Umanesimo giuridico e coscienza del proprio destino: Whitman, Emerson, Roth cantori della libertà occidentale

Vorrei parlare con le tue parole Walt, con le tue parole Waldo, con le tue parole Philip.
Vorrei riuscire a dire quanto vi sono grato per avermi fatto vivere come ho vissuto.
Per avermi regalato il senso della libertà, della libertà occidentale, della libertà che Karl Marx voleva borghese e che invece sempre ho pensato fosse solo libertà umana.
Nessuna Costituzione occidentale sarebbe stata possibile senza di voi.
Voi siete stati i cantori dell’uomo, della sua affermazione e della sua dissoluzione.
Della sua capacità di espressione.
Spesso – nei giorni che stiamo vivendo – penso – come il grande Jean d’Ormesson accademico di Francia, uomo amabile, scrittore impareggiabile – alla storia che ho vissuto e sento che è la storia invidiabile del costituzionalismo e del liberalismo democratico, dello Stato di diritto costituzionale, legata alla vita in Occidente nella sua età dell’oro.
Penso anche ai maestri che ho incontrato, ai viaggi che ho potuto fare, alle terre che ho amato, all’Italia certo ma anche alla Gran Bretagna, alla Francia, alla Grecia, alla Svezia ed agli Stati Uniti.
Ai luoghi di una pace duratura iniziata con il sacrificio di tanti giovani (che forse vi avevano letto) sulle spiagge di Omaha Beach.
Penso ai fatti fondativi del costituzionalismo di seconda generazione, alla Shoah, alla Resistenza contro il nazi-fascismo, alla liberazione dell’Europa da parte degli americani.
E poi, al di là del diritto, al cinema neorealista, a Napoli nei giorni difficili della miseria postbellica e della occupazione americana, agli ascendenti , alla storia complessa di una famiglia dopo l’8 settembre, per linea paterna composta da un generale a Brindisi con la Corte in fuga e per linea materna in prigionia in Germania ( dopo avere retto da ufficiale volontario l’avventura sventurata della guerra in Grecia ed Albania ) e allo zio morto partigiano sulle colline liguri a nemmeno 20 anni, da Bari alla Bocconi , prima di farsi uomo d’armi schierandosi dalla parte giusta.
Non c’è storia familiare in Italia ( con la sua complessità ) che non sia tributaria della storia americana del secondo Novecento.
Non ci sarebbe stata la Costituzione del 1948 e nemmeno la sua attuazione nella costituzione materiale mortatiana senza il vostro pensiero Walt, Waldo.
Non avremmo capito le ragioni del nostro declino senza te Philip.
Perché è con voi che l’uomo occidentale prende coraggio, si afferma, vive l’acme della sua esperienza. Vive della libertà che tutto include.
E poi decade.

Le tue parole Walt : “Mi contraddico, sì mi contraddico, sono vasto, contengo moltitudini.”
L’Io e le masse, abbracciate con un solo sguardo, la libertà dell’uno e quella dei molti, la cultura e la natura, l’energia trasformatrice del lavoro dell’uomo ed il senso estatico- estetico della visione della natura.
Di questo era materiato il nostro mondo prima che decadesse.
Ed è decaduto per l’esaurirsi – nella realtà e nella storia – di una spinta che ancora nella letteratura americana è stata colta da un autore per tutti , Philip Roth, lo scrittore che ha descritto questa riduzione della vita ad animalità, questa complessità crescente della contemporaneità che non riesce più ad essere inclusiva ( ed è stata la storia del declino delle democrazie occidentali e delle costituzioni di seconda generazione visibile nei populismi insorgenti e nella loro alternanza con le tecnocrazie, due facce di una stessa patologia: la morte del soggetto moderno ).

