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Luci ed ombre nel salvataggio di quattro banche in crisi

di - 17 Febbraio 2016
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2. Alla luce di tali riflessioni si comprendono le difficoltà interpretative della normativa europea sopra richiamata che, da più parti, vengono rappresentate, nonché il bisogno di far chiarezza sulle modalità d’applicazione della stessa di recente invocate anche dal rappresentante dell’autorità di risoluzione[3]. Indubbiamente tali difficoltà sono imputabili alla discrasia esistente tra la realtà normativa e quella fattuale e, dunque, al divario riscontrabile tra l’ipotesi teorica cui ha fatto riferimento il regolatore europeo ed il concreto contesto sistemico nel quale il complesso dispositivo di cui trattasi deve trovare applicazione.
Forse non sono ancora maturi i tempi per addivenire, senza una preventiva fase di transizione disciplinare, ad una svolta della regolazione speciale – che non esiterei a definire di portata epocale – qual è quella di cui si discute. Gli intermediari sono stati messi di fronte ad un cambiamento che è causa di notevoli incertezze, in quanto la complessità del nuovo «meccanismo di risoluzione delle crisi» – sostituito tout court ai presidi (procedurali) con cui per decenni si sono fronteggiate le differenti forme di patologia bancaria – ha avuto inevitabilmente un impatto traumatico, con riflessi anche sulle linee interventistiche delle stesse autorità di settore. Queste ultime a lungo hanno gestito le crisi bancarie fruendo di ampi poteri, esercitati tra l’altro guidando gli organi del commissariamento e della liquidazione c.a., oltre che mediante il ricorso a tecniche informali di moral suasion (praticate nei confronti di enti bancari sollecitati ad intervenire nelle operazioni di risanamento). Sicché, in passato dette autorità potevano contare sull’adesione/collaborazione degli appartenenti al settore del credito. Per converso oggi, a seguito dell’entrata in vigore dei provvedimenti disciplinari dianzi citati, esse sono costrette ad un agere incanalato nelle strettoie dei «piani» previsti dalla normativa europea, al quale di certo non consente forma alcuna di estensione applicativa la lettura che la Commissione dà alle disposizioni UE in materia di «aiuti di Stato».
Rileva, al riguardo, l’azione svolta dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi che, sul piano delle concretezze, ha operato in chiave strumentale al risanamento delle crisi, offrendo – in aggiunta al compito istituzionale rappresentato dal rimborso dei depositi di ammontare non superiore ai 100 mila euro – mezzi finanziari (forniti, dai soggetti abilitati ad esso aderenti, su base volontaristica, in un primo tempo, obbligatoria, successivamente) e servizi tecnici che, in molti casi, sono stati determinanti nel rinvenire adeguate soluzioni a fronte di eventi degenerativi delle realtà bancarie. Si versava, dunque, in presenza, di forme operative (disposte da un micro-sistema di appoggio alle misure interventistiche previste dal regolatore dell’epoca) la cui attivazione ha consentito all’autorità di settore di poter contare su un meccanismo d’ausilio nel definire con successo gli esiti dei commissariamenti in corso, evitando in tal modo un possibile effetto contagio con ripercussioni negative a livello di sistema.
In tale contesto, l’Organo di controllo ha utilizzato talora il modello procedimentale previsto dal legislatore in chiave sostanzialmente sanzionatoria e, dunque, nel convincimento che sarebbe stato evitato ai casi di amministrazione straordinaria di tracimare in liquidazione c.a. (come è dato evincere dal limitato numero di fattispecie siffatte). In concreto, in presenza di situazioni di mala gaestio imputabili a «gravi irregolarità nell’amministrazione», vale a dire all’inadeguatezza della governance, veniva demandato agli organi della procedura (ex art. 70, comma primo, lett. a, tub) il compito di superare la situazione d’impasse in cui alcune banche erano incorse. L’attività di questi ultimi – a seguito di una compiuta analisi della realtà aziendale finalizzata al completamento delle indagini effettuate negli accertamenti ispettivi dell’Organo di vigilanza bancaria – rendeva verosimile l’aspettativa di un recupero dell’ente in crisi, anche in considerazione dei possibili interventi effettuati dal FITD per facilitare le operazioni di integrazione tra la banca in difficoltà ed altro appartenente al settore. In altri termini, l’autorità di controllo si è a lungo avvalsa degli ampi spazi temporali previsti per lo svolgimento della procedura di amministrazione straordinaria per ricercare idonee modalità di conclusione ‘non traumatica’ della stessa.
