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Multidisciplinarietà, preferenze e valori

di - 25 Agosto 2010
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Il primo settore che ha dovuto gioco forza diventare multidisciplinare è quello degli studi finanziari atteso che per comprendere la microstruttura dei mercati e i comportamenti degli investitori finanziari non si può fare a meno di ragionare a cavallo tra economia e psicologia. Nasce così la behavioural finance.

L’altro terreno di incontro naturale e di fertilizzazione incrociata è quello degli studi sulla felicità. Per anni gli economisti hanno scritto funzioni di utilità sulla base di ipotesi filosofiche  aprioristiche  decidendo cosa rendesse le persone felici. La novità degli ultimi decenni è che con gli studi sulla soddisfazione di vita è possibile verificare empiricamente se tali ipotesi sono valide. Lo stesso accade con gli studi sempre più diffusi di economia sperimentale nei quali si sta comprendendo progressivamente l’eterogeneità, la ricchezza e la complessità delle motivazioni comportamentali dei soggetti economici.

Cosa hanno imparato gli economisti da questi studi in termini di multidisciplinarietà ? Ad esempio che nel rapporto tra felicità e reddito, se nel breve periodo l’ipotesi di concavità della funzione di utilità attesa è sostanzialmente suffragata dai dati, nel medio lungo periodo il fenomeno psicologico dell’adattamento edonico rende la relazione molto più piatta. I risultati empirici dei lavori sulle determinanti della soddisfazione di vita rivelano inoltre che la felicità degli individui è continuamente “perturbata” da confronti con i nostri simili. Se non dobbiamo passare all’estremo opposto ritenendo che un aumento di reddito egualmente distribuito non aumenti la soddisfazione di vita perché lascia le posizioni relative inalterate, non possiamo non osservare quanto i confronti con il gruppo di riferimento rappresentato da coloro che si considerano i nostri simili hanno un impatto fondamentale sulla nostra soddisfazione di vita. Fino a generare paradossi come quello osservato da Clark nel 2006 per il quale, in uno studio sulle regioni inglesi, i disoccupati in aree ad alta disoccupazione sono più felici di quelli in aree a bassa disoccupazione per la prevalenza dell’effetto sociologico (confronto con i pari meno negativo) su quello economico (minore probabilità di trovare lavoro visto l’alto numero di disoccupati.

2. Preferenze e valori: partiamo dalle evidenze empiriche recenti

Come nel caso della multidisciplinarietà, anche la riflessione sul rapporto tra preferenze e valori, più che (o meglio prima di) procedere filosoficamente ed aprioristicamente, dovrebbe fare tesoro del sempre più vasto patrimonio di evidenze empiriche a disposizione degli studiosi.

Prima di riflettere teoricamente se i valori debbano orientare o meno i comportamenti degli agenti economici e se un sistema di regole dovrebbe imporli o promuovere comunque il loro rafforzamento è opportuno partire dall’osservazione che le scelte economiche delle persone sono profondamente influenzate dai valori. Per fare solo un esempio, il settore dei consumi e dei risparmi solidali partito da situazioni di nicchia va estendendosi sempre di più dimostrando che la disponibilità a pagare per i valori incorporati in alcuni prodotti non è soltanto dichiarata nelle indagini a mezzo intervista ma si concretizza in reali comportamenti di acquisto. Il fatto che esista un mercato fatto di imprese (importatori e botteghe equosolidali, istituzioni di microfinanza che non massimizzano il profitto, economia di comunione, imprese cooperative di vario genere) che rinunciano ad una parte o tutti i loro profitti per produrre beni e servizi che incorporano tali valori, e di cittadini che sono disposti, a parità di tutto il resto, a preferire nei loro acquisti i prodotti che incorporano questi valori anche se costano di più, testimonia che in un’economia dove i beni intangibili giocano un ruolo sempre più importante, i valori  come la responsabilità sociale e la solidarietà rappresentano ormai una delle dimensioni su cui si gioca la competizione sul mercato. Senza entrare nella complessità delle dinamiche di questo tipo di competizione, fondata su un bene invisibile e non di esperienza (la responsabilità sociale), e dunque soggetta a tutti i problemi di asimmetria informativa del caso che marchi, standard e società di rating cercano in parte di colmare, ciò che più interessa ai fini delle riflessioni degli autori del libro è se i valori sono qualcosa di diverso dalle preferenze o sono ormai interiorizzati e trasformati in esse.

Il mondo dell’economia solidale, grazie all’alleanza di imprenditori pionieri che hanno anteposto obiettivi sociali a quelli tradizionali con i cittadini responsabili che hanno “votato con il portafoglio” per i loro prodotti, partendo da dimensioni tutto sommato marginali è diventato un importante lievito e fermento del sistema economico grazie alla sua capacità di contagio. Nel settore bancario come in quello alimentare e della grande distribuzione le quote di mercato dei prodotti solidali hanno spinto i competitori tradizionali massimizzatori di profitto ad aumentare il loro grado di responsabilità sociale per competere con i nuovi entrati fino a vendere essi stessi quel tipo di prodotti. Il caso più eclatante di contagio è forse oggi il mercato delle banane dove in Svizzera ed in Inghilterra i prodotti equosolidali hanno conquistato rispettivamente il 47 e il 25 percento delle quote di mercato.

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