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La banca che ci manca. Le banche centrali, l’Europa, l’instabilità del capitalismo – Discussione sul libro di Pierluigi Ciocca (II parte)

di - 29 Luglio 2015
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Noi dobbiamo recepire entro il 2016 le tre direttive su appalti di lavori, servizi e forniture e sulle concessioni. In queste direttive il quadro centrale è dato, diciamo così, dalla negoziazione, da quella forma di programmazione negoziata che fa sì che la scelta del contraente avvenga sostanzialmente attraverso un continuo aggiustamento del rapporto tra amministrazione ed offerente in modo da trovare il punto di ricaduta comune.
Come si farà a recepire una condizione di questo genere in un quadro culturale del tipo di quello che caratterizza il nostro ordinamento è effettivamente una domanda cui è difficilissimo dare una risposta o forse si può dare una risposta fin da adesso, ma in questo caso è drammatica.
Diciamo però che questo non ci deve distrarre da questa attenzione verso la discrezionalità, e qui si pone un altro problema: il rapporto della discrezionalità con le regole.
Qui l’indicazione di Pierluigi Ciocca è interessante e può, da un certo punto di vista, sembrare contraddittoria perché, da una parte, Ciocca contrappone discrezionalità a regole. Le regole sono quelle date per tutti e, quindi, la Banca Centrale agirebbe in questo caso nella presenza di regole con una sorta di “rotismo amministrativo”, si metterebbe lì soltanto ad attuare una scelta che è tutta consumata all’interno della regola. Però contemporaneamente ci dice anche che le regole sono delle cose diverse: regole sono anche delle guard lines, delle linee di fondo, degli orientamenti generali. Allora poi Ciocca scioglie il dilemma: non è che non abbiamo bisogno di regole, non abbiamo bisogno di regole false, di quelle regole che non si limitano a dare indirizzi, indicazioni generali, ma che fanno scelte al posto del soggetto che le compie.
Dice Ciocca: l’instabilità dell’economia di mercato suggerisce che è perdente affidarsi a regole meccaniche proprio perché la risposta all’esigenza concreta deve essere quella che viene dalla scelta che viene assunta in relazione alla situazione che si presenta davanti e nessuna norma può prefigurare una situazione di questo genere.
Qui si pone anche quell’altro problema della discrezionalità, e cioè quello della sua sindacabilità (il problema che anche Massimo Luciani ricordava).
Anche questo è un problema che si pone in generale per tutte le forme di discrezionalità, anche se qui, secondo me, acquista un connotato specifico. Io, quindi, tenderei a non ridurlo semplicemente nell’ampio problema del sindacato generale sulla discrezionalità.
L’idea che, in sostanza, la lettura del libro di Ciocca mi ha dato è questa: che l’unica vera regola di sindacato della discrezionalità è la ragionevolezza.
Negli ultimi tempi sono stato due volte alla Corte Suprema del Regno Unito a misurare differenze e lontananze di questi sistemi. Quello che io ho colto è che questi sistemi si avvicinano nella misura in cui il criterio di fondo diventa la ragionevolezza. La ragionevolezza è la parola che mette insieme sistemi dualisti e sistemi monisti, sistemi che hanno storie diverse.
E perché la ragionevolezza è un criterio che, in qualche modo, può rispondere alle esigenze di Ciocca? Perché non è un criterio che è dato prima, ma è un criterio che è dato dopo.
Io ho bisogno della consulenza tecnica per stabilire, che so, se un certo progetto è un progetto esecutivo o non lo è, ma è l’insieme della fattispecie che mi dà il senso della ragionevolezza di una scelta che, come tutte le scelte di questo genere, è naturalmente opinabile.
Per questo dico che la ragionevolezza è l’unico criterio che può dare una risposta, d’altra parte altre cose, personalmente, mi troverebbero anche molto perplesso.
Un problema di questo genere noi l’abbiamo, per esempio, nel sindacato sulle Autorità Indipendenti. Sulle Autorità Indipendenti si pone il problema della possibilità di sindacare sostanzialmente una scelta opinabile di un’autorità che trova nella propria particolare competenza la propria legittimazione. Allora, lì si tratta di contrapporre una competenza occasionale ad una competenza strutturale, che addirittura crea una legittimazione. È chiaro che qui questo non può essere impedito a livello di sistema, però è ragionevole pensare che quella competenza che si è esercitata su questo profilo è una competenza che si è esercitata nell’ambito dell’opinabilità delle scelte.
L’altro controllo, secondo me, (e questo è importante) è quello politico, che in realtà esiste. Cioè, il controllo vero, che poi verrà dopo, è, secondo me, il controllo ex post della politica, cioè del risultato complessivo ai fini del raggiungimento della politica economica.
Da questo punto di vista, questo personalmente mi trova molto favorevole perché io sono contrario a questa continua giurisdizionalizzazione di tutti i rapporti, a questa idea di risolvere in una lite i problemi. Noi dobbiamo ricordarci che un conto è il problema e un conto è la lite. Il problema ha un suo spessore che rimane talvolta anche dopo la soluzione; la lite, invece, è come il laccio delle scarpe, una volta che uno tira i due fili non c’è più.
Che cosa ci rimane da dire di questo libro di Ciocca? Questo libro si intitola “La banca che ci manca”. Questo titolo mi suggerisce due citazioni fra di loro diverse, ma che tutto sommato ci possono aiutare a capire verso quale direzione dobbiamo andare.
La prima è quella di Tocqueville. Tocqueville dice: non si entra nel futuro se non si guarda al passato. Ecco, questo libro di Pierluigi Ciocca ci dice che dobbiamo guardare al passato per capire in futuro quale deve essere la nostra attività.
La seconda citazione è una citazione che apparentemente non riguarda l’economia, ma che devo dire mi ha molto colpito e che mi capita di ripetere abbastanza spesso, ed è una citazione di Popper a proposito della politica, della scienza della politica. Dice Popper: la politica studia le conseguenze involontarie dei comportamenti volontari.
Ecco, forse le cose che ci ha detto Pierluigi Ciocca, questo modello di Banca Centrale che ha in qualche modo delineato, ci potrebbero aiutare a fare in modo che, in sostanza, l’economia non sia anch’essa una scienza che studia le conseguenze involontarie di comportamenti volontari.

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