Ma c’è una storia prima della decadenza.
La risento nei tuoi versi Walt , quando scrivevi e potevi farlo : “Tutto avanza e s’espande, nulla si distrugge.
E morire è un evento diverso dal previsto, e più fausto.”
Un umanesimo integrale, altissimo, rappresentato nel Canto di me stesso : “Io credo in te anima mia, al tuo cospetto umiliarsi non deve l’altro che io sono. Né al cospetto degli altri umiliarti tu devi.”
Una forza primigenia della soggettività moderna, liberata da ogni vincolo gerarchico , autoritario, da ogni potere che non sia quello della poesia, da ogni cautela che non sia quella dell’accostamento dei corpi amorosi.
La fusione di anima e corpo è totale e l’erotismo va a braccetto con il misticismo in questa rivelazione della prima radice.
E dopo aver evocato una congiunzione carnale come simbolo di un atto poetico subito il pensiero si chiarisce:
“Rapide intorno a me s‘ersero, ad ali spiegate, la pace e la conoscenza che sopravanzano ogni umano ragionare. E io so che la mano di Dio è la promessa della mia.”
Era possibile dire questo.
E continuare dicendo:
“Qualcun credeva che il nascere fosse evento fausto ? Mi affretto a informare costui o costei che è altrettanto fausto morire ed io lo so per certo.”
Tale era il tuo vivere con gioia.
E con il tuo sguardo tutto abbracciavi dall’alto : “Io valico la morte col morente e la nascita col bimbo appena lavato , e non esisto solo in ciò che sta fra il mio cappello e gli stivali ( quanto è vero e come ti dovremmo ascoltare ancora evitando di esaurire la nostra vita in ciò che sta fra il nostro cappello e gli stivali ) / esamino oggetti molteplici, nessuno uguale all’altro e tutti buoni/ Buona la terra e buone le stelle , e tutte buone le loro appendici.”
Ed i lunghi elenchi che seguono la fatica del lavoro umano o nominano la vita degli ignoti, falegnami, cantanti, piloti, cacciatori, diaconi, filatrici, contadini, tipografi, macchinisti, tutti a evocare la tecnica, ma una tecnica ancora umana, non sovrastante, liberatrice.
Speranza per immigrati, schiavi, giovani, pellerosse, yankees, pazzi e fumatori di oppio.
Il tuo canto è anche un’epopea del lavoro umano.
L’uomo era padrone del proprio destino ed assumeva tutto in se stesso.
L’uomo credeva nel progresso.
E così potevi dire : “ Io sono dei vecchi e dei giovani, degli stolti come dei savi, irriguardoso degli altri e sempre degli altri riguardoso, materno ed insieme paterno, bimbo e uomo, ricolmo della sostanza che è grezza e ricolmo della sostanza che è fine…. Compagno di chiunque ti stringa la mano e ti inviti a mangiare e bere… resisto a tutto fuorché alla mia diversità, respiro l’aria ma ne lascio in abbondanza agli altri, e non mi monto la testa e sono al mio posto.”
In equilibrio su un filo come il soggetto moderno, come l’uomo libero democratico, come quello che ha sentito di essere a posto nel mondo.
Un uomo che ha potuto amare tutto con uno sguardo ampio :
“Vi hanno detto che vincere era bello? Io dico anche che è bello soccombere, le battaglie si vincono e si perdono con lo stesso spirito… per i morti batto e ribatto il mio tamburo… Viva quelli che hanno fallito! … Questo è il pasto apparecchiato, uguale per tutti, questa la carne per la fame naturale… non permetterò che anche una sola persona sia trascurata o esclusa.”
E domandavi :
“Cos’è un uomo infine? Cosa sono io ? Cosa siete voi ?… So di essere immune da morte… Esisto così come sono e tanto basta. Se nessun altro al mondo se ne rende conto mi sta bene. E se tutti quanti se ne rendono conto mi sta bene. C’è un mondo che se ne rende conto per me di gran lunga il più vasto e cioè me stesso…. Intono l’inno dell’espansione e dell’orgoglio…il mio passo non è il passo di chi tutto critica e rifiuta . Io bagno le radici di tutto ciò che è cresciuto… e la mia è la parola del Moderno la parola En-Masse.”
Ma la tua mistica era materialistica ( e questo era fonte di dissoluzione e tu hai scritto “Io rido di quel che chiamate dissoluzione” ).

Il materialismo lo hai rivendicato ( anche più dello spiritualismo mai abbandonato da Te poeta del Corpo e dell’Anima ) : “Io accetto la Realtà e non mi permetto di discuterla. Il materialismo da cima a fondo assorbendo. Urrà per la scienza positiva! Lunga vita alla dimostrazione esatta! ”
Questa era la forza del soggetto che tu fondasti Walt, questo il dono della tua poesia di cantore della modernità.
Ora lo capiamo tutti meglio, ora che un ciclo si sta chiudendo, ora che forse sta apparendo il mondo che cancellerà persino la post-modernità proiettandoci altrove nell’inquietante e affascinante Antropocene.
Forzo – in questo momento, di sera, seduto al mio scrittoio – il giuoco delle cause e degli effetti ed affermo però che senza il tuo Canto non avremmo avuto la nostra Costituzione, la nostra Europa, la nostra pace.

A te Walt , Bardo dell’Uomo moderno, voglio affiancare Waldo, filosofo e poeta.
Per libera scelta, per amore di lettore e perché molto Emerson lesse Mazzini.
Egli fu infatti anche un uomo d’azione, un politico un sociologo ed un fervido sostenitore dell’abolizione della schiavitù.

