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La banca che ci manca. Le banche centrali, l’Europa, l’instabilità del capitalismo – Discussione sul libro di Pierluigi Ciocca (II parte)

di - 29 Luglio 2015
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E allora, se questo è il quadro, che cosa ci dice Pierluigi Ciocca? Che, in sostanza, il modello di Banca Centrale efficace, quel modello che è capace di contrastare le contraddizioni e le incertezze del capitalismo moderno, è un modello in cui le funzioni sono unitariamente attribuite. Non c’è un modello reale, non c’è un modello autentico, non c’è un modello efficace se queste funzioni vivono sostanzialmente separate l’una dall’altra.
E da qui le conseguenze diverse, per esempio la questione della finanza. La finanza, ci dice Pierluigi Ciocca, ha carattere strumentale, non finale, per la realizzazione dell’interesse generale. La separazione di queste due funzioni ha finito col dare, come l’esperienza ci dice, un rilievo determinante alla finanza a scapito di altri profili.
Il secondo elemento interessante è la indicazione degli strumenti attraverso i quali le funzioni di questo modello generale possono essere esercitate.
E qui ritornano le parole d’ordine che avevo indicato poco fa: autonomia e discrezionalità.
Diciamo che queste due parole sono collegate, perché la verità è che non c’è discrezionalità senza un’autonomia almeno relativa e non c’è autonomia che non si manifesti nel potere di scelta, nella libertà di scelta; questo è vero anche per il diritto comune, anche per l’autonomia privata.
Qui forse una riflessione particolare dobbiamo farla sull’autonomia perché dentro la parola autonomia sono inglobate in realtà due cose: un’autonomia in senso stretto, cioè, diciamo così, la capacità di darsi da sé la regola del proprio operare, ed un’autonomia che, in sostanza, ricorda l’indipendenza, che è una questione che attiene allo status ed al modo di esercizio delle funzioni del soggetto, dell’ente.
Infatti, Pierluigi Ciocca ci ricorda che la Banca Centrale deve essere autonoma, e cioè indipendente, rispetto alla politica ed alla burocrazia (non a caso mette insieme politica e burocrazia), e poi deve essere anche sostanzialmente indipendente, non deve essere catturata, dal mondo degli affari.
Questo è lo schema tipico delle Autorità Indipendenti, che devono essere indipendenti dal Governo, ma anche indipendenti dagli amministrati, dai sorvegliati, da coloro che possono catturarle. E da questo punto di vista si conferma il modello anche, ovviamente, in riferimento all’idea della Banca Centrale.
Su questa questione si innestano una serie di problemi che non possono essere esaminati tutti qui insieme. Uno fra questi è il rapporto tra politica monetaria e politica economica generale.
La verità è che, secondo me, politica monetaria e politica economica generale sono, in un certo senso, (consentitemi la osservazione da giurista) come politica ed amministrazione, nel senso che sono distinte, ma devono avere sempre un rapporto, sia esso un rapporto di vicinanza o un rapporto di lontananza, ma non possono fare a meno l’uno dell’altra.
Pierluigi Ciocca questo lo ha presente con chiarezza perché ci dice che la politica economica deve rimanere distinta. Dice un chiaro “no” alla suggestione della supplenza da parte delle istituzioni della Banca Centrale, perché la responsabilità generale delle politiche pubbliche sta in altro, ma questo non significa che non vi sia una questione di coordinamento, di un difficile coordinamento.
Come tutte le questioni di coordinamento anche questa è difficile, perché la figura del coordinamento è quella più bella da vedersi in astratto, ma più difficile da realizzare in concreto.
Veniamo poi all’altro elemento del quadro, cioè la discrezionalità. Qui Pierluigi Ciocca ci pone un problema che è certamente dell’istituzione Banca Centrale, ma pone in realtà una questione generalissima, cioè il ruolo della discrezionalità.
Che cosa è questa discrezionalità? Essa è la capacità di scegliere la soluzione opportuna rispetto alla situazione concreta.
La banca si assume la responsabilità di quella che è la propria scelta, ma deve essere in condizione di poter assumere le decisioni che assume nel momento storico in cui le assume, perché queste decisioni manifestano la loro capacità di rispondere alla realtà solo se sono assunte hic et nunc, in questo momento e non in un altro. Da questo punto di vista, dice, non esiste una decisione che corrisponde astrattamente alle necessità perché la ricchezza della realtà è sempre più forte della ricchezza delle norme.
E qui si inserisce una questione centrale che riguarda la discrezionalità della Banca Centrale, ma anche la discrezionalità in generale.
Noi oggi viviamo in una fase di crisi della discrezionalità, e non parlo della discrezionalità della Banca Centrale, ma della discrezionalità tout court, viviamo una sfiducia verso la discrezionalità. La verità è che la discrezionalità implica la capacità di assumersi delle responsabilità e l’ordinamento oggi porta chi ha discrezionalità a fuggire dalla responsabilità, non trova incentivi nell’assunzione di responsabilità. Perché? Ci sono ragioni storiche, ragioni culturali, ma anche, vorrei dire, ragioni che sono legate al modo in cui il dibattito sulla discrezionalità è andato avanti nel nostro ordinamento.
L’idea di fondo che si è fatta strada è che discrezionalità sia contrapposta a obbligatorietà e che di conseguenza la discrezionalità, in quanto non obbligatoria, sia un mero si volam, una mera arbitrarietà, un mero arbitrio del soggetto.
Guardate per esempio quello che succede all’interno del mondo degli amministratori. Oggi sempre più si fanno leggi provvedimento perché il Parlamento, per un verso, vuole prefigurare integralmente il contenuto delle scelte che si faranno e gli amministratori, per l’altro, hanno timore di assumersi le scelte che si faranno, perché queste scelte possono essere malintese, possono essere considerate come scelte che, come dire, favoriscono Tizio piuttosto che Caio, e subiranno in questo caso un controllo, che spesso è esso stesso la sanzione, prima ancora di rivelare se il controllo è coerente o non coerente.
Questo, per esempio, assume oggi un rilevo ancora più forte.

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