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Umanesimo giuridico e coscienza del proprio destino: Whitman, Emerson, Roth cantori della libertà occidentale

di - 9 Marzo 2021
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Emerson anche lui autore di una religione civile.
Waldo, non conformista, individualista, come diceva, assente per capriccio, quasi, in fondo, come te Walt, da tutto dissidente e con tutto consonante.
Credente ma a modo suo, innanzi tutto in sé poi nella natura, pensatore solitario in un’epoca di protagonismo delle moltitudini.
Tutta la sua opera dice una sola cosa: “Credi! Abbi fiducia in te! Non conformarti a nessuno e non tenere in alcun conto l’opinione degli uomini!”
Ancora una volta l’individualismo americano, estratto da una radice tutta religiosa e politica, per l’uso di un popolo agli esordi, incolto e coraggioso, plasmabile alla libertà ed alla democrazia.
Aspiravi Waldo all’isolamento, soprattutto morale, pensavi che la società indebolisse l’uomo, concepivi l’estensione della libertà fino alla professione dell’incoerenza, non vedevi il carattere come imitazione ( alla René Girard per intenderci ) ma come forza originaria, come istinto sconfinato, come spirito di conquista.
Il tuo uomo ideale era democratico sì ma indipendente e non accettavi una democrazia che reprimesse l’individuo, che non garantisse i diritti inviolabili dell’uomo.
L’aspirazione tua massima era il vivere spontaneo, il diritto alla felicità della Costituzione americana, inteso come diritto a perseguire liberamente il proprio progetto di vita.
Adoravi i bambini ed i Greci, questi saggi bambini, iniziatori della storia dello spirito umano con il loro senso della meraviglia di fronte al mondo.
Propugnavi il pensiero più che il raziocinio, ti affidavi alla spontaneità dell’intuizione che alla profondità, talvolta pedante, dello studio.
Fosti capace di parole chiare, luminose, leggiamone alcune:
“La morale è il dirigere la volontà verso fini universali. Immorale è chi agisce mirando a qualche fine personale… il sentimento del Giusto e dell’Ingiusto è uguale in tutti.. Questo sentimento è la mente della mente. Siamo noi ad appartenere ad esso e non esso a noi… Questo sentimento non ammette nessun appello, non guarda a nessuna essenza superiore. Esso stesso è la ragione delle cose… La disciplina morale della vita si fonda sul perpetuo conflitto fra i dettami di questa mente universale e i desideri e gli interessi dell’ io individuale… ”.
Ci hai fatto capire che è il sentimento morale che ci situa al nostro posto.
Verità, Potere, Bontà, Bellezza sono solo i vari nomi di questo sentimento morale nel quale siamo immersi.
Ogni vero maestro – per te – non scrive, ma ci parla direttamente, ci dice di conservare questa cosa che è la vita interiore come la radice di ogni etica. Il senso di ciò che è umano nell’uomo.
Sapevi che di tanto in tanto nella storia umana compare un’anima che non ha alcuna debolezza dell’Io.
Un uomo nobile scrivesti “fa sembrare piccola un’intera Nazione di gentucola…”. Ed accade ancora; ancora ora in molti luoghi – come già notavi – risuona l’insegnamento di Lucifero: “Sulla terra non vi è un uomo integro”. ( Giobbe 2.3) ed a fronte di ciò – di questo facile cinismo – la comparsa di un uomo nobile che si interroga liberamente su ciò che è giusto lascia il segno fra le genti.
Sapevi che ogni adattamento di un messaggio morale o religioso in un dogma, un rituale, per presentarlo a menti grossolane e modeste, corrompe il sentimento morale spontaneo che è in ogni uomo.
Scrivesti, per sentirne il fuoco, e con ragione, che ”i Vangeli sono fra le scritture più aggressive che esistano.” Volevi rinnovare la forza della fede , quella originaria che aveva scardinato la crudeltà degli antichi, avvertendone la crisi nel mondo a te contemporaneo, determinata da troppo facili agiatezze.
Ma scrivesti anche che Voltaire era un apostolo di idee cristiane e dicevi in certa misura il vero, lo giudicavi secondo l’intenzione e soprattutto vedevi nei suoi avversari coloro che spesso “mal rappresentavano il nome di Cristo”.
Nel tuo robusto pensiero cristianesimo ed illuminismo non erano dissociati.
Così come vita religiosa e vita civile.
Notasti che l’indebolimento del sentimento morale finisce con il far declinare i regimi politici.
Ma questa fiducia in ciò che è nobile e buono nell’uomo radicava il tuo sogno libertario; scrivesti “l’uomo buono non ha bisogno di un governo”, il comando per te era eccezionale e denotava una frattura nell’ordine razionale delle cose.
Tanto più si è ragionevoli tanto meno si ha bisogno di un governo, tanto meno si ha bisogno di un governo tanto più si è liberi di essere se stessi in conformità al sentimento morale.
Forse basterebbe questo semplice credo per fondare una riforma della Giustizia che renda il giudizio di un terzo (ed il tu devi) un fatto eccezionale e non un fatto ordinario a cui ricorrere d’abitudine.
La numerosità dei conflitti sociali e giudiziari l’avresti vista come segno di debole sentimento morale.
L’uomo ti sembrava dotato di risorse e di forza come individuo, da affermare nella società trasformandola prima di esserne trasformato. Così nasceva il mito del self made man.
Società e solitudine sono stati i poli fra i quali ti sei mosso.
Credevi ed auspicavi un equilibrio tra istanze sociali democratiche ed una classicheggiante fiducia in se stessi, spalancando l’individualità all’alterità amicale, ma, insieme, ammonendo circa i pericoli dell’eccessiva dispersione relazionale in forme comunitarie e associative.
“La società – hai scritto – ovunque cospira contro la maturazione dei suoi membri.”
Di qui la posizione dell’uomo con un sentimento morale, quale eterno potenziale dissidente.