Emerson anche lui autore di una religione civile.
Waldo, non conformista, individualista, come diceva, assente per capriccio, quasi, in fondo, come te Walt, da tutto dissidente e con tutto consonante.
Credente ma a modo suo, innanzi tutto in sé poi nella natura, pensatore solitario in un’epoca di protagonismo delle moltitudini.
Tutta la sua opera dice una sola cosa: “Credi! Abbi fiducia in te! Non conformarti a nessuno e non tenere in alcun conto l’opinione degli uomini!”
Ancora una volta l’individualismo americano, estratto da una radice tutta religiosa e politica, per l’uso di un popolo agli esordi, incolto e coraggioso, plasmabile alla libertà ed alla democrazia.
Aspiravi Waldo all’isolamento, soprattutto morale, pensavi che la società indebolisse l’uomo, concepivi l’estensione della libertà fino alla professione dell’incoerenza, non vedevi il carattere come imitazione ( alla René Girard per intenderci ) ma come forza originaria, come istinto sconfinato, come spirito di conquista.
Il tuo uomo ideale era democratico sì ma indipendente e non accettavi una democrazia che reprimesse l’individuo, che non garantisse i diritti inviolabili dell’uomo.
L’aspirazione tua massima era il vivere spontaneo, il diritto alla felicità della Costituzione americana, inteso come diritto a perseguire liberamente il proprio progetto di vita.
Adoravi i bambini ed i Greci, questi saggi bambini, iniziatori della storia dello spirito umano con il loro senso della meraviglia di fronte al mondo.
Propugnavi il pensiero più che il raziocinio, ti affidavi alla spontaneità dell’intuizione che alla profondità, talvolta pedante, dello studio.
Fosti capace di parole chiare, luminose, leggiamone alcune:
“La morale è il dirigere la volontà verso fini universali. Immorale è chi agisce mirando a qualche fine personale… il sentimento del Giusto e dell’Ingiusto è uguale in tutti.. Questo sentimento è la mente della mente. Siamo noi ad appartenere ad esso e non esso a noi… Questo sentimento non ammette nessun appello, non guarda a nessuna essenza superiore. Esso stesso è la ragione delle cose… La disciplina morale della vita si fonda sul perpetuo conflitto fra i dettami di questa mente universale e i desideri e gli interessi dell’ io individuale… ”.
Ci hai fatto capire che è il sentimento morale che ci situa al nostro posto.
Verità, Potere, Bontà, Bellezza sono solo i vari nomi di questo sentimento morale nel quale siamo immersi.
Ogni vero maestro – per te – non scrive, ma ci parla direttamente, ci dice di conservare questa cosa che è la vita interiore come la radice di ogni etica. Il senso di ciò che è umano nell’uomo.
Sapevi che di tanto in tanto nella storia umana compare un’anima che non ha alcuna debolezza dell’Io.
Un uomo nobile scrivesti “fa sembrare piccola un’intera Nazione di gentucola…”. Ed accade ancora; ancora ora in molti luoghi – come già notavi – risuona l’insegnamento di Lucifero: “Sulla terra non vi è un uomo integro”. ( Giobbe 2.3) ed a fronte di ciò – di questo facile cinismo – la comparsa di un uomo nobile che si interroga liberamente su ciò che è giusto lascia il segno fra le genti.
Sapevi che ogni adattamento di un messaggio morale o religioso in un dogma, un rituale, per presentarlo a menti grossolane e modeste, corrompe il sentimento morale spontaneo che è in ogni uomo.
Scrivesti, per sentirne il fuoco, e con ragione, che ”i Vangeli sono fra le scritture più aggressive che esistano.” Volevi rinnovare la forza della fede , quella originaria che aveva scardinato la crudeltà degli antichi, avvertendone la crisi nel mondo a te contemporaneo, determinata da troppo facili agiatezze.
Ma scrivesti anche che Voltaire era un apostolo di idee cristiane e dicevi in certa misura il vero, lo giudicavi secondo l’intenzione e soprattutto vedevi nei suoi avversari coloro che spesso “mal rappresentavano il nome di Cristo”.
Nel tuo robusto pensiero cristianesimo ed illuminismo non erano dissociati.
Così come vita religiosa e vita civile.
Notasti che l’indebolimento del sentimento morale finisce con il far declinare i regimi politici.
Ma questa fiducia in ciò che è nobile e buono nell’uomo radicava il tuo sogno libertario; scrivesti “l’uomo buono non ha bisogno di un governo”, il comando per te era eccezionale e denotava una frattura nell’ordine razionale delle cose.
Tanto più si è ragionevoli tanto meno si ha bisogno di un governo, tanto meno si ha bisogno di un governo tanto più si è liberi di essere se stessi in conformità al sentimento morale.
Forse basterebbe questo semplice credo per fondare una riforma della Giustizia che renda il giudizio di un terzo (ed il tu devi) un fatto eccezionale e non un fatto ordinario a cui ricorrere d’abitudine.
La numerosità dei conflitti sociali e giudiziari l’avresti vista come segno di debole sentimento morale.
L’uomo ti sembrava dotato di risorse e di forza come individuo, da affermare nella società trasformandola prima di esserne trasformato. Così nasceva il mito del self made man.
Società e solitudine sono stati i poli fra i quali ti sei mosso.
Credevi ed auspicavi un equilibrio tra istanze sociali democratiche ed una classicheggiante fiducia in se stessi, spalancando l’individualità all’alterità amicale, ma, insieme, ammonendo circa i pericoli dell’eccessiva dispersione relazionale in forme comunitarie e associative.
“La società – hai scritto – ovunque cospira contro la maturazione dei suoi membri.”
Di qui la posizione dell’uomo con un sentimento morale, quale eterno potenziale dissidente.

