Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

Politica monetaria e di bilancio: una complementarità de facto nell’adesione all’Euro

di - 21 Gennaio 2020
      Stampa Stampa      

Contro l’inflazione le restrizioni creditizie e gli annunci della Banca d’Italia si unirono all’accordo Ciampi-Trentin del 1993, che moderò la dinamica salariale verso il 3% l’anno. Contro l’inflazione nessun apporto provenne dalla politica di bilancio, che mantenne l’indebitamento netto al disopra del 9% del Pil dal 1992 al 1994, per ridurlo solo all’8% nel 1995.
Quella politica monetaria antinflazionistica fu un successo.
Su base mensile i prezzi rallentarono nella misura desiderata. Calcolato a distanza di dodici mesi dal 6% del novembre del 1995 il tasso d’inflazione scese senza soluzione di continuità fino ad attestarsi al disotto del 2% nel 1998. Dall’estate del 1997 il fondamentale criterio della stabilità comparata dei prezzi per l’adesione all’Euro veniva rispettato.
Del pari veniva rispettato il criterio della stabilità del cambio, con la lira lievemente apprezzata dopo il rientro nello SME del novembre 1996 a 990 lire per marco tedesco: apprezzata, perché sostenuta dagli alti tassi d’interesse a breve termine.
Nel 1997 il Pil venne stimato in moderata accelerazione (+1,5%) rispetto all’anno precedente (+0,7%). La disoccupazione, seppure alta (11%), non aumentò. La bilancia dei pagamenti di parte corrente chiuse con un avanzo di quasi 40 miliardi di dollari.
Più complessa questione fu quella del rispetto del terzo criterio monetario: i rendimenti dei titoli pubblici decennali non oltre i 200 punti base rispetto a quelli medi dei tre paesi candidati all’euro con l’inflazione più bassa.
La Banca d’Italia – quella Banca d’Italia, quantomeno – moveva dal convincimento, di teoria e d’esperienza, che il tasso a lunga è fenomeno d’aspettative (Keynes) più che di produttività e parsimonia (Fisher): alti tassi a breve abbattono i tassi a lunga, se piegano le attese d’inflazione e l’incertezza (Keynes, General Theory, Ch. 15, segnatamente pp. 202-203). Il tasso interbancario a tre mesi dal picco del 10,7% a dicembre 1995 veniva fatto diminuire solo gradualmente, con estrema prudenza mantenuto dalla Banca d’Italia su livelli di guardia. Ancora a fine 1998, alla vigilia dell’avvio dell’euro, col 6% eccedeva il 4% tedesco. A differenza anche di quella dei tassi sui Bot, la discesa dei tassi a lunga sui Btp fu invece molto più rapida: dal 13,5% dei primi mesi del 1995 toccarono il 4,2% nel dicembre 1998, pochi punti base al disopra del rendimento dei Bund. Sebbene il debito pubblico fosse ancora al 118% del Pil, dall’inizio del 1997 anche questo criterio di convergenza venne rispettato.
L’idea keynesiana che ad alti tassi a breve corrispondessero più bassi tassi a lunga non riscosse l’apprezzamento del Tesoro e del Governo, da cui era molto sentita l’urgenza di un servizio del debito pubblico meno costoso. La Banca d’Italia non mutò la linea antinflazionistica che le spettava di fronte alle rimostranze di Via XX Settembre. Secondo la Banca il lassismo monetario avrebbe avuto l’effetto contrario, di rialzo dei tassi a lunga. Vi furono discussioni, anche aspre. Personalmente, ricordo una cena con i Ciampi in casa di amici comuni a Santa Severa: il mio onesto tentativo di opporre…Keynes all’onere immediato del debito pubblico si scontrò con il forte dissenso del dottor Ciampi, oltre che con la manifesta irritazione della signora Franca!
Aderimmo all’Euro, davvero in extremis.
Visco alle Finanze e Fazio alla Banca d’Italia si assunsero le responsabilità ed ebbero il merito operativo nel realizzare quella che può dirsi complementarità de facto fra politica monetaria e politica di bilancio. Al Governo Prodi si deve la volontà di portare il Paese nella moneta unica sin dall’avvio.
Di quella volontà Carlo Ciampi fu la bandiera, politica e morale.
Sull’economia Ciampi era certo che i tassi di cambio irrevocabilmente fissati nell’euro avrebbero dato ai paesi membri prezzi stabili, costo del danaro contenuto, più intenso movimento di merci, persone, capitali. Confidava che le regole europee e la coordinazione delle politiche nazionali avrebbero assicurato una dinamica della domanda globale in linea con l’espansione del potenziale produttivo. Sperava che, sollecitati da Bruxelles, i governi italiani avrebbero allora anch’essi attuato politiche coerenti con una crescita nella stabilità. Da tutto ciò i produttori italiani avrebbero potuto trarre grande beneficio, a propria volta apportando alla crescita capitale e produttività.
Nell’Euroarea il primo obiettivo si è ampiamente realizzato: nel ventennio dell’euro – ottima moneta, anche internazionalmente domandata – l’inflazione è scomparsa, i tassi d’interesse nominali si sono situati su minimi storici, l’integrazione economica si è fatta più stretta.
Ma l’azione fiscale e monetaria anticiclica nelle recessioni del 2009 e del 2012-2013 è stata insufficiente e nel 2007-2019 la dinamica di trend della domanda interna europea è stata fiacca (0,8% l’anno in media). La domanda ha alimentato nell’area un incremento del Pil appena superiore all’1%, con conseguente rallentamento dello stesso prodotto potenziale. La politica monetaria è stata tardiva e discontinua: si è avviata solo settimane dopo il fallimento Lehman, mentre il bilancio dell’Eurosistema si è ristretto di un terzo fra l’estate del 2012 e l’estate del 2014. Comunque, il quantitative easing non poteva surrogare una politica di bilancio europea attenta ai conti al punto da tagliare gli investimenti pubblici ad alto moltiplicatore.
I governi italiani, nell’insieme, sono stati incapaci di risanare le finanze, rafforzare le infrastrutture, perequare la distribuzione dei redditi, riscrivere il diritto dell’economia, imporre la concorrenza ai produttori, agire per il Mezzogiorno, opporsi alla miopia neomercantilista della Germania.
Lo sconcerto di Ciampi, al Quirinale e in seguito, nasceva in particolare dall’inadeguata risposta delle imprese italiane nel quadro di luci e ombre appena richiamato. Ricordo la sua delusione, di fronte allo scemare dell’accumulazione del capitale e del progresso tecnico, fino al loro azzerarsi nel volgere degli anni Duemila.
Ma la sua fede europeista non venne meno. Oltre la moneta, oltre l’economia, Egli vedeva l’Unione d’Europa: il sogno di chi, giovanissimo, aveva dovuto combattere sul fronte albanese l’ennesimo conflitto fra i popoli europei, il più sanguinoso.

Pagine: 1 2


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy