Le priorità ambientali attuali
Voglio prendere sul serio il titolo di questa tavola rotonda, perché quella delle priorità ambientali è una questione che mi intriga da tempo. Da molti anni, infatti, ritengo che la tendenza generalizzata a dimenticare la gerarchia degli interessi – tendenza che nel nostro Paese è più recente, ma che si sta nondimeno affermando –, sia alla base di molte complicazioni e confusioni. Quindi, parlare di priorità in qualche modo significa implicitamente aver deciso quali sono gli interessi prioritari. Il nostro sistema costituzionale ci dice che vi è pressoché un equilibrio tra gli interessi. Pertanto, quando si redige, ad esempio, un piano urbanistico, si svolge un esercizio di contemperazione dei vari molteplici interessi legittimi con riguardo ad alcuni (sicurezza del territorio, salute umana, paesaggio, etc.), ugualmente prioritari. Tanto che, con sempre maggiore frequenza, dalla l. n. 241/90 in poi, anche i portatori di questi interessi sono legittimati a partecipare ai vari procedimenti. Si usano molte espressioni per descrivere questa complessità che, prese a prestito dalle esperienze internazionali, ruotano intorno al tema della c.d. governance. Però, ormai, in Italia questo termine si usa soprattutto in presenza di questioni non sufficientemente chiare: si dice che è un problema di governance. Chi conosce un poco queste questioni sa che dietro a governance c’è sempre l’espressione government e che non c’è governance senza government. Tuttavia, si tende a fermarsi sempre a quest’aurea misteriosa che ingloba tutto nella governance per non affrontare con chiarezza le questioni. Ci imbeviamo di questa parola quando, invece, i problemi di definizione delle priorità esistono eccome.
Rispetto, ad esempio, a questo approccio così tipicamente anglosassone alla governance, personalmente, da molti anni a questa parte, sostengo che l’Italia, che era un Paese tradizionalmente “ad atto amministrativo”, per effetto della partecipazione a vari consessi ed organismi anche economici internazionali, ha, in misura sempre maggiore, assunto approcci da governance, appunto, ma senza chiare forme di government. Ciò, però, con grandi difficoltà e con ritorni di fiamma per gli approcci tradizionali, per cui mi sto formando la convinzione che, probabilmente, non siamo adatti per la governance così come la possiamo leggere nella letteratura internazionale oltre che nell’esperienza di altri paesi. Per questo motivo, sono giunto alla conclusione che un equilibrio tra i due approcci, che in Francia viene definito “cooperazione gerarchica”, probabilmente sarebbe stato più opportuno per il nostro Paese rispetto questa forma di governance spesso senza governo e senza regole.
Il tema delle priorità ambientali -, che potrebbe sembrarvi un po’ astratto -, è invece decisivo, come ho potuto constatare nella mia esperienza di studioso e, per quanto è stato possibile, di collaboratore alla costruzione di norme in materia ambientale, e soprattutto di applicatore di tali norme, per esempio per quanto riguarda la valutazione ambientale. Occupandomi da tempo di valutazione ambientale, ho potuto riscontrare personalmente quanto siano cambiate nel tempo le priorità ambientali e quanto, molto spesso, esse siano state imposte al legislatore, alla politica e alle amministrazioni più da fattori di tipo emozionale che non per reali problematiche. Se uno si divertisse a vedere quali sono state le “fisse” delle varie commissioni di valutazione ambientale dalla meta degli anni Ottanta ad oggi, scoprirebbe che in un dato momento andavano “di moda” determinate questioni, in un altro, altre. Ad esempio, in un certo periodo l’elettromagnetismo era diventato fondamentale, in un altro, il rumore, e così via; sempre sull’onda di fattori promossi da un’emergenza o da una tendenza internazionale che, chissà perché, qualcuno ha fatto crescere e irrobustire fino a farla diventare un must.
Ormai il tema delle priorità ambientali è importante anche perché la legislazione ambientale, che nel nostro Paese inizia nella metà degli anni Sessanta – la prima legge sull’inquinamento atmosferico è del 1965 – e oggi siamo nel 2011, è una legislazione abbastanza consistente. Porsi la questione del sistema delle priorità al suo interno è diventato assolutamente fondamentale.
Ad esempio, vi sono sentenze che affermano che in una determinata parte del territorio il livello sonoro prodotto da un infrastruttura autostradale o meglio dalla circolazione che utilizza quell’infrastruttura, debba essere più basso di quello della norma quadro. Il giudice ha certamente dato una sua ponderata interpretazione della norma quadro. La misura per verificare se quella infrastruttura, o meglio la circolazione che utilizza quell’infrastruttura, è a norma sono 75 dba (per il giorno) e 65 dba (per la notte). Il giudice stabilisce un livello più basso. Mettere a norma un’infrastruttura stradale quando qualcuno ha detto, ad esempio, che è sui 40 dba, che si deve tarare il progetto di risanamento acustico, significa spendere una enorme quantità di soldi per una azione preventiva, giacché si attua prima della realizzazione di un’eventuale nuova infrastruttura o dell’intervento su quella esistente. Mettere a norma il contesto nel quale opera quell’infrastruttura implica interventi spesso anche lontani dall’infrastruttura stessa perché le onde sonore non riflettono la modellazione reale del terreno, con superfici che riflettono e rimbalzano le onde in un gioco molto complesso che solo modellistiche sofisticate possono definire. Un caso concreto: quanto è accaduto per il primo lotto della Firenze nord-Firenze sud in ampliamento a terza corsia, è esattamente questo. Il giudice in quel caso ha preso proprio questa decisione, basando il suo ragionamento sul link rumore-salute. Dunque, in questo caso, il giudice ha determinato una priorità, ritenendo la salute prioritaria rispetto ad altri profili ambientali.