I versi sono stati la tua compagnia nella solitudine.
Versi appresi dai ragazzi che amavano il vento , dai poeti romantici inglesi , amici della tua giovinezza.
Ed in fondo il verso ti era familiare come quando scrivesti non senza malinconia:

I tuoi occhi brillavano ancora per me,
anche se vagavo solitario per terra e mare;
come quella lontana stella che vedo,
ma che non vede me.

Stamattina sono salito sulla collina nebbiosa,
ed ho percorso tutti i pascoli,
come brillava la tua forma lungo la mia strada
fra la rugiada dagli occhi profondi!

Quando l’uccello rosso spiegò le scure ali,
e mostrò il suo fianco acceso:
quando il bocciolo maturò in una rosa,
in entrambi io lessi il tuo nome.

Caro Walt, caro Waldo, rievocarvi questa sera mi ha fatto bene.
Mi ha riportato alla mia giovinezza.
Ma so anche che l’uomo che avete descritto, questo uomo integro, fiducioso, autorealizzato, libero, è stato forse un illusione, ormai tramontata.

In tempi più recenti Malamud, Bellow e poi Singer e Roth mi hanno reso familiare un’altra visuale dell’America e quindi di me stesso come borghese educato nel mito della modernità.
L’animale morente ( storia di un uomo indeciso, terrorizzato dall’invecchiamento, ossessionato dalla decadenza fisica e dal desiderio sessuale ) e La macchia umana ( storia della persecuzione di un vecchio professore per ragioni di political correctness che racconta un’ America fatta di perbenismo, ipocrisia, violenza e solitudine, ) segnano la fine del mito qui evocato, la fine del soggetto moderno, del protagonista principale della società borghese.
Una fine ingloriosa, tragica, grandiosa nella sua miseria.
A questi titoli occorre affiancare il Teatro di Sabbath ( definito da Harold Bloom un capolavoro ), storia sublime di un impostore, dai toni falstaffiani.
Con questi romanzi la post-modernità ha trovato il suo cantore.
Era l’America che declinava e trovava in Roth chi la descriveva amandola ma non venendone poi in fondo riamato.
La post-modernità non esce dal moderno , ne descrive solo la crisi.
Canta un mondo che si sta perdendo ma non è ancora perduto.
Una crisi appunto non un declino.

Oggi ormai l’Occidente declina.
Forse come dice Aldo Schiavone – le cui lezioni seguivo da giovane studente con qualche profitto e che leggo sempre con la gratitudine dell’allievo rispetto ad un Maestro – occorrerà soltanto in futuro sottrarre la forma dell’umano al dispositivo dell’individuale ( collegato con mille fini al cristianesimo ed all’hegelismo ).
Forse la sovranità della persona umana – come l’abbiamo vissuta nel secolo americano – sarà ridiscussa nell’età dell’ Antropocene.
Forse prevarranno modelli collettivi.
Orientali, si ipotizza.
Forse anche l’ambientalismo o le pandemie faranno la loro parte per determinare questa transizione.
Mi piacerebbe che un’eco della storia che abbiamo vissuta non andasse dispersa, come accadrà se manterremo il nesso fra l’uso della tecnica ed il cammino della liberazione umana.
Levinas può farci da guida, egli ha pensato più di altri che la crisi dell’umanità risiede nel pensare la libertà umana come mera autoreferenzialità.
Egli ha indicato una concezione della libertà come responsabilità che coincide con l’apparizione dell’Altro e del linguaggio, oltre la solitudine, senza l’oppressione sociale, scoprendo la gioia al fondo del dolore, nella carezza della relazione interpersonale.
Mi illudo questa sera che si possa intravedere una via.