Intorno alla corruzione
4. Il codice civile non ignora certo i contratti illeciti. Distingue anche tra quelli che lo sono per illiceità della c.d. causa, e quindi liberi nella loro strutturazione, e quelli contrari a norme imperative. In concreto si può pensare ad es. da un lato ad un contratto di prestazione d’opera, finalizzato però all’eliminazione fisica di qualcuno, e dall’altro ad un matrimonio a termine, istituto tanto frequente in certi Paesi dell’Estremo Oriente. Come il codice civile non ignora questi contratti, così li sanziona tutti in un unico modo. Sono illeciti, quindi nulli. Come tutti sanno, la nullità del contratto si risolve nel rendere inesigibile la prestazione.
Sennonché la nullità non colpisce solo il contratto illecito. Colpisce anche, e soprattutto, una serie di ipotesi, in cui il legislatore ha pensato di elidere gli effetti del contratto per carenza di un suo presupposto essenziale o per il suo venir meno (come nel caso del matrimonio che segue alla dichiarazione di morte presunta, quando lo scomparso riappare) o addirittura per la violazione di requisiti di forma, ritenuti essenziali: è nulla la compravendita immobiliare fatta con accordo verbale, come è nulla la costituzione di una società per semplice atto scritto e non per atto pubblico [3].
Nel caso della corruzione le cose stanno molto diversamente. L’illiceità e la nullità del contratto non hanno rilievo. Un problema di inesigibilità della prestazione dell’una o dell’altra parte non esiste, perché in realtà non esistono né illiceità né nullità del contratto, l’una e l’altra confinate in un ambito di mero diritto civile. Le parti si collocano al di fuori di questo tipo di diritto. Il contratto deve essere eseguito, proprio perché illecito. Con la stessa logica deve essere eseguito il contratto con il picchiatore o con il killer.
Come ognun vede, questo ha un unico significato. Poiché l’inadempimento è sempre possibile, la sua disciplina si colloca ad un livello completamente diverso da quello del diritto civile, in un vero e proprio altro “ordinamento”, del tutto estraneo al primo: ed in verità non solo estraneo, ma in qualche improprio modo anche sovraordinato, nel senso che è in grado di imporsi a quello civile, senza che quest’ultimo riesca neppure a sapere formalmente, ufficialmente, di avere un nemico occulto e di doversi quindi misurare con esso.
Di questo “ordinamento” non si sa praticamente nulla. Certo si sono lette notizie di tanti processi di corruzione, dai quali sono emersi nomi e intrecci – tutti venuti alla luce quando erano ormai senza vita. Certo si sa che tutto si svolge nell’ombra, senza che mai si colga un segno se non tra gli affiliati. Della vita vera si conoscono solo rarissimi casi di persone uscite improvvisamente di scena, senza neppur essere state uccise, accompagnate da voci di “inadempimenti” (o di abusi di potere): espulse insomma dal sistema, e abbandonate impotenti all’ordinamento civile.
5. Su alcuni punti si può però richiamare l’attenzione. È certo anzitutto che il risultato perseguito con la corruzione non può mai essere raggiunto in maniera palese. Deve essere l’effetto indiretto di comportamenti perfettamente legittimi o, se si vuole, pienamente giustificabili sul piano della legittimità. Lo scopo vero e quindi l’illiceità non devono mai emergere. L’area in cui la corruzione può più efficacemente operare tende dunque a collocarsi all’infuori di qualunque ambito in cui si debbano fare valutazioni discrezionali. La ragione è chiara. È vero che da un punto di vista rigorosamente processuale le scelte discrezionali della pubblica amministrazione – e quindi delle persone che la concretizzano – sono insindacabili da parte del giudice amministrativo. Esse sono però non solo evidenti, attribuibili a singole persone fisiche; ma questa loro insindacabilità le sottrae al controllo del solo giudice amministrativo, non certo a quello del giudice penale e prima, ed a maggior ragione, della pubblica opinione.
In altri termini ed ovviamente in linea di massima, le fasi più strettamente documentali dei procedimenti amministrativi sono l’area di elezione per interventi mirati a favorire qualcuno, perché le valutazioni dei documenti sono sempre giustificabili sul piano della legalità. Quando l’esercizio della discrezionalità è inevitabile, essa deve essere mascherata attraverso l’uso di regole formali, capaci di rendere asettico qualunque giudizio – e di garantire il risultato.
L’esperienza delle gare per l’affidamento di appalti pubblici dà una forte prova indiziaria in tal senso. Il codice dei contratti pubblici e tutte le fonti subordinate che disciplinano la competizione per ottenere l’affidamento di un appalto – bandi, capitolati, disciplinari di gara – contengono molte norme che prescrivono il possesso di certificazioni e requisiti, a pena di esclusione. Così, per ogni gara deve essere presentata una mole sterminata di documenti, accompagnata dalla sanzione dell’esclusione se qualcuno di essi manchi: non sono infrequenti esclusioni fondate su puri formalismi o su interpretazioni della legge o dei bandi che destano profondo stupore. Spesso occorre poi giustificare l’anomalia dell’offerta vincente, in quanto si colloca al di sotto di una certa soglia: si vedono giustificazioni accolte o respinte, in termini incomprensibili. Ovviamente nessuno ha la prova di alcunché. Le perplessità però rimangono.
Certo è infatti che in questo quadro un’opera di pura applicazione di norme, esteriormente neutra ed insindacabile nella sua vera sostanza, nel vero fine cui mira, può consentire di escludere concorrenti “pericolosi” ovvero di favorire gli “amici”.
Note
3. La giurisprudenza estende il principio anche al preliminare di costituzione di una società.↑