benefici maggiori rispetto all’appartenenza a un Regno Unito che deve fronteggiare una crisi economica, e alla possibilità che il nazionalismo ’inglese’ diventi piu’ martellante. Colpisce infatti la frequenza con la quale nella discussione sul futuro ricorra la parola ‘Inghilterra’. La Gran Bretagna è uno stato federale che ha avuto un buon successo, ma la Brexit ha mostrato, e mostrera’, quanto fragile essa possa essere una volta che la ‘nazione’ prendesse il posto dell’appartenenza all’Unione Europea come categoria di riferimento.
Sappiamo bene che una nuova ondata nazionalistica in Europa non è confinata alla Gran Bretagna. Ma la decisione di uscire dall’U.E. contribuirà molto a rafforzare le forze politiche che favoriscono un’idea di nazione strettamente definita. Ne conseguirà che l’Europa sarà portata indietro al 20mo secolo e alla sua ossessione per l’identità nazionale e a tutte le tensioni e ai conflitti politici internazionali che tale ossessione alimentò. Brexit è assolutamente un passo all’indietro, che ci porta a dire che decenni di cooperazione economica, sociale e politica hanno realizzato ben poco, se i loro risultati possono essere rovesciati da un semplice voto ‘si’/no’, espresso da un elettorato sfortunatamente ignorante dei problemi. Le fondamenta filosofiche dell’Unione Europea sono raramente discusse, e certamente non lo sono nel dibattito in Gran Bretagna. Eppure ci sono argomenti convincenti a favore della prevalenza della collaborazione sulla competizione, dei confini aperti rispetto a frontiere strettamente controllate, della tolleranza culturale e sociale rispetto alle politiche di esclusione e di differenziazione culturale. Le ragioni filosofiche a favore dell’Europa richiedono un’appropriata conoscenza della storia europea recente e una consapevole comprensione del dove sta il futuro dell’Europa. Purtroppo, forse la maggioranza di coloro che hanno votato per la Brexit avevano ben poco dell’una e dell’altra.

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