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Declino della ragione e diritto amministrativo delle generazioni future*

di - 14 Novembre 2017
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Tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria – Karl Marx

Soltanto il lettore è realeEdmond Jabès

Il futuro è incerto perché – come diceva il Magnifico – del diman non v’è certezza, ma oggi la questione assume alcuni tratti specifici e nuovi che forse vale la pena di descrivere.
Iniziamo dalle banche.
Banking is necessary, banks are not; Il noto statement di Bill Gates sul futuro delle banche nell’epoca della crisi finanziaria contiene elementi che devono far riflettere.
Le banche – come le abbiamo conosciute fino ad oggi – sono strutture grandi e costose. L’impatto della rivoluzione tecnologica informatica è destinato a mutarle profondamente nelle loro prassi operative interne, ma anche a fare emergere nuovi soggetti dell’intermediazione finanziaria (in rete ed altrove e si pensi anche alle prospettive di creazione di una moneta non statuale, ai bitcoin) capaci di svolgere la funzione delle banche odierne senza i vincoli strutturali che ne caratterizzano l’azione e che si sono dimostrati inidonei a prevenire le crisi (too big to fail si è detto, costringendo gli Stati nazionali a salvarle con il danaro dei contribuenti, così determinando una avversione del pubblico che è fondata sulla sensazione che nulla funzioni, in modo tale da impedire episodi di mala gestio, sicché tanto vale rinunciare ad ogni regola e si salvi chi può).
È possibile che tramonti il diritto bancario come diritto pubblico (quanto meno come diritto pubblico avente le caratteristiche che oggi conosciamo: modello autorizzatorio, esistenza di banche centrali vigilanti, vincoli patrimoniali) se le banche dovessero operare in un mondo economico futuro affiancate da nuovi competitors senza più essere garantite da una riserva di attività.
Naturalmente un mondo di questo genere – immaginato negli States; inimmaginabile nell’Europa della Unione bancaria delle regole ultradettagliate sulle crisi – mette a rischio il futuro, supera la tutela della sana e prudente gestione, rinuncia al “mito” della stabilità bancaria, in fondo rischia di compromettere i diritti dei risparmiatori, che sono sempre anche diritti delle future generazioni, in nome di una logica di mercato sempre più totalizzante che marcia sulle gambe della rivoluzione tecnologica.
Lo statement dovrebbe preoccuparci, in quanto ciò che accade in America (nuova deregulation bancaria, sviluppo delle tecnologie informatiche nelle prassi operative delle banche) prima o poi arriva in Europa ed è destinato a trasformare la nostra realtà (nonostante la norma costituzionale di cui all’art. 47 Cost. e la costruzione dell’assai complesso edificio burocratico dell’Unione bancaria).
In sintesi il mondo di Internet – profetizza Gates – supererà quello delle banche. Su quanto ciò sia desiderabile dovremmo interrogarci per evitare che la crisi bancaria italiana sfoci in una sostanziale deregolazione.
Ma non solo le banche sono oggetto della grande trasformazione. Internet supererà altri mondi tradizionali. E vediamo.
Forse Internet sta superando la politica del Novecento.
