Ambiente, etica e economia: l’enciclica “Laudato si’”

Un messaggio etico importante.
L’enciclica di Papa Francesco costituisce il documento più completo del pensiero sociale della Chiesa cattolica sul problema ecologico; ma è anche un messaggio etico importante per il rapporto tra ecologia e economia.
L’enciclica parte ovviamente da una motivazione religiosa: richiamando San Francesco il Papa invita a considerare che la natura nella quale viviamo e della quale facciamo parte come “la nostra casa comune … come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza” (par. 1). “Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla” (2).
Nel paragrafo 66 il Papa sostiene la tesi della non contraddizione contenuta nel libro della Genesi tra il “mandato di soggiogare la terra (cfr Gen 1,28)” e quello “di coltivarla custodirla (cfr Gen 2,15)”: il primo è volto al secondo; è l’uomo che ha stravolto il comando di Dio e “come risultato, la relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è
trasformata in un conflitto”.
Ovviamente il Papa si rivolge a tutti gli uomini, quindi anche a quelli che non condividono la motivazione religiosa, e quindi deve far capire la sua preoccupazione per un problema, quello ecologico, divenuto ormai di una gravità tale da coinvolgere tutta l’umanità.
“La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale” (par. 13). “Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti”. (par. 14)
Un aspetto interessante dell’enciclica è la sintesi tra un approccio meramente antropocentrico e uno meramente ecocentrico. Nel paragrafo 140, il Papa chiede di “riconoscere … come le diverse creature si relazionano, formando quelle unità più grandi che oggi chiamiamo “ecosistemi”. Non li prendiamo in considerazione solo per determinare quale sia il loro uso ragionevole, ma perché possiedono un valore intrinseco indipendente da tale uso. Come ogni organismo è buono e mirabile in sé stesso per il fatto di essere una creatura di Dio, lo stesso accade con l’insieme armonico di organismi in uno spazio determinato, che funziona come un sistema”. E prima, al paragrafo 84, si legge: “Ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua”.
Un economista direbbe che questo è un riconoscimento non solo di un valore d’uso dell’ambiente, ma anche di un suo valore di esistenza. E’ del tutto naturale, peraltro, che un’autorità religiosa faccia una simile affermazione se essa deriva dall’etica implicita nel messaggio religioso di cui quell’autorità è portatrice.
Un altro aspetto interessante dell’enciclica è l’accettazione di una prospettiva evoluzionistica. Tuttavia nel paragrafo 81 il Papa si preoccupa di illustrare il posto dell’uomo in una tale prospettiva: “L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pienamente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi dispone in sé di un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri e con Dio stesso. La capacità di riflessione, il ragionamento, la creatività, l’interpretazione, l’elaborazione artistica ed altre capacità originali mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e biologico. La novità qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno dell’universo materiale presuppone un’azione diretta di Dio, una peculiare chiamata alla vita e alla relazione di un Tu a un altro tu”.
L’uomo quindi pure essendo parte della natura assume un ruolo determinante nei confronti della natura stessa per il senso di responsabilità che lo caratterizza.

Crisi ecologica, etica e ruolo del progresso tecnico: ci sono speranze?
Il primo capitolo dell’enciclica è una accurata descrizione dei problemi ambientali: il Papa si sofferma soprattutto sul cambiamento climatico, sul problema dell’acqua sia dal punto di vista quantitativo sia da quello della sua distribuzione, sul problema della perdita di biodiversità, sull’inquinamento, espressione della “cultura dello scarto”, soprattutto nello sviluppo urbano incontrollato.
Il Papa mette poi in evidenza la sempre maggiore globalità dei problemi ambientali e l’iniquità implicita nel fatto che essi colpiscono soprattutto i più poveri.
Questa analisi permette al Papa di riprendere e sottolineare un concetto tipico del pensiero della Chiesa in campo sociale, quello della “destinazione universale dei beni: “L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti” (par. 95).
Quali sono, secondo il Papa, i fattori che hanno determinato la crisi ecologica? La risposta sta nel titolo del terzo capitolo: “La radice umana della crisi ecologica”.
