Luci ed ombre nel salvataggio di quattro banche in crisi
Sotto altro profilo, un affievolimento della menzionata distinzione tra controllo bancario e gestione delle crisi, come ipotizzata dal regolatore europeo, è intervenuto anche a causa dell’applicazione data da numerosi paesi dell’Unione (tra cui l’Italia) al disposto dell’art. 3, comma terzo, della direttiva n. 59/2014 /UE (nel quale viene attribuita agli Stati membri la facoltà di «prevedere in via eccezionale che l’autorità di risoluzione sia l’autorità competente per la vigilanza»). Tale previsione – cui è collegata la raccomandazione agli Stati membri di «mettere in atto adeguati accorgimenti aventi natura strutturale per separare le funzioni di vigilanza e quelle di risoluzione» nei casi in cui la nomina ricada sull’«autorità responsabile della vigilanza prudenziale degli enti («autorità competente») quale autorità di risoluzione» (considerando n. 15) – attesta la peculiare valenza ascritta dal legislatore al nominato criterio della separazione tra le autorità cui spettano differenziate competenze (i.e. vigilanza sugli intermediari e risoluzione delle crisi)[10]. Orbene, nonostante l’indicato, chiaro orientamento normativo, evidentemente finalizzato ad evitare paventate forme di commistione, causa di impedimenti operativi, in numerosi paesi (Germania, Francia, Italia, Olanda, Irlanda) l’autorità di risoluzione coincide con quella di vigilanza; paesi che motivano questa scelta nel riferimento alle economie di scala ed ai benefici conseguibili tramite una organizzazione unitaria che consente scambio di informazioni e di esperienze pregresse[11].
Va da sé che il tempo costituisce un fattore fondamentale per l’efficacia e l’efficienza della riforma, come opportunamente è stato sottolineato dal Direttore generale del FITD nel ricordare il carattere di ‘armonizzazione minimale’ della direttiva BRRD[12]. Da qui la possibilità, per vero non utilizzata, per gli Stati membri di fruire di un congruo periodo di transizione dalle vecchie alle nuove regole, sì da garantire una graduale attuazione del nuovo complesso dispositivo. Ed invero, l’armonizzazione minimale consente agli Stati membri di mantenere, al proprio interno, norme differenti rispetto a quelle fissate dall’Unione Europea, ove detta linea comportamentale sia finalizzata ad una più pregnante protezione del consumatore (nel nostro caso: di servizi finanziari).
Si è, dunque, in presenza di innegabili vantaggi normativi che, disattendendo detto criterio disciplinare, rischiano di andare dispersi: in primis la possibilità di procedere ad un’adeguata sperimentazione delle soluzioni legislative adottate, sì da consentire agli stati membri di elaborare quelle più funzionali ad un’accettazione dell’acquis comunitario che non avvenga previo sconvolgimento degli ordinamenti nazionali. Ciò, lasciando ferma la possibilità per il legislatore nazionale di migliorare il contenuto della normativa europea ove quest’ultima (come nel caso della tecnica procedimentale che ci occupa) presenti ambiguità che è opportuno eliminare al fine di garantire il rispetto di differenti culture, da fondare su una trasparenza normativa idonea ad escludere qualsivoglia incertezza interpretativa.
4. Passando, poi, a qualche considerazione sulle forme tecniche previste dalla citata normativa per la gestione e la risoluzione delle crisi bancarie, va fatto presente che in letteratura i caratteri strutturali del nuovo modello disciplinare – articolato in quattro modalità operative utilizzabili in via alternativa (la «vendita delle attività d’impresa» [sale of business], la «separazione delle attività» [bad bank], la costituzione di un «ente-ponte» [bridge bank] e l’adozione del «bail-in») – hanno da subito acceso un vivo dibattito in ordine alla effettiva possibilità che taluni Stati membri riescano a coniugare (in tempi congrui) le realtà strutturali interne con i nuovi schemi ordinatori imposti dall’Europa[13].
Al riguardo rileva la constatazione che le menzionate forme tecniche di risoluzione appaiono funzionalizzate ad una prioritaria finalità preventiva, la quale finisce col prestare scarsa attenzione alla fase liquidatoria che, in presenza del dissesto di una banca, dovrebbe rappresentare invece la naturale modalità di conclusione di ogni procedimento all’uopo adottato. In tale contesto trova logica spiegazione il rilievo ascritto dalla normativa alla predisposizione di specifici «piani di risanamento» (recovery plans) da parte degli enti creditizi, nei quali siano definiti i dispositivi o le misure da adottare per consentire l’assunzione di azioni tempestive volte al ripristino della c.d. sostenibilità economica di lungo periodo (long-term viability). A tali piani, fanno riscontro i «piani di risoluzione» (resolution plan), predisposti dalle autorità competenti in materia (in cooperazione con l’autorità di vigilanza) sulla base delle informazioni fornite dagli enti interessati; piani – questi ultimi – che inevitabilmente condizionano le scelte cui il ‘Comitato di risoluzione unico’ e le ‘autorità nazionali di risoluzione’ conformano le linee procedurali da seguire nelle concrete fattispecie (artt. 8 e ss. del reg. UE n. 806/2014).
