Le priorità ambientali attuali
Del resto, tanto per rimanere nel tema complesso dei conflitti che vi sono nel campo delle priorità ambientali, se considerassi come componente ambientale significativa anche il paesaggio, e come sapete vi è una tendenza a considerare il paesaggio praticamente quale il descrittore di tutto, ivi compreso l’ambiente, questo dovrebbe essere l’interesse prevalente, al quale tutto rapportare. La nostra legislazione paesaggistica è nata e si è rafforzata in supplenza di pianificazione ambientale. Nel frattempo anche la pianificazione ambientale si è sviluppata moltissimo, però costituzionalmente l’interesse-paesaggio è prevalente. E il paesaggio “della” Costituzione non è il paesaggio del «codice Urbani», è un paesaggio ancora legato alla cultura, all’estetica, al visibile, alle “bellezze” che non agli aspetti che sono stai poi individuati nel tempo quali componenti del paesaggio.
Nel 1985, con la c.d. legge Galasso -, siamo stati l’unico Paese al mondo, vi prego di notare questa particolarità -, che ha assoggettato intere categorie di beni ex lege a vincolo, tutelando, ad esempio, le fasce costiere, i boschi e le foreste, e persino i circoli glaciali artici che, come è noto, non esistono nel nostro Paese. Prima della legge Galasso, si utilizzavano le c.d. “provvedimentazioni puntuali”, ovvero decreti di vincolo che riguardavano un singolo bene specifico. Si trattava, per lo più, di vincoli di tipo procedimentale. La disciplina urbanistica definiva le destinazioni e le modalità d’uso e successivamente, attraverso l’autorizzazione della Soprintendenza, si realizzava un intervento, conformemente a quelli che erano i criteri culturali della Soprintendenza in quel momento, riguardante, ad esempio, il tipo di tetto, il colore dell’edificio, le finestre. Col passare del tempo si è verificato, poi, un appesantimento del vincolo, nel senso che i vincoli vengono intesi quasi come se fossero dei vincoli assoluti, mentre non lo sono. Infatti, è soltanto il piano paesaggistico che trasforma il “vincolo nudo” (come viene detto il vincolo previsto dalla Galasso) in un “vincolo vestito”, perché gli fornisce una disciplina, che definisce esattamente quali sono le modalità di applicazione della tutela.
Il punto che volevo segnalare era proprio questo passaggio dalla tutela di specifici luoghi alla definizione ex lege di intere categorie di beni tutelabili, quali ad esempio tutte le fasce costiere, i boschi e le foreste, i monti al di sopra di determinate quote. Indipendentemente dallo stato reale di questi beni. Si è preferita la appartenenza ad una categoria «astratta» di un bene rispetto alla specifica condizione reale dello stesso per definirne la assoggettabilità ad un regime di tutela. Il passaggio da potenziale a reale di tale regime è quello che deve fare il piano paesaggistico. Ma ciò sta avvenendo? A guardare alle esperienze in corso non sembrerebbe. Si preferisce riproporre la categoria astratta. Qualche scricchiolio di questo modo di fare si inizia a scorgerlo.
Vengo ad un altro aspetto problematico: la ponderazione dell’interesse tra compatibilità e sostenibilità ambientale. Nella ponderazione degli interessi sembra prevalere il criterio della compatibilità, che è concetto ben diverso da quello della sostenibilità. Fino a poco tempo fa, la procedura di valutazione di impatto ambientale consisteva prevalentemente in un giudizio di compatibilità e ancora tale è la definizione del parere che conclude la procedura di VIA relativamente a determinate opere che trasformano l’ambiente. Una logica di compatibilità implica che gli interessi siano, più o meno, tutti equivalenti e come tali debbano essere trattati. Pertanto, la definizione delle priorità e del loro ordine non è un problema solo metodologico. Ad esempio, personalmente, sono portato a dire che la salute e la sicurezza del territorio sono interessi che prevalgono anche sulla tutela del paesaggio di cui all’art. 9 della Costituzione. Non condivido l’ottica di una governance che considera tutto allo stesso modo; preferirei piuttosto che qualcuno avesse il coraggio di stabilire un ordine di priorità.
Ciò anche perché, ripeto, le priorità ambientali che si sono venute determinando nel tempo sono state molto episodiche ed emozionali, dando luogo a una situazione di assoluta indeterminatezza. Ritengo che si possa anche rinunciare a definire in modo declaratorio le priorità, giacché oggettivamente si tratta di un’operazione molto complessa, però in tutte le decisioni occorre avere delle scale di valore e, quindi, si pone la questione delle forme di misurazione. Su di esse, probabilmente, è possibile trovare un «accordo» sia pure modulabile nel tempo, poiché evidentemente anche i valori dell’ambiente cambiano in assoluto e nella nostra percezione.
In proposito, è assolutamente necessario che siano stabiliti a livello statale, regionale e locale: a) dei descrittori; b) dei misuratori dei descrittori, ovvero i cosiddetti indicatori. L’indicatore è l’unità di misura del descrittore e può essere qualitativo o quantitativo. A ogni modo, alla base si pone una descrizione che dal punto di vista scientifico è già di per se stessa importante. Del resto, lo stesso Soprintendente, quando decide di vincolare un ambiente, lo fa attraverso un processo descrittivo; il vincolo, infatti, non a caso, si chiamava ricognitivo prima di diventare, di fatto, un vincolo quasi-espropriativo. Il legislatore, a un certo punto, si accorge di questo e, timidamente, trova una soluzione nella legge quadro che è alla base del famoso riordino delle leggi sull’ambiente (la legge 308 del 2004), in base alla quale il diritto di costruire può essere trasferito, qualora un’area venisse interessata da una pianificazione ambientale sopravveniente. La preoccupazione del legislatore è esattamente questa: nella vigenza di un piano regolatore, sopravviene un piano di assetto idrogeologico con alla base uno studio scientifico sull’esondazione; si può determinare un conflitto tra le due pianificazioni. Il legislatore ha individuato la possibilità che l’amministrazione locale possa operare il trasferimento del diritti di costruire in modo tale che il danno del proprietario venga attenuato.