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Regole e controlli pubblici al tempo della crisi

di - 5 Ottobre 2009
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Una possibile risposta alla crisi potrebbe tradursi, quindi, nel ritorno al passato, consentendo alle autorità di vigilanza maggiore discrezionalità, per quanto possibile nel moderno assetto di norme che regolano l’operato delle amministrazioni pubbliche. In realtà, questo dibattito è falsato nei presupposti; lo studio dell’evoluzione della vigilanza mostra che la discrezionalità delle autorità non è molto diminuita negli ultimi 20 anni; essa ha solo assunto nuove forme. La maggior parte degli ordinamenti finanziari attuali si basa su regole stabilite ex ante, uguali per tutti gli intermediari, principalmente tese alla fissazione di determinati rapporti fra operatività e mezzi propri. Il passaggio da un sistema di limiti all’operatività e autorizzazioni caso per caso, a uno in cui vengono imposti vincoli all’espansione dell’attività correlati alla sussistenza di determinate condizioni dell’assetto organizzativo dell’impresa, comporta il cambiamento dell’approccio regolamentare da un sistema di divieti, e quindi obblighi di comportamento, a uno di vincoli e controlli sull’organizzazione dei fattori produttivi. Questo tipo di regole sostituisce divieti con incentivi che tendono a far coincidere l’interesse della singola impresa con quello generale[10]. Le norme non limitano più la concorrenza fra gli intermediari, spingendo verso la ricerca dell’efficienza gestionale. Le autorità intervengono per verificare la coerenza delle scelte gestionali dell’impresa con gli assetti organizzativi. Ciò è confermato dalla crescita del peso della vigilanza informativa, ossia dell’analisi della situazione finanziaria sulla base di modelli standardizzati.
La sostituzione di regole di comportamento con regole organizzative non equivale a una riduzione dei controlli pubblici, né alla diminuzione della discrezionalità delle autorità; secondo uno dei massimi autori del pensiero liberale, la sostituzione di regole di condotta con regole di organizzazione rappresenta un’espansione del diritto pubblico ai danni del diritto privato[11]. Anche Basilea II, pur affidando agli stessi intermediari, o a valutazioni di operatori del mercato, come le agenzie di rating, il giudizio sulla rischiosità dell’attivo delle banche, ai fini dell’applicazione delle regole di capitalizzazione, non ha ridotto i controlli pubblici, né la discrezionalità delle autorità; queste ultime sono passate dal controllo del rispetto di vincoli quantitativi a quello sulla qualità della gestione, considerato che i modelli interni possono essere adottati solo dagli intermediari che hanno un assetto organizzativo adeguato. Più in generale, il concetto di sana e prudente gestione presenta elementi di ambiguità e consente alle autorità margini di interpretazione rilevanti, anche se si può affermare che la fissazione di una serie di parametri della valutazione pubblica, stabiliti preventivamente, come quelli dell’adeguatezza patrimoniale, consente, rispetto al passato, una più semplice sindacabilità dell’operato delle autorità.
I ritardi negli interventi degli organi pubblici di supervisione non possono essere conseguenza della loro diminuita discrezionalità. E’, inoltre, riduttivo discutere dell’efficacia dell’azione delle autorità solo in termini di ampiezza della loro discrezionalità.
E’ più utile cercare di comprendere le debolezze emerse nell’assetto dei controlli. In tale ottica, un punto importante riguarda le modalità e i tempi dell’intervento dei supervisori, come disegnati dagli ordinamenti moderni. La scelta, non più discutibile nei moderni ordinamenti, di considerare gli intermediari finanziari come imprese che effettuano decisioni gestionali autonome, nel rispetto di vincoli generali legati alla struttura organizzativa, confina l’intervento delle autorità nella fase nella quale si manifestano squilibri gestionali o i primi segnali di difficoltà. In questo sistema sembrano importanti due aspetti: la tempestività, la profondità e l’autonomia di giudizio del supervisore esterno nell’analisi della situazione finanziaria dell’intermediario; l’esistenza di poteri sanzionatori incisivi a disposizione delle autorità per la cattiva gestione.
Il primo aspetto è oggetto di discussione da parte delle stesse autorità, prima fra tutte quelle inglesi. Queste ultime, fin dagli inizi degli anni novanta, hanno sostenuto l’idea di una vigilanza caratterizzata da interventi poco prescrittivi e concentrata sulla valutazione dei risultati gestionali. In questo contesto, un peso centrale fra gli strumenti di supervisione è attribuito al dialogo diretto fra vigilanza pubblica e senior management delle banche. In un recente documento di analisi della crisi finanziaria globale del 2009 l’FSA, alla luce degli evidenti fallimenti di quest’approccio, dimostrato dai ritardi nella comprensione di situazioni di difficoltà finanziaria di importanti intermediari, ha sostenuto l’esigenza di una revisione della filosofia della supervisione. Non è abbandonata l’idea di ridurre al minimo gli interventi prescrittivi, ma viene proposto di intensificare l’attività di revisione di gestione delle banche e di passare da un approccio “based on facts” a un approccio “based on judgements about the future”. La vigilanza dovrebbe effettuare una valutazione delle soluzioni gestionali degli amministratori delle banche, ossia entrare nel merito delle complessive scelte di business della banca e, più in generale, sulle previsioni sui rischi. Si tratta di valutazioni che presentano margini di ambiguità elevati e che possono dare luogo, più che in passato, a una pericolosa confusione fra le scelte gestionali degli intermediari e il giudizio della vigilanza. La mancanza di distinzione netta di ruoli fra imprese e supervisore esterno rende più difficile per quest’ultimo intervenire con un giudizio negativo sulla gestione dell’intermediario in situazioni di difficoltà. La posizione della FSA non appare convincente nella parte in cui accentua la discrezionalità nella valutazione delle gestione delle banche da parte delle autorità. E’, invece, importante il richiamo dell’attenzione sull’attività di analisi della situazione finanziaria degli intermediari come perno della vigilanza che dovrebbe essere più frequente e accompagnarsi al rafforzamento delle autorità sul piano delle competenze tecniche e dell’indipendenza.

Note

10.  Per una lettura dei coefficienti di solvibilità come regola di governance cfr. Geoffrey Wood, Governance Not regulation, in questa rivista 14 aprile 2009.

11.  Cfr. F.A. Hayek Ordinamento giuridico e ordine sociale cit., p. 717-718 ss. Nell’ambito della teoria generale del diritto, è stata contestata l’idea della equivalenza fra norme di diritto pubblico e norme di organizzazione. Secondo Bobbio, infatti, la dicotomia fra norme di condotta e norme di organizzazione «…meglio di ogni altra serve ad individuare le due funzioni che tradizionalmente sono attribuite ad un ordinamento giuridico: la funzione di rendere possibile la convivenza di individui (o gruppi perseguenti ciascuno fini singoli), e la funzione di rendere possibile la cooperazione di individui o gruppi perseguenti un fine comune» (N. Bobbio, Dalla struttura alla funzione (nuovi studi di teoria del diritto), Milano 1977, p. 128-129).

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