Karl Rove, il noto politico conservatore americano, ha ritenuto superata “the reality-based community”: egli ha detto ad un giornalista che lo intervistava: “ People believe that solutions emerge from your judicious study of discernible reality … That’s not the way the world really works anymore”.
Ma allora come funziona il mondo nella visione di questo politico spregiudicato (consigliere elettorale di George W. Bush)?
Il mondo funziona in base al principio dell’irrealtà.
Certo le ideologie novecentesche erano già improntate a truthiness (the quality of seeming or being felt to be true, even if not necessarily true) ossia a verità di comodo (si pensi alla pretesa scientificità del materialismo dialettico).
Ma il loro tramonto non ha riportato in auge un metodo razionale di argomentazione e decisione politica.
L’irrealtà è promossa potentemente dalla Rete. La democrazia ne subisce le conseguenze. Dalla ricerca della verità si passa al dominio della mera apparenza di verità.
Non è un caso che l’amore per la verità (il fulcro della filosofia greca) e per i fatti (il fulcro del metodo scientifico) sia sempre più in discussione in Occidente e con esso l’amore per i libri; quest’ultimo sempre meno in auge.
I libri appaiono superati come oggetti fisici e la lettura si fa frammentaria mentre la scrittura diviene citazionistica (sul fenomeno della morte delle biblioteche fisiche mi sono soffermato in un precedente scritto in questa Rivista dedicato a Nicola Cusano; e, sia detto incidentalmente, sono felice che recentemente sia stato pubblicato un volume che ripropone una accurata traduzione di molti suoi scritti e qui non posso che ribadire la necessità di una regolamentazione pubblicistica delle future biblioteche informatiche che rimpiazzeranno quelle reali).
Alla morte delle biblioteche fisiche si accompagnerà una profonda modificazione dei modi di pensare.
In una nuova oscura dialettica dell’illuminismo (Adorno ed Horkheimer)[1] le nuove straordinarie e benefiche possibilità conoscitive della rete si possono trasformare nel loro contrario, in odio per i libri, in esaltazione acritica del proprio pensiero – che rinuncia ad ogni confronto e metodo scientifico – come libero pensiero, diffondendo nella società veleni, paure e credenze irrazionali.
Il libero pensiero rischia di divenire solipsistico.
La radicalizzazione dei terroristi che avviene in Rete è emblematica.
L’illusione delle primavere arabe sfociata in caos politico è da studiare, deve esserne ancora scritta compiutamente la complessa storia, ma Internet – se ne ha l’impressione – giuoca un ruolo centrale nella vicenda.
Ma non è solo la apparenza di verità ad inquinare la pubblica opinione (sempre meno habermasiana[2]) ma anche un vero e proprio nuovo declino della ragione.
Un travisamento completo della nota affermazione di Nietzsche per cui non esistono fatti ma solo interpretazioni (affermazione che è una lode del pluralismo a ben vedere e del metodo socratico) autorizza chiunque a sostenere in rete – nell’epoca della post-verità – le tesi più assurde, del genere per cui il libro della Genesi va preso alla lettera contenendo la vera narrazione fattuale dell’origine dell’universo o che le società sono comandate da menti remote (una sorta di Matrix) esistenti in altri mondi o che il potere si regga sempre e solo su complotti che nascondono la verità al popolo o che l’intelligenza artificiale rimpiazzerà quella umana (il credo antiumanistico dell’epoca del post-umanesimo).

