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Ambiente, etica e economia: l’enciclica “Laudato si’”

di - 16 Ottobre 2015
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Alla fine però il Papa riconosce un  ruolo determinante dell’etica anche nei confronti della tecnologia: “la tecnica separata dall’etica difficilmente sarà capace di autolimitare il proprio potere” (par. 136).
L’etica non può peraltro essere separata dalla cultura. Il Papa lo afferma quando sostiene la necessità di uno sforzo comune per superare un “relativismo pratico” e per costruire appunto un minimo di etica comune: “Non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare” (par. 123).
La realtà è che non si può prescindere dalla tecnologia per risolvere il problema dello sviluppo sostenibile. Lo sviluppo economico e tecnologico a partire dall’era industriale è stato reso possibile dall’utilizzo crescente dei combustibili fossili (carbone prima e poi petrolio e gas naturale). Ma questo modello di sviluppo economico e tecnologico basato sui combustibili fossili ha anche provocato gli enormi danni ambientali nei quali si concretizza la crisi ecologica.
Il messaggio che emerge anche dall’enciclica è dunque che bisogna cambiare il modello di sviluppo economico e tecnologico. Ma se questo richiede di superare il condizionamento ai combustibili fossili, comporta anche un nuovo paradigma tecnologico più decisamente orientato all’ambiente, come quello fondato sulle risorse energetiche rinnovabili e distribuite. Il progresso scientifico e tecnologico non va dunque rifiutato, va cambiato secondo diverse linee etiche, ispirate alla sostenibilità.
Crisi ecologica e istituzioni economiche: non c’è spazio per il mercato?
L’altro fattore determinante della crisi ecologica che emerge dall’enciclica è il ruolo distorto delle istituzioni economiche e in particolare del mercato.
Il Papa è molto critico sul ruolo del mercato e della logica del profitto nei confronti dell’ambiente; giustamente sottolinea i danni di un progresso tecnologico ispirato solo alla logica del profitto di mercato che ha puntato solo alla crescita economica senza riguardo all’ambiente, allo sviluppo umano e all’inclusione sociale (par. 109).
Citando una frase del Compendio sulla dottrina sociale della Chiesa scrive che «la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente».
E prosegue: “Conviene evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui. È realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni? All’interno dello schema della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di rigenerazione, e alla complessità degli ecosistemi che possono essere gravemente alterati dall’intervento umano” (par. 190).
Più avanti insiste: “Il principio della massimizzazione del profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta la produzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento. Vale a dire che le imprese ottengono profitti calcolando e pagando una parte infima dei costi” (par. 195).
Ammette peraltro che “la razionalità strumentale, che apporta solo un’analisi statica della realtà in funzione delle necessità del momento, è presente sia quando ad assegnare le risorse è il mercato, sia quando lo fa uno Stato pianificatore” (par. 195).
Il Papa non sembra dunque avere grande fiducia anche nella possibilità di correggere il ruolo del mercato nei confronti dell’ambiente mediante politiche che si avvalgano del mercato stesso.
Esemplare a questo riguardo è un passaggio critico sul mercato dei permessi di emissione: “La strategia di compravendita di “crediti di emissione” può dar luogo a una nuova forma di speculazione e non servirebbe a ridurre l’emissione globale di gas inquinanti. Questo sistema sembra essere una soluzione rapida e facile, con l’apparenza di un certo impegno per l’ambiente, che però non implica affatto un cambiamento radicale all’altezza delle circostanze. Anzi, può diventare un espediente che consente di sostenere il super-consumo di alcuni Paesi e settori” (par. 171).
Questa posizione ha suscitato reazioni negative da parte di non pochi economisti. Emblematico è un recente articolo sulla New York Books Review dell’economista americano William Nordhaus della Yale University dedicato all’enciclica. Nordhaus è molto noto nella professione proprio per i suoi studi sull’economia del cambiamento climatico. Sulla stessa linea si colloca un intervento sul blog di un altro economista molto noto nello stesso campo, Robert Stavins della Harvard University.
In realtà, se è vero, come afferma il Papa, che il comportamento pratico degli attori economici, sia imprese che consumatori, guidato solo dai segnali del mercato non ha tenuto conto degli effetti ambientali negativi, non si può negare che questo è stato riconosciuto da tempo dalla teoria economica, secondo la quale il mercato non tiene conto di molti tipi di costi sociali, che sono stati chiamati “esternalità negative”, tra i quali emblematici appaiono i danni dell’inquinamento e del degrado ambientale.
Tuttavia l’analisi economica ha anche proposto di non abbandonare completamente il ruolo del mercato, ma di correggerlo “internalizzando” i costi sociali negativi sull’ambiente mediante dei segnali di prezzo inviati attraverso la regolazione ambientale.
Se il prezzo dei prodotti negativi per l’ambiente viene aumentato relativamente a quelli più favorevoli all’ambiente, questo è un segnale ai consumatori a consumare e alle imprese a produrre meno prodotti inquinanti o che usano processi produttivi inquinanti.

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