Dalla lettura complessiva del capitolo si ricava l’impressione che due siano i fattori principali di questa responsabilità dell’uomo: un uso distorto della tecnologia e un uso distorto delle istituzioni economiche, in particolare del mercato.
Il Papa riconosce le conquiste della tecnologia (par. 102). Riconosce anche che “la tecnoscienza, ben orientata, è in grado … di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita dell’essere umano” (par. 103). Esprime peraltro un forte pessimismo sulla tecnologia al punto che essa sembra essere arrivata al punto di rendere quasi vano ogni intervento di cambiamento: “Non si può pensare di sostenere un altro paradigma culturale e servirsi della tecnica come di un mero strumento, perché oggi il paradigma tecnocratico è diventato così dominante, che è molto difficile prescindere dalle sue risorse, e ancora più difficile è utilizzare le sue risorse senza essere dominati dalla sua logica. …Di fatto la tecnica ha una tendenza a far sì che nulla rimanga fuori dalla sua ferrea logica” (par. 108).

Alla fine però il Papa riconosce un  ruolo determinante dell’etica anche nei confronti della tecnologia: “la tecnica separata dall’etica difficilmente sarà capace di autolimitare il proprio potere” (par. 136).
L’etica non può peraltro essere separata dalla cultura. Il Papa lo afferma quando sostiene la necessità di uno sforzo comune per superare un “relativismo pratico” e per costruire appunto un minimo di etica comune: “Non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare” (par. 123).
La realtà è che non si può prescindere dalla tecnologia per risolvere il problema dello sviluppo sostenibile. Lo sviluppo economico e tecnologico a partire dall’era industriale è stato reso possibile dall’utilizzo crescente dei combustibili fossili (carbone prima e poi petrolio e gas naturale). Ma questo modello di sviluppo economico e tecnologico basato sui combustibili fossili ha anche provocato gli enormi danni ambientali nei quali si concretizza la crisi ecologica.
Il messaggio che emerge anche dall’enciclica è dunque che bisogna cambiare il modello di sviluppo economico e tecnologico. Ma se questo richiede di superare il condizionamento ai combustibili fossili, comporta anche un nuovo paradigma tecnologico più decisamente orientato all’ambiente, come quello fondato sulle risorse energetiche rinnovabili e distribuite. Il progresso scientifico e tecnologico non va dunque rifiutato, va cambiato secondo diverse linee etiche, ispirate alla sostenibilità.
Crisi ecologica e istituzioni economiche: non c’è spazio per il mercato?
L’altro fattore determinante della crisi ecologica che emerge dall’enciclica è il ruolo distorto delle istituzioni economiche e in particolare del mercato.
Il Papa è molto critico sul ruolo del mercato e della logica del profitto nei confronti dell’ambiente; giustamente sottolinea i danni di un progresso tecnologico ispirato solo alla logica del profitto di mercato che ha puntato solo alla crescita economica senza riguardo all’ambiente, allo sviluppo umano e all’inclusione sociale (par. 109).
Citando una frase del Compendio sulla dottrina sociale della Chiesa scrive che «la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente».
E prosegue: “Conviene evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui. È realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli effetti ambientali che lascerà alle prossime generazioni? All’interno dello schema della rendita non c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di rigenerazione, e alla complessità degli ecosistemi che possono essere gravemente alterati dall’intervento umano” (par. 190).
Più avanti insiste: “Il principio della massimizzazione del profitto, che tende ad isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta la produzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento. Vale a dire che le imprese ottengono profitti calcolando e pagando una parte infima dei costi” (par. 195).
Ammette peraltro che “la razionalità strumentale, che apporta solo un’analisi statica della realtà in funzione delle necessità del momento, è presente sia quando ad assegnare le risorse è il mercato, sia quando lo fa uno Stato pianificatore” (par. 195).
Il Papa non sembra dunque avere grande fiducia anche nella possibilità di correggere il ruolo del mercato nei confronti dell’ambiente mediante politiche che si avvalgano del mercato stesso.