* Questo breve articolo è nato da una feconda discussione con Filippo Satta sulle prospettive del futuro del diritto amministrativo. Filippo Satta ha, fra le tante qualità umane, il dono di fare le domande giuste e di stimolare uno scambio di pensieri del quale gli sono sempre grato. Le domande sul presente suscitavano sconforto, il quadro del futuro meno. Abbiamo concluso che pensare il futuro fa bene, non costa nulla, anche se occorre essere consapevoli che difficilmente le speranze hanno pratiche conseguenze. Ma non si sa mai.

Note

1.  L’illuminismo, secondo i due autori, difese e propugnò l’autodeterminazione razionale degli individui, ma finì con l’imporre al mondo una razionalità scientifica in grado di neutralizzare, se non di impedire, la stessa libertà che rivendicava al soggetto. Questa ragione scientifica, basata sull’oggettivazione della realtà, si proponeva di dominare tutto il mondo della natura, allo scopo di un suo sfruttamento strumentale. Con lo sviluppo della tecnologia, anche l’uomo, la vita umana stessa, sono diventati oggetto di analisi a scopo di dominio e manipolazione. Di fatto, il progetto illuminista si è risolto nel suo opposto. Tra la ragione come facoltà della scienza e la ragione come facoltà della libertà si è così sviluppato un conflitto, con la vittoria della razionalità tecnocratica.
A differenza dei marxisti tradizionali, Horkheimer e Adorno credono che non sia tanto, e non sia più, la proprietà privata dei mezzi di produzione a generare nuove forme di schiavitù e servitù, ma al contrario sia, per così dire, la volontà di potenza iscritta nel codice genetico della ragione strumentale a generare l’appropriazione del mondo da parte di piccole élite. Non solo: ormai sarebbe dimostrato che l’abolizione della proprietà privata non ha portato ad alcuna liberazione. Dalla volontà di dominio possono sorgere, come nel comunismo sovietico, forme ancora più aberranti di oppressione storicamente espresse dalle società borghesi.
Secondo Horkheimer e Adorno, quindi, c’è una perfetta identità tra logica del dominio e logica illuministica. L'”Illuminismo” diventa così sinonimo di “pensiero borghese” ed il suo significato viene esteso a tutta la tradizione soggettivistica, da Cartesio a Bacone, ai suoi foschi scrittori (Machiavelli, Hobbes e Mandeville), fino a coinvolgere Kant. Il criticismo kantiano, secondo Horkheimer e Adorno, ha ridotto l’oggetto a semplice materiale caotico. La mente del soggetto assume così il compito di piegarlo al suo modo di vedere a priori. Se Kant non è che l’estrema consapevolezza del borghese, il positivismo di Comte, Stuart Mill e Spencer è la sua definitiva consacrazione, mentre il pragmatismo americano non è altro che l’espressione di un efficientismo razionalizzante e privo di scrupoli (tema evidenziato nell’Eclisse della ragione, opera del solo Horkheimer).
L’illuminismo — che in origine si proponeva di rendere l’uomo meno timido e pauroso nei confronti della natura e dell’ignoto, del mito e delle superstizioni religiose — ha così liberato una sorta di mostruosità insita nell’uomo stesso, che si è scatenata prima nei confronti della natura, e poi nei confronti dei propri simili.
Tuttavia, proprio questa “follia” razionalistica si è risolta, in modo quasi hegeliano-marxiano, nella sua negazione: il dominatore si è fatto dominare dai suoi stessi strumenti, dai suoi servi e dalla sua praxis. Il borghese-illuminista — completamente scisso dalla natura e alienato del suo tempo, quasi dimentico del fatto che alla base del suo fare e dell’essere homo faber c’era la ricerca di maggior piacere e più grandi vantaggi — si è imposto un’etica ed una disciplina rinunciataria, una forma di continua astinenza a favore dell’impegno e del lavoro, diventando così identico al suo strumento: l’operaio contemporaneo.
Metafora, invero profetica, di questa condizione alienata sarebbe il mitico Ulisse e l’Odissea la sua storia; in questa scelta forse vi sono più echi di Joyce che di Omero. L’allegoria dell’homo faber assimilato all’Ulisse che incontra le sirene è pregnante. Facendosi legare all’albero maestro, egli può sentire l’ammaliante richiamo della felicità e del sublime piacere, ma non può approfittarne. Cfr. anche J. Eltser, Ulisse e le sirene Indagine sulla razionalità e sull’irrazionalità, Bologna, 2005.

2.  Il riferimento è ad J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Bari, 2006. Una fondamentale interpretazione dello sviluppo dell’opinione pubblica nella società borghese, dalla funzione critica e di controllo sulle oligarchie dirigenti esercitata al sorgere degli Stati nazionali a quella attuale. L’analisi, che coinvolge anche storia e sociologia della famiglia, della stampa e delle istituzioni giuridiche nel corso degli ultimi tre secoli, rende conto dei cambiamenti dell’orizzonte d’esperienza e degli approfondimenti teorici sui concetti di società civile e sulla complessità dei nuovi fenomeni di aggregazione sociale.

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