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Multidisciplinarietà, preferenze e valori

di - 25 Agosto 2010
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un commento al volume The Economics of Ethics and the Ethics of Economics. Values, Markets and the State, Cheltenham, UK, Northampton, USA, Edward Elgar, 2009, a cura di Geoffrey Brennan e Giuseppe Eusepi.

Sono molto contento di essere stato invitato a commentare e a riflettere sul volume edito da Eusepi e così ricco di spunti e di sollecitazioni. I punti a mio avviso più stimolanti del volume su cui intendo fare qualche considerazione sono quelli del valore della multidisciplinarietà, del rapporto tra preferenze e valori, e del modo in cui i valori debbano essere trasmessi, che sono al centro di due dei saggi più importanti del volume.

1. L’elogio della multidisciplinarietà

Ritengo che il riduzionismo della monodisciplinarietà rappresenti ed abbia rappresentato una delle maggiori piaghe del pensiero economico. Se da una parte esso ha consentito di approfondire il lato positivo dell’economia, andando a fondo nello studio su di un singolo fenomeno, dall’altra ha prodotto inevitabilmente dal punto di vista normativo suggerimenti di policy assolutamente insoddisfacenti perché basati sul funzionamento di un frammento della realtà senza alcuna attenzione alle connessioni di quel frammento con quanto accade nel sistema socioeconomico complessivo.

Se la realtà è complessa e fatta di diverse angolature ridurla ad una sola dimensione può creare seri guasti. Né vale la giustificazione che del resto si occuperanno gli altri. Ragionare come se le varie sfere (economica, sociologica, psicologica, della produzione, ambientale) siano separate vuol dire di fatto ignorare le connessioni e i feedback che esistono tra di esse e quindi dare ricette su presupposti sbagliati. Parafrasando è come se noi affidassimo la scrittura di un manuale per la guida di una macchina ad un esperto dell’acceleratore che conosce soltanto quella parte della vettura. Ci dirà come si può accelerare ma avrà poca dimestichezza con le altre spie della vettura, con le regole della sua stabilità, ecc. Il problema purtroppo non è solo degli economisti ma anche delle altre discipline scientifiche. In fisica, come in biologia ed in medicina abbiamo esplorato in maniera molto approfondita le caratteristiche di singole parti ma siamo ancora molto indietro nel comprendere il funzionamento di sistemi complessi.

La stessa difficoltà degli economisti nell’anticipare e nel comprendere la crisi finanziaria globale è figlia dell’ossessione monodisciplinare. Per capire questa crisi era infatti necessario collegare le conoscenze relative ad almeno tre aspetti del sistema economico: la macroeconomia, le dinamiche del settore mobiliare e infine il pricing dei derivati, il funzionamento del loro mercato e gli effetti della circolazione degli stessi in termini di rischio sistemico. Posso dire con quasi certezza che non esiste nessun economista in grado di spaziare con la propria ricerca su tutti e tre questi settori (l’unica eccezione è forse Robert Shiller che infatti della crisi aveva intuito molto). I macroeconomisti classici poi hanno trascurato e stilizzato a tal punto il mercato finanziario nei loro modelli che la parola “finanza” non compare che in rarissimi casi nei modelli pubblicati sulle principali riviste.

L’approccio multidisciplinare è un’assoluta necessità se vogliamo risolvere il problema tridimensionale dell’economia globale (limiti in termini di povertà e disoccupazione causati dalle difficoltà di creare e distribuire valore economico, sostenibilità/insostenibilità ambientale dello sviluppo economico, paradossi nel rapporto tra crescita economica e soddisfazione di vita). Il risultato più clamoroso dell’ossessione monodisciplinare sono le ricette di policy che ambientalisti ed economisti oppongono parlando due lingue l’una incomprensibile all’altro.  È ovvio che è possibile conciliare il consumare di meno dei primi con il consumare di più dei secondi soltanto con un approccio multidisciplinare ed integrato di economia ambientale che studia in che modo è possibile aumentare l’efficienza ambientale della produzione ovvero creare valore economico in modo ambientalmente sostenibile.

Come ricordano gli autori nel libro, la motivazione dei difensori della monodisciplinarietà è che la stessa con le sue regole rigorose consente di controllare la qualità della ricerca scientifica. Gli esempi fatti sopra indicano che se includiamo nella qualità le ricette di policy che scaturiscono dai modelli è vero assolutamente il contrario. Ma questa considerazione vale anche dal punto di vista positivo se consideriamo come la monodisciplinarietà, con le sue chiusure alle conoscenze derivanti da discipline attigue come la psicologia e la sociologia, ha senz’altro favorito il riduzionismo antropologico che ha connotato il pensiero degli economisti fino ad oggi. In questo senso la multidisciplinarietà rappresenta un terreno fertilissimo perché è proprio dalla ricerca effettuata al confine tra le discipline che si produce spesso l’innovazione più interessante. Non a caso nel libro si ricordano i premi nobel la cui originalità di ricerca è dipesa dalla loro capacità di essere a cavallo tra due discipline (da Sen ad Akerlof fino a Kahneman).

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