Esemplare a questo riguardo è un passaggio critico sul mercato dei permessi di emissione: “La strategia di compravendita di “crediti di emissione” può dar luogo a una nuova forma di speculazione e non servirebbe a ridurre l’emissione globale di gas inquinanti. Questo sistema sembra essere una soluzione rapida e facile, con l’apparenza di un certo impegno per l’ambiente, che però non implica affatto un cambiamento radicale all’altezza delle circostanze. Anzi, può diventare un espediente che consente di sostenere il super-consumo di alcuni Paesi e settori” (par. 171).
Questa posizione ha suscitato reazioni negative da parte di non pochi economisti. Emblematico è un recente articolo sulla New York Books Review dell’economista americano William Nordhaus della Yale University dedicato all’enciclica. Nordhaus è molto noto nella professione proprio per i suoi studi sull’economia del cambiamento climatico. Sulla stessa linea si colloca un intervento sul blog di un altro economista molto noto nello stesso campo, Robert Stavins della Harvard University.
In realtà, se è vero, come afferma il Papa, che il comportamento pratico degli attori economici, sia imprese che consumatori, guidato solo dai segnali del mercato non ha tenuto conto degli effetti ambientali negativi, non si può negare che questo è stato riconosciuto da tempo dalla teoria economica, secondo la quale il mercato non tiene conto di molti tipi di costi sociali, che sono stati chiamati “esternalità negative”, tra i quali emblematici appaiono i danni dell’inquinamento e del degrado ambientale.
Tuttavia l’analisi economica ha anche proposto di non abbandonare completamente il ruolo del mercato, ma di correggerlo “internalizzando” i costi sociali negativi sull’ambiente mediante dei segnali di prezzo inviati attraverso la regolazione ambientale.
Se il prezzo dei prodotti negativi per l’ambiente viene aumentato relativamente a quelli più favorevoli all’ambiente, questo è un segnale ai consumatori a consumare e alle imprese a produrre meno prodotti inquinanti o che usano processi produttivi inquinanti.

Questo si può fare in due modi: o direttamente, imponendo una tassa sull’inquinamento, o indirettamente, fissando un  livello di inquinamento oltre il quale non si può andare, distribuire dei permessi a inquinare nei limiti di questo vincolo e lasciare che essi si scambino sul mercato in modo che sia il mercato a stabilire un prezzo per l’inquinamento.
La frase del Papa è critica soprattutto su questo secondo strumento. Indubbiamente i problemi ci sono: per esempio si tratta di mercati che riguardano solo alcuni inquinatori, instabili perché molto sensibili al ciclo economico, soggetti, come afferma il Papa a speculazione.
Anche una tassa sull’inquinamento però ha problemi, soprattutto perché non è per nulla facile determinarla in modo che risponda al valore del danno ambientale che dovrebbe scoraggiare, dato che questo danno non si manifesta sul mercato.
Che un prezzo per l’inquinamento (o nel caso specifico del cambiamento climatico, per le emissioni di CO2) sia utile e necessario, come sostiene la teoria economica, è vero; ma, da un lato, gli economisti dovrebbero essere più consapevoli delle difficoltà di attuazione, e dall’altro lato, soprattutto, dovrebbero essere consapevoli della sua insufficienza per affrontare la crisi ecologica allo stadio al quale è arrivata.
Il segnale di prezzo può servire per scegliere le tecnologie orientate all’ambiente tra quelle esistenti. Ma qui c’è bisogno di innovazioni radicali, e per queste i segnali di prezzo non bastano. Occorre un intervento diretto e indiretto dei governi nella ricerca e nella sua traduzione in innovazioni “low carbon”.
Quindi il Papa non ha tutti i torti nel mettere in guardia su un eccessivo affidarsi agli incentivi di prezzo nella regolazione ambientale: questi incentivi sono necessari, ma non sufficienti. E’ molto importante allora che il Papa riconosca  l’importanza di un progresso tecnologico orientato all’ambiente, della collaborazione tecnologica e del trasferimento di tecnologie soprattutto verso i paesi in via di sviluppo (par. 172).

Di fronte alla sfida ecologica: non mitizzare la crescita, puntare sulla responsabilità.
Nell’ultimo capitolo, l’enciclica si concentra sulle linee di orientamento e di azione: sottolinea l’importanza di arrivare ad accordi internazionali soprattutto per i problemi ambientali globale; ma è consapevole che senza una spinta dal basso, dalle popolazioni e dalle opinioni pubbliche dei vari paesi, non si arriverà molto lontano; richiama quindi la necessità di integrarli con azioni nazionali e locali. E sottolinea anche l’importanza del contributo delle comunità locali nella gestione delle risorse degli ecosistemi (par. 179).
Un punto importante dell’enciclica è l’atteggiamento verso la crescita economica nei confronti del suo rapporto con l’ambiente, atteggiamento che appare equilibrato: “ Se in alcuni casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in altri casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche
a ritornare indietro prima che sia tardi. Sappiamo che è insostenibile il comportamento di coloro che consumano e distruggono sempre più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità alla propria dignità umana. Per questo è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti”. (par. 193)
Quando si parla di “decrescita” tuttavia bisogna intendersi sul significato del termine: si tratta di minore tasso di crescita o di assenza di crescita (economia stazionaria) o addirittura tasso di crescita negativo? Io penso che si debba parlare eventualmente (come del resto fa il Papa) di rallentamento della crescita. Ma anche qui bisogna intendersi su quale è il punto di partenza.
Una cosa è parlare della Cina che nel lungo periodo tra il 1995 e il 2010 ha sperimentato un tasso di crescita del PIL del 10%. Il modello di crescita dell’economia cinese non solo è troppo sbilanciato a favore delle esportazioni e degli investimenti e a sfavore dei consumi, non solo non presta la dovuta attenzione alla sostenibilità ambientale, alla sicurezza sociale e alla sanità, ma va ridimensionato gradualmente anche nel tasso di crescita del PIL che dovrebbe gradualmente ridursi.
Molto più problematico diventa il discorso nelle economie già mature, nella quali il tasso di crescita del PIL di lungo periodo è già molto più basso, e che viene ulteriormente ridotto da episodi ricorrenti di crisi economica; in queste economie ridurlo ulteriormente creerebbe conseguenze molto serie, soprattutto in termini di occupazione.
Il punto vero è che la valutazione del tasso di crescita non deve riflettere una strategia che non punta a massimizzarlo senza condizioni, ma una strategia che si propone piuttosto di vincolare  il tasso di crescita alla massimizzazione del livello di benessere sociale e in particolare alla minimizzazione dell’impatto negativo dell’inquinamento su questo benessere, alla massimizzazione del tasso di riciclaggio della materia usata e alla minimizzazione della dispersione di energia. Il modello di crescita economica prevalente non rispetta certo queste condizioni; va quindi radicalmente modificato.
Infine l’enciclica insiste molto sui cambiamenti negli stili di vita per spingere a cambiare il modello di sviluppo nella direzione della sostenibilità: “Un cambiamento negli stili di vita potrebbe arrivare ad esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale. È ciò che accade quando i movimenti dei consumatori riescono a far sì che si smetta di acquistare certi prodotti e così diventano efficaci per modificare il comportamento delle imprese, forzandole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione. È un fatto che, quando le abitudini sociali intaccano i profitti delle imprese, queste si vedono spinte a produrre in un altro modo. Questo ci ricorda la responsabilità sociale dei consumatori” (par. 206).
A questo contribuisce una buona educazione ecologica (par. 210): “L’esistenza di leggi e norme non è sufficiente a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido controllo. Affinché la norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la
maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate, e reagisca secondo una trasformazione personale. …
L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente” (par. 211).
Questo è un punto importante perché la responsabilità ambientale è cruciale sia per fare in modo che il mercato si orienti verso una sempre maggiore attenzione all’ambiente, sia per facilitare l’attuazione delle politiche necessarie per attuare le richieste modifiche nel modello di sviluppo.

Il testo dell’enciclica è disponibile al seguente indirizzo: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html