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Ambiente e futuro

di - 19 Maggio 2015
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La quota di produzione facente capo alle attività in senso lato industriali (si pensi alle ciminiere dell’Inghilterra carbonifera di inizio ‘800, posti orribili …) è arrivata in alcuni paesi fra cui il nostro a punte prossime o addirittura superiori al 40% del PIL. Dopo la seconda guerra mondiale, quando l’Inghilterra aveva espresso il massimo sforzo produttivo contro il nazismo, la produzione industriale era pari al 45% del PIL, quasi metà delle attività produttive, il resto essendo poca agricoltura in termini relativi e molto terziario (la finanza, il commercio, i trasporti, le comunicazioni, le attività professionali e quant’altro). Le attività industriali pesavano molto meno, il 10-15% al massimo, nell’Inghilterra del tardo ‘700. Passare dal 10-15 al 30-40% per una componente dell’attività produttiva particolarmente inquinante ha avuto gran rilievo per la questione ambientale.
Quindi non solo c’è stata enorme moltiplicazione della produzione, ma anche la sua composizione è variata.
b) La seconda ragione è connessa con le cosiddette esternalità, in particolare con le esternalità negative.
L’idea generale si deve a un distinto economista del secolo scorso, A.C. Pigou, professore a Cambridge, ed è questa: una economia capitalistica funziona nella misura in cui il mercato, attraverso i prezzi, segnala in modo efficiente costi e ricavi, in particolare alle imprese.
L’impresa, ad esempio, usa lavoro. Il lavoro ha un prezzo, detto salario. Esiste un mercato del lavoro che esprime il prezzo. Se il prezzo salario varia l’impresa ne terrà conto nella scelta dei metodi di produzione, nel decidere quanto e quale tipo di lavoro utilizzare, rispetto al capitale.
Le imprese, producendo, sopportano costi: oltre al costo del lavoro, il costo del capitale, il costo delle materie prime, il costo della terra. Ma infliggono, anche, costi, tra cui i danni che nel produrre infliggono all’ambiente. Sono questi costi/danni inclusi nel conteggio complessivo dei ricavi e dei costi?
Dallo scarto tra ricavi e costi dipende il profitto dell’impresa capitalistica. Il problema delle esternalità negative (non a caso dette esternalità) è che gli oneri che il produrre fa gravare sull’ambiente, che i produttori scaricano all’esterno dell’impresa, non sono inclusi nel calcolo del conto economico aziendale.
La fabbrica che getta i resti delle attività produttive nel fiume provoca danni più o meno gravi a chi vive e lavora nei paraggi. Altro esempio, Taranto. Producendo acciaio, l’ILVA, avrebbe fatto ammalare e persino morire cittadini di Taranto.  Supponiamo vi sia davvero un nesso causale stretto tra il produrre da parte dell’ILVA e i danni alla salute delle persone. I costi meramente economici (prescindendo dai danni meta- economici, i più importanti) di queste attività produttive non sono inclusi dalla società per azioni ILVA nel suo conto economico. Se fossero stati inclusi l’ILVA con la stessa produzione avrebbe spuntato minori profitti e/o  avrebbe ridotto la produzione e/o aumentato i prezzi. Esternalità negativa vuol dire quindi ripercussioni onerose per soggetti terzi, altri rispetto alla impresa che produce e che genera oneri per l’ambiente.
Il punto di fondo, secondo questa analisi, è che il sistema di mercato capitalistico non ha un servofreno, non è dotato di un automatico meccanismo equilibrante che attraverso il calcolo dei costi scoraggi dal gravare sull’ambiente.
Si innesca allora, in questa economia, un perverso meccanismo con il quale lo stesso ordinamento giuridico è chiamato a fare i conti.
In sintesi, si produce molto più che in passato. Lo si fa utilizzando anche fonti di energia fossili particolarmente inquinanti (legna, carbone, petrolio). Non vi sono freni di mercato, anzi. Quindi si generano emissioni di CO2, anidride carbonica pessima per l’ambiente.
Il secondo passaggio in questa perversa catena (siamo, come diceva il professor Satta, fuori dal campo dell’economia, nel campo della fisica, della chimica, dell’ingegneria) è che le emissioni di CO2 tendono a permanere nell’atmosfera, con un fenomeno di concentrazione di sostanze che non si dissolvono.
Secondo Nordhaus quelle che si generano quest’anno permarranno per mezzo secolo. Non le emissioni in quanto tali, ma la loro concentrazione e la loro duratura permanenza determinano il cambiamento climatico. Il cambiamento climatico, e segnatamente il riscaldamento dell’atmosfera, ha ricadute estremamente nocive, di carattere sia ecologico-ambientale, sia economico.
Dall’analisi degli strati di ghiaccio si è accertato che la concentrazione di gas serra c’è sempre stata, ma nel passato anche lontano ha oscillato tra 190 e 290 parti per milione. Solo negli ultimi 50 anni la concentrazione è invece aumentata del 25%, ovvero dello 0,4% l’anno, da 315 a 390 parti per milione.
Per capire cosa vuol dire 0,4% per cento all’anno di una grandezza qualsivoglia che cresce a quel ritmo richiamo la “regola del settanta”, utile a rispondere alla seguente domanda: una “cosa” che cresce dello 0,4% all’anno (siano soldi, inquinamento, grano) in quanti anni raddoppia? La regola è questa: si divide 70 per 0,4. In soli 175 anni, se la concentrazione dei gas serra continuasse costantemente a crescere dello 0,4% l’anno la concentrazione raddoppierebbe, passando da 390 a 800 parti per milione.
L’aumento del 25% della concentrazione ha incrementato la temperatura del globo di un grado (che è moltissimo) in soli 50 anni. Se il fenomeno continuasse linearmente, alla fine di questo secolo, nel 2100, la temperatura del globo salirebbe di altri 2,5 gradi. Quindi dal 1900, nei due secoli, la temperatura salirebbe di 3,5 gradi.
Va rifiutato il catastrofismo. Va respinta la previsione secondo la quale, se questo accade, il mondo finisce (l’ira di Dio). Le previsioni sono nondimeno preoccupanti.
Il livello del mare, da qui a fine secolo, nei prossimi 85 anni, salirebbe da 18 a 60 cm.
Si scioglierebbero i ghiacci, almeno quelli dell’Oceano Artico. Quelli dell’Antartico, pur non scomparendo, si ridurrebbero.
Sarebbe certo l’intensificarsi degli uragani, che diventerebbero anche più variabili, meno prevedibili, in qualunque momento insorgenti.
Oltre all’acidificazione dei mari vi sarebbe meno acqua potabile e minore produzione di cibo su scala mondiale.

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