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Giustizia poetica

di - 6 Febbraio 2018
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La lettura dei romanzi e delle poesie è sempre ingenua e non scettica, perché parte da un processo mimetico ingenuo, da una esperienza di immedesimazione che è la stessa che il giudice dovrà ripetere in un dibattimento.
Ogni giudizio è questa opera di immedesimazione ed estraneazione che concilia la singolarità e l’universalità.
Ecco perché gli algoritmi non potranno mai sostituirsi ai giudici (come è illusione coltivata dai meccanici sostenitori della rivoluzione informatica e delle magnifiche sorti e progressive della c.d. giustizia predittiva).
I tentativi di cercare metodi extrastorici di interpretazione dei testi (letterari e giuridici) sono ben presenti nella cultura occidentale (si pensi allo strutturalismo, alla linguistica, al razionalismo logico) ma essi sono basati sull’idea che la giustizia possa essere colta come idea al di fuori della storia.
Tali tentativi sono alla radice dei tentativi di formalizzazione estrema del linguaggio giuridico, formalizzazione che è utile e sarà in certo grado raggiunta ma che non potrà mai oscurare l’origine umanistica del sapere giuridico.
Marta Nussbaum ci ricorda che i giuristi usualmente hanno obiettivi più modesti del raggiungimento di una giustizia ideale ed operano nel solco di tradizioni[3].
È necessario non rinunciare ad un’idea di giustizia, ma la sua ricerca deve svolgersi in un contesto storicamente determinato e deve essere ancorata a casi concreti.
La ricerca della giustizia ideale induce scetticismo perché – come dice Benjamin Cardozo – “il cielo è sempre oltre” e la giustizia astratta così intesa è un paradiso destinato a sfuggirci, un cielo che, facilmente, si trasformerà in abisso.
Non reggono inoltre, per la Nussbaum, le assimilazioni del diritto alle scienze della natura e nemmeno alle scienze economiche, il proprio del diritto è insieme di essere una disciplina tanto umanistica quanto scientifica.
Il giudice letterato (ma non certo digiuno di nozioni scientifiche, ove rilevanti per la sua professione) è uno spettatore imparziale e neutrale delle vicende umane e non prende partito né religioso né politico.
Egli non è, tuttavia, privo di emozioni e prova empaticamente su di sé ogni sentimento che la concretezza delle vicende umane su cui è chiamato a giudicare gli suscita.
Egli è un giudice emotivo, ma capace di raffreddare le emozioni quando la materia (come in primo grado) è incandescente, o riviverle fra fredde carte (come nei gradi di impugnazione ) quando la materia è decantata ma lascia pur sempre trasparire le sofferenze umane che vi sono correlate.
Un giudice emotivo infatti non è un giudice travolto dall’emotività ma è un giudice che sa rivivere con la propria immaginazione la concretezza del caso sottopostogli senza rinunciare ad alcuno strumento di controllo razionale.
Ragione e sentimento tenuti insieme in una coscienza.
Il giudice –poeta per la Nussbaum in definitiva cerca la pienezza vitale dietro le carte, deve immaginare mondi, provare empatia prima di giudicare, ma deve anche coltivare la solitudine nella quale matura il giudizio, rispettare i vincoli dati, usare tutti gli strumenti di controllo razionale consentiti a sua disposizione.
Così saprà anche, all’occorrenza, tutelare l’emarginato, il diverso, il dissidente ove abbiano, come può accadere, il diritto dalla loro parte.
Così riconoscerà i diritti di un soggetto giustamente detenuto ma che abbia subito una lesione della propria dignità o saprà valutare l’offensività di una condotta tenuta da superiori aziendali contro una donna sofferente per ragioni familiari che l’azienda non abbia adeguatamente prevenuta né repressa[4].

Le istituzioni giudiziarie non devono essere mai “nudi organi di potere” (sempre la Nussbaum) e quindi esse devono rimanere impermeabili alle logiche politiche e non condizionati da esse, anche se devono seguire le vicende storico politiche per coglierne il senso e per valutarle con la necessaria profondità.
La capacità di riflettere sulla vita delle persone è parte essenziale del lavoro del giudice non è tutto, ovviamente, ma ne è parte indispensabile.
La giustizia poetica ha bisogno di molte risorse che non sono letterarie; ma per essere pienamente razionali i giudici devono essere anche umani.
Questo ci dice la Nussbaum che usa Whitman con le cui parole possiamo chiudere queste brevi considerazioni sperando di aver suscitato qualche curiosità nel lettore, in queste parole la giustizia poetica appare fondamento comunemente accettato della vita nazionale, fondamento da cui sorge una politica libera anche di superare se stessa:

“Mantenere uniti gli uomini in virtù di carte, sigilli, obblighi, a nulla serve, | solo sa mantenere uniti gli uomini ciò che aggrega ogni cosa in un vivo principio, come ciò che unisce le membra di un corpo, le fibre di una pianta. (9, p. 436)
 […] la prova di un poeta dovrà venire severamente differita finché il suo paese non l’abbia affezionatamente assorbito, così come lui ha assorbito il paese. (13, p. 441)
Io sono per quelli che non vennero mai sottomessi, | per uomini e donne il cui carattere non venne mai domo, | per quelli che leggi, teorie, convenzioni mai potranno domare.”

Note

3.  In Italia tutta l’opera di Paolo Grossi può essere letta come un richiamo a questa concezione concreta e storica della vita del diritto.

4.  Questi esempi sono nel testo della Nussbaum ove, fra l’altro, si esaminano casi americani dei giudici Stevens e Posner.

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