I versi sono stati la tua compagnia nella solitudine.
Versi appresi dai ragazzi che amavano il vento , dai poeti romantici inglesi , amici della tua giovinezza.
Ed in fondo il verso ti era familiare come quando scrivesti non senza malinconia:

I tuoi occhi brillavano ancora per me,
anche se vagavo solitario per terra e mare;
come quella lontana stella che vedo,
ma che non vede me.

Stamattina sono salito sulla collina nebbiosa,
ed ho percorso tutti i pascoli,
come brillava la tua forma lungo la mia strada
fra la rugiada dagli occhi profondi!

Quando l’uccello rosso spiegò le scure ali,
e mostrò il suo fianco acceso:
quando il bocciolo maturò in una rosa,
in entrambi io lessi il tuo nome.

Caro Walt, caro Waldo, rievocarvi questa sera mi ha fatto bene.
Mi ha riportato alla mia giovinezza.
Ma so anche che l’uomo che avete descritto, questo uomo integro, fiducioso, autorealizzato, libero, è stato forse un illusione, ormai tramontata.

In tempi più recenti Malamud, Bellow e poi Singer e Roth mi hanno reso familiare un’altra visuale dell’America e quindi di me stesso come borghese educato nel mito della modernità.
L’animale morente ( storia di un uomo indeciso, terrorizzato dall’invecchiamento, ossessionato dalla decadenza fisica e dal desiderio sessuale ) e La macchia umana ( storia della persecuzione di un vecchio professore per ragioni di political correctness che racconta un’ America fatta di perbenismo, ipocrisia, violenza e solitudine, ) segnano la fine del mito qui evocato, la fine del soggetto moderno, del protagonista principale della società borghese.
Una fine ingloriosa, tragica, grandiosa nella sua miseria.
A questi titoli occorre affiancare il Teatro di Sabbath ( definito da Harold Bloom un capolavoro ), storia sublime di un impostore, dai toni falstaffiani.
Con questi romanzi la post-modernità ha trovato il suo cantore.
Era l’America che declinava e trovava in Roth chi la descriveva amandola ma non venendone poi in fondo riamato.
La post-modernità non esce dal moderno , ne descrive solo la crisi.
Canta un mondo che si sta perdendo ma non è ancora perduto.
Una crisi appunto non un declino.

Oggi ormai l’Occidente declina.
Forse come dice Aldo Schiavone – le cui lezioni seguivo da giovane studente con qualche profitto e che leggo sempre con la gratitudine dell’allievo rispetto ad un Maestro – occorrerà soltanto in futuro sottrarre la forma dell’umano al dispositivo dell’individuale ( collegato con mille fini al cristianesimo ed all’hegelismo ).
Forse la sovranità della persona umana – come l’abbiamo vissuta nel secolo americano – sarà ridiscussa nell’età dell’ Antropocene.
Forse prevarranno modelli collettivi.
Orientali, si ipotizza.
Forse anche l’ambientalismo o le pandemie faranno la loro parte per determinare questa transizione.
Mi piacerebbe che un’eco della storia che abbiamo vissuta non andasse dispersa, come accadrà se manterremo il nesso fra l’uso della tecnica ed il cammino della liberazione umana.
Levinas può farci da guida, egli ha pensato più di altri che la crisi dell’umanità risiede nel pensare la libertà umana come mera autoreferenzialità.
Egli ha indicato una concezione della libertà come responsabilità che coincide con l’apparizione dell’Altro e del linguaggio, oltre la solitudine, senza l’oppressione sociale, scoprendo la gioia al fondo del dolore, nella carezza della relazione interpersonale.
Mi illudo questa sera che si possa intravedere una via.

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