Orbene, tale tecnica applicativa spiega – a mio avviso – taluni tratti apparentemente poco chiari del recente salvataggio disposto dal noto d.l. n. 183 del 2015; fermo restando che alla medesima si è fatto, a mio avviso, riferimento almeno nei confronti di due delle quattro banche, prese in considerazione in tale decreto legge.
Mi riferisco, in particolare, alla Cassa di risparmio di Ferrara, i cui azionisti nell’assemblea straordinaria del 30 luglio 2015 avevano deliberato di ricoprire le perdite risultanti dalla situazione patrimoniale al 31 marzo 2015, mediante utilizzo delle riserve e riduzione del capitale sociale (la cui consistenza residua per un ammontare superiore agli 11 milioni veniva accertata da una perizia del prof. Enrico Laghi dell’Università di Roma), nonché alla Cassa di risparmio della provincia di Chieti, la quale (come risulta dallo stesso provvedimento del Ministro dell’economia e delle finanze del settembre 2014) è stata commissariata per gravi irregolarità amministrative e non per perdite patrimoniali. C’è da domandarsi, allora, per quale motivo tali enti creditizi siano stati associati alla Banca Marche ed alla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio nell’operazione voluta da Governo per risolverne la crisi.
Questo ed altri interrogativi mi hanno indotto a rappresentare significative perplessità con riguardo a tale operazione per quanto essa si configuri, a livello giuridico formale, corretta[4]. In particolare, rilevano i dubbi relativi alla: (i) circostanza che il ‘Fondo di risoluzione nazionale’, amministrato dall’«Unità di risoluzione della Banca d’Italia», è intervenuto con mezzi finanziari conseguiti inizialmente per intero con la leva (al di là, quindi, degli ordinari criteri e limiti che ne connotano l’applicazione); (ii) assunzione da parte della Cassa Depositi e Prestiti di un impegno di sostegno finanziario in caso di incapienza del Fondo alla data di scadenza del finanziamento; (iii) ipotizzabile responsabilità dei commissari i quali, nel corso della gestione commissariale, non hanno impedito (nel corso dei circoscritti termini di quest’ultima) il progressivo deterioramento patrimoniale di tali banche, donde le conseguenze dirompenti della valutazione effettuata ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 180 del 2015, alla quale si ricollega il ‘programma di risoluzione’ formulato nei provvedimenti emanati dalla Banca d’Italia il 21 novembre 2015.
Probabilmente, come sottolineavo in precedenza, l’autorità di settore non ha calcolato con esattezza i tempi delle procedure e si è trovata a dover assumere tempestive decisioni a ridosso della scadenza dei termini per l’applicazione della normativa di recepimento della direttiva n. 59/2014/UE e del Reg. 806/2014. Da qui l’adozione di linee comportamentali che appaiono poco convincenti, specie se si tiene conto del fatto che lo svolgimento dell’iter procedimentale in parola è stato, forse, condizionato dalle improprie modalità di recepimento nella regolazione nazionale di alcune disposizioni della citata dir. n. 59/2014/UE.

Note

3.    Cfr. DE POLIS, L’Autorità di Risoluzione, intervento nel convegno ‘La gestione delle crisi bancarie e l’assicurazione dei depositi nel
quadro dell’unione bancaria europea’,
organizzato da FITD, tenutosi a Roma il 22 gennaio u.s.

4.    Cfr. il mio articolo Regolazione europea post-crisi e prospettive di ricerca del ‘diritto dell’economia’: il difficile equilibrio tra politica e finanza, in corso di pubblicazione su Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2016.

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