È evidente come il legislatore europeo, in una logica di mercato volta a supportare la concorrenza, abbia fatto affidamento su tale innovativa forma di collaborazione tra intermediari ed autorità di settore per conseguire il ‘risanamento’ dell’ente creditizio in crisi, disancorandolo dal ricorso a forme di supporto pubblico straordinario. Diversamente dal passato, il rimedio ora introdotto non comporta, quindi, interventi esterni al soggetto incorso in una situazione patologica. Ciò se, per un verso, segna la fine di frequenti ipotesi di moral hazard da parte di enti creditizi disposti all’assunzione di rischi eccessivi, per altro apre le porte allo strumento del ‘bail-in’, che utilizzando la tecnica del cd. haircut – vale a dire dell’imposizione in via prioritaria di riduzioni di valore a carico dei titolari di azioni, di debito subordinato e dei creditori non garantiti (art. 53 della direttiva 2014/ 59/UE) -, può determinare, come poc’anzi si precisava, le condizioni giuridico fattuali di una sostanziale vanificazione della procedura liquidatoria applicabile nella fattispecie.
Tralascio in questa sede di soffermarmi sulle conseguenze del ‘bail-in’ e, in particolare, sull’ipotizzabile incremento dei tassi di remunerazione, quale è dato prefigurare in relazione alla percezione di un maggior rischio da parte degli stakeholders[14]. Indubbiamente, potrà in futuro registrarsi un prevedibile aumento del costo del danaro correlato alla difficoltà delle banche di effettuare regolarmente la provvista in presenza di una generalizzata applicazione di tale procedura; del pari, rinvio alle recenti indicazioni della giurisprudenza e della dottrina in ordine alla non conformità di tale tecnica a taluni principi fondanti delle Costituzioni dei paesi UE[15]. Mi sembra, invece, opportuno ritornare sulle modifiche, per tal via recate, alle modalità classiche di svolgimento della fase liquidatoria che, di norma, dovrebbe concludere l’intervento di risoluzione delle crisi in esame.
In particolare, va fatto presente che la determinazione del c.d. MREL (Minimum Requirement for own Funds and Elegible Liabilities) – previsto dall’art. 45 della direttiva n. 2015/59/UE e dall’art. 12 del regol. n.2015/ 806/UE, recepito poi nella legislazione italiana dall’art. 50, comma primo, del d.lgs. n. 180 – ha predisposto un meccanismo idoneo, in caso di risoluzione, a circoscrivere l’applicazione del bail-in a crediti (ricompresi nella area dell’8% delle passività totali da esso coinvolte) le cui caratteristiche sono specificate dalla Banca d’Italia. Viene, quindi, lasciata aperta (all’autorità di vigilanza) la possibilità di determinare ex ante una sorta di ‘zona bail-inizzabile’ dalla quale verosimilmente saranno lasciati fuori i depositi bancari e, per quanto concerne il nostro Paese, la specificazione delle «caratteristiche delle passività computabili …(ai fini del bail-in) … e le modalità secondo cui esse sono computate» (art. 50, sesto comma)[16].
Note
10. Cfr. ROSSANO D., Nuove strategie per la gestione delle crisi bancarie: il bail-in e la sua concreta applicazione, in Supplemento al n. 3 della Riv. trim. dell’economia, 2015, p. 277, ove si precisa che il legislatore ha rimesso alle singole legislazioni nazionali «la fissazione di criteri di indipendenza operativa idonei ad evitare la commistione tra la funzione di supervisione e quella di risoluzione (art. 3 della direttiva 2014/59/UE)….(per cui)… tali criteri devono essere oggettivi e, pertanto, la loro individuazione sarebbe dovuta avvenire in sede legislativa e non … demandata alle medesime autorità cui sono assegnati i poteri di risoluzione». ↑
11. Con riguardo a tali opzioni si vedano i seguenti documenti: per la Germania «German government moves forward with package of measures for European banking unional», visionabile su www. bundsfinanzministerium.de/Content/EN/Pressemitteilungen/2014/2014-07-09-package-ofmeasures-for-eurpean-banking-union.html?; per l’Olanda «DNB to become national resolution authority», su www. dnb.nl/en/news/news-and-archive/dnbulletin-2014/dnb309365.jsp; per l’Irlanda «Central Bank of Ireland designated as Ireland’s National Resolution Authority», su www.centralbank.ie/press-ara/ pressreleases/Pages/CentralBankofIrelanddesignatedasIreland’sNationalResolutionAuthority.aspx. Per la Francia, paese nel quale l’autorità di risoluzione è attivata presso la banca centrale, rileva il disposto della LOI n. 2013-672 del 26 luglio 2013. ↑
12. Cfr. BOCCUZZI, Assetti istituzionali, regole e procedure per la gestione delle crisi bancarie nel quadro dell’Unione Bancaria, intervento svolto nel convegno ‘La gestione delle crisi bancarie e l’assicurazione dei depositi nel quadro dell’unione bancaria europea’, cit. ↑
13. Cfr. tra gli altri ZAVVOS e KALTSOUNI, The Single Resolution Mechanism in the European Banking Union: Legal Foundation, Governance Structure and Financing, in AA.VV., Research Handbook on Crisis Management in the Banking Sector, Cheltenham, 2015. ↑
14. Cfr. CAPRIGLIONE – TROISI, L’ordinamento finanziario dell’UE dopo la crisi, Padova, 2014, p. 104 ss. ↑
15. Cfr. Corte Cost. austriaca 3 luglio 2015 [G239/2015], con nota di DIBRINA, ‘Risoluzione’ delle banche e ‘bail-in’, alla luce dei principi della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e della Costituzione nazionale, in Riv. Trim di Dir. Ec., 2015, II, p. 184 ss. ↑
16. Cfr. VISCO, Intervento alla giornata mondiale del risparmio del 2015, p. 8 delle bozze di stampa. ↑