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Luci ed ombre nel salvataggio di quattro banche in crisi

di - 17 Febbraio 2016
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Mi riferisco, in particolare, alla statuizione in cui si disciplina il criterio per la ‘valutazione delle attività e passività’ ai fini della risoluzione, la quale ai sensi dall’art. 36, comma primo, di tale direttiva deve essere «equa, prudente e realistica» e demandata a «una persona indipendente da qualsiasi autorità pubblica, compresa l’autorità di risoluzione». Orbene, tale criterio sembra disatteso dal legislatore nazionale, il quale nel citato art. 23 del d.lgs. n. 180 del 2015, riguardante per l’appunto la valutazione testé menzionata, ha disposto che questa ultima «è effettuata su incarico della Banca d’Italia da un esperto indipendente, ivi incluso il commissario straordinario nominato ai sensi dell’articolo 71 del Testo Unico Bancario»; statuizione la cui lettura dà adito ad ampie perplessità, specie se si ha riguardo al disposto del successivo art. 26, comma secondo, nel quale si rinviene la precisazione, di dubbia legittimità costituzionale, che limita la «tutela giurisdizionale contro la valutazione»[5]. È evidente come si versi in presenza di una lettura della normativa europea che ne altera l’originaria portata, in quanto viene previsto un ‘potere di nomina’ degli esperti indipendenti in luogo di un mero onere a provvedere.
Da qui un generale clima di incertezze che connota gli eventi in esame estrinsecandosi – oltre che in alcuni aspetti della procedura di selezione degli advisors ai fini della vendita delle quattro banche (cfr. la relativa nota della Banca d’Italia visionabile sul sito www.bancaditalia.it) – anche nelle stesse modalità di attuazione delle misure di risoluzione. Non v’è dubbio, infatti, che l’esito di queste ultime lascia presumere un agere su cui ha interagito l’influenza (rectius: la pressione) della Commissione UE, la quale con tutta probabilità ha indicato i parametri da applicare (benchmark), oltre ad escludere – com’è noto – la possibilità di interventi del FITD.
È evidente come la preoccupazione prioritaria dell’autorità di settore e del Governo sia stata quella di sottrarre alla scure del bail-in quelle categorie di creditori (depositanti sopra i 100 mila euro e obbligazionisti non subordinati) rientranti almeno fino al 31 dicembre 2015 nell’ambito dei cd. risparmiatori inconsapevoli e, dunque, tutelati. Tuttavia, la situazione complessiva (rectius: le modalità) in cui si sono svolti gli eventi sopra rappresentati evidenzia un sostanziale spostamento della questione che ci occupa dal piano della tecnica a quello della politica, la quale avrebbe potuto/ dovuto sul punto insistere su una diversa interpretazione della nozione di «aiuti di Stato» per risolvere, con le tradizionali tecniche di cui sopra si è detto, i ‘commissariamenti’ delle quattro banche in crisi. Ciò, accettando anche il rischio di una ‘procedura d’infrazione’ ovvero invocando il riconoscimento, da parte dell’UE, nella definizione della questione, di margini di flessibilità che – nonostante le continue richieste avanzate dai nostri vertici governativi – al bisogno si risolvono spesso in un mero wishful thinking.
A ben considerare, forse, una risposta all’interrogativo concernente lo strano iter adottato per il salvataggio in parola – che, a giudizio di molti, appare fondato su motivazioni poco convincenti – va ricercata in un ambito che trascende la mera riferibilità alla tecnica procedimentale applicata nella fattispecie.
Più precisamente, essa sembra riconducibile alle incertezze di fondo che, al presente, caratterizzano le relazioni tra gli Stati membri dell’Unione e gli organi istituzionali di quest’ultima; laddove, più in generale, rileva la mancanza di una visione coesa in ordine alle modalità di gestione del cambiamento in atto. Si è forse in presenza di un’implicazione della recente crisi scarsamente valutata! Nei casi di patologia aziendale non è sufficiente (per conseguire risultati positivi) ideare ed attuare misure normative che appaiono oggettivamente idonee a chiudere pregresse situazioni di mala gestio; gli auspicati benefici (soprattutto di carattere preventivo) non si registreranno se i rimedi progettati sono immessi nelle realtà disciplinari dei differenti paesi UE a scadenze predeterminate, senza lasciare intercorrere un adeguato spazio temporale nel quale venga consentita ai singoli ordinamenti la possibilità di far proprie (rectius: assimilare) le modifiche di sistema, introducendo (se del caso) eventuali correttivi e, dunque, procedendo ad una compiuta omogeneizzazione tra ‘vecchio’ e ‘nuovo’ regime normativo.
In tale contesto, si comprende la ragione per cui – di fronte ad una imposizione (che potremmo definire traumatica) delle tecniche di risoluzione introdotte ‘SRM’ – molti studiosi ed operatori si interrogano al fine di valutare compiutamente gli effetti distorsivi delle medesime. Tali tecniche vengono percepite, infatti, come strumentali alla ‘rottura’ con un passato nel quale prevaleva la logica della ‘tutela ad oltranza’ delle ragioni dei risparmiatori; si ipotizza l’intervenuta fine di un’azione di salvaguardia dei diritti di questi ultimi, laddove per decenni essa aveva identificato l’obiettivo primario delle autorità politiche e tecniche del settore, in linea con motivazioni culturali risalenti alle origini della nostra legislazione bancaria, ispirata al principio della cd. concorrenza controllata[6]. In altri termini, si è in presenza di eventi che – nel riflettere i limiti generali del processo d’integrazione europeo – evidenziano le distonie dell’attuale mancanza di coesione all’interno dell’UE e il rischio strategico cui vanno incontro le autorità di supervisione domestiche (costrette ad accettare regole che ne circoscrivono le funzioni).

3. Per le considerazioni testé esposte è evidente come l’introduzione della nuova disciplina di risoluzione delle crisi bancarie abbia colto il nostro Paese impreparato ad un passaggio disciplinare di grande portata, con ovvie conseguenze negative sul piano della pacifica attuazione delle tecniche procedimentali di cui si discute. Ciò nonostante l’apprezzabile tentativo di evitare l’immediata applicazione del bail-in dispiegato dalla Banca d’Italia nell’ambito dei negoziati sulla direttiva BRRD, allorché venne da essa avanzata con insistenza la richiesta di «rinviare … (la sua adozione).. al 2018, così da consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l’entrata in vigore del nuovo quadro di gestione delle crisi e, dunque, collocate e sottoscritte avendo presenti i nuovi scenari di rischio»[7]. In analogo ordine logico si sono espressi, del resto, alcuni autorevoli studiosi i quali sul punto hanno rappresentato la necessità di «una norma transitoria che esentasse l’Italia dal bail-in per un periodo temporaneo (12-18 mesi)», all’uopo sottolineando l’esigenza di un impegno del «governo …(finalizzato a)… negoziare questa transizione con le autorità di Bruxelles, oggi ancora più insistentemente di quanto fatto senza successo durante il disegno delle regole del bail-in»[8].
D’altronde, sembra cosa certa che il nuovo modello interventistico, fondato sulla separazione delle funzioni di vigilanza e di gestione delle crisi bancarie, non è stato definito in ambito UE previa accettazione tout court dell’indicato canone disciplinare. La ricerca di una distinzione (rectius: separazione) tra dette forme di controllo avrebbe dovuto avere il suo epicentro nella formula del meccanismo unico di risoluzione delle crisi, che fa capo ad un ‘Comitato unico di risoluzione delle crisi’, chiamato a gestire le diverse fasi della procedura in parola, in stretto raccordo decisionale ed operativo con la Commissione. Su un piano formale, la BCE avrebbe dovuto, quindi, essere esclusa da una partecipazione attiva all’agere del SRM, in quanto essa interviene in detto Comitato solo come ‘osservatore permanente’, sia in sessione esecutiva che plenaria del medesimo. A ben considerare, tuttavia, appare verosimile che la sua posizione potrà andare ben oltre una mera funzione informativa (attiva o passiva), propria della figura che le viene ascritta; orientano il tal senso le stesse considerazioni della BCE, la quale esplicitamente sul punto afferma che «as a supervisor, the ECB will have an important role in deciding whether a bank is failing or likely to fail»[9]. Da qui le conclusioni cui dianzi si è pervenuti in ordine ai possibili condizionamenti cui è esposta l’azione delle banche centrali nazionali titolari di funzioni di vigilanza bancaria.

Note

5.    Art. 26, secondo comma, del d.lgs. n. 180 del 2015: «Non è ammessa tutela giurisdizionale contro la valutazione, finché non è stata adottata la decisione di cui al comma 1. Davanti al giudice amministrativo non è ammessa tutela autonoma contro la valutazione, ma essa può essere oggetto di contestazione solo nell’ambito dell’impugnazione della decisione, ai sensi dell’art. 95».

6.    Cfr. per tutti CIOCCA, La nuova finanza, Torino, 2000, cap. VI, ove si sottolinea l’interpretazione eccessivamente vincolistica data dalle autorità di settore alla normativa speciale, donde la mancata affermazione di una logica concorrenziale nel nostro sistema finanziario. Ad essa si è accompagnata una rigida applicazione del modello di banca pura che ha frenato l’ampliamento della sfera di attività degli enti creditizi, le cui linee comportamentali per lungo tempo non sono apparse riconducibili in un quadro di mercato competitivo, con ovvi riflessi a livello di sviluppo di settore.

7.    Cfr. BARBAGALLO, Audizione nell’Indagine conoscitiva sul sistema bancario italiano, Roma, 9 dicembre 2015 Camera dei Deputati Sesta Commissione Finanze, p. 13 delle bozze di stampa.

8.    Cfr. GUISO e ZINGALES, L`Italia chieda la moratoria sui bail-in, editoriale pubblicato su IlSole24Ore del 30.12.2015

9.    Cfr. la descrizione relativa al Single Resolution Mechanism, nella pagina dedicata alla Banking Union, pubblicata sul sito istituzionale www.bankingsupervision